Comunque vada, sarà un successo. È quello che si può già affermare con una certa sicurezza a proposito della giornata del 23 marzo. La proposta di “tenere aperte” le scuole a quella data, come segno di dissenso nei confronti della politica del DECS è del governo in materia scolastica e del personale, è ormai condivisa da quasi tutte le scuole medie e medie superiori del Cantone e da molte sedi di scuola elementare.
Quel giorno quindi diverse centinaia di docenti si recheranno a scuola e “terranno aperta” la scuola con modalità diverse a seconda dei diversi ordini di scuola. In alcune sedi, in particolare in quelle medie ed elementari, vi saranno attività scolastiche regolari nella misura in cui i genitori, informati dai docenti, invieranno regolarmente i figli a scuola. In altre sedi, sempre con la presenza degli allievi, si terranno attività particolari; infine, in diverse sedi, la scuola vedrà in sede la presenza dei soli docenti i quali organizzeranno attività e discussioni di vario genere (sulla politica scolastica, su quella del personale con particolare riferimento alla condizione degli insegnanti, etc.). In altre ancora si discuterà anche di strategia per i prossimi mesi, visto che il governo sta elaborando un pacchetto di misure di risparmio da 180 milioni (che verranno annunciate in aprile) tra le quali, c’è da scommetterci, ve ne saranno diverse che riguardano la scuola.
Nel frattempo i temi del dibattito tendono a precisarsi; o meglio, si comincia a capire su cosa le parti, chiamiamole così, non sono d’accordo.
Ne ha dato una buona illustrazione un recente dibattito televisivo, proprio dedicato alla giornata del 23 marzo, nel quale i rispettivi fronti erano rappresentati dal capo del DECS, Manuele Bertoli, e dal presidente dell’OCST docenti Gianluca D’Ettorre. Alle ragioni che militano in favore della giornata del 23 marzo evocate da quest’ultimo, il capo del DECS, con la sicumera che ormai lo contraddistingue, rispondeva riconoscendo che effettivamente nei confronti dei docenti negli anni scorsi sono state prese misure di risparmio che hanno peggiorato la loro condizione; ma, per quel che riguarda la scuola in quanto tale e il suo funzionamento, ribadiva che non sono state prese misure di risparmio (arrivando anche a mentire, affermando che la dotazione oraria di sede in questi anni non è diminuita).
Ora questo modo di ragionare ci pare abbastanza indicativo del problema con il quale ci troviamo confrontati. Secondo il DECS (e il governo) condizione docente a funzionamento della scuola sarebbero due cose sostanzialmente separate. Magari rispolverando la retorica del “vecchi tempi” o “della scuola di una volta” si sarebbe capaci di arrivare a sostenere che sono i “buoni docenti” che fanno la scuola. Ma dove per “buoni” si intende, evidentemente, i docenti pronti a “sacrificare” la loro vita per la scuola: lavorare più a lungo, più intensamente, con una mole di lavoro sempre maggiore, con più allievi per classe, con un maggior onere amministrativo, con salari più bassi e peggiori condizioni pensionistiche. È questo il film che gli insegnanti ticinesi (e non solo loro) hanno visto passare davanti ai loro occhi in questi ultimi due decenni.
Quello su cui la giornata del 23 marzo vorrebbe invece attirare l’attenzione è esattamente il contrario: certo, la buona scuola è fatta da buoni docenti. Ma costoro saranno “buoni” nella misura in cui il loro lavoro viene “ben” riconosciuto, nella misura in cui vengono messi nella condizione di svolgere “bene” il proprio lavoro, nella misura in cui diventano veri protagonisti del processo formativo (in tutte le fasi della sua impostazione) e non semplici esecutori di programmi, direttive, regolamenti sui quali, nella migliore delle ipotesi, sono stati consultati a cose già fatte e giusto per salvare la forma.
Una prospettiva che rischia di diventare ancora più inquietante di fronte alle “riforme” annunciate dal DECS, a cominciare da quella relativa alla scuola dell’obbligo (la cosiddetta “Scuola che verrà). Il rischio reale è che quella riforma, al di là della discussione di merito sui suoi contenuti – che dovrà essere ripresa ed approfondita al momento della presentazione di un progetto concreto, verrà caricata sulle spalle degli insegnanti: proprio come è avvenuto negli ultimi anni.
In altre parole l’azione del 23 marzo vuole ribadire la difesa della scuola come servizio pubblico.
Naturalmente difendere non basta. È oggi più che mai necessario riprendere una discussione di fondo sul potenziamento della scuola, sulla riforma dei suoi programmi e delle sue strutture; e, allo stesso tempo, sulla necessità di investire nella scuola: un passaggio senza il quale qualsiasi discorso di “riforma” o “rinnovamento” finisce per essere un discorso vuoto.
In questa fase di preparazione della giornata del 23 marzo, sarà importante, a nostro avviso, discutere sul prolungamento dell’azione di presenza nelle diverse sedi, prevista al mattino. Pensiamo che una giornata come quella prevista debba concludersi in una forma che dia visibilità all’azione collettiva dei docenti. In questo senso sarebbe estremamente interessante la tenuta, nel pomeriggio, di un’assemblea cantonale dei docenti che hanno partecipato alla giornata. Un’assemblea che potrebbe vedere coinvolti, e sarebbe la prima volta negli ultimi anni, centinaia di docenti che, oltre a rendere visibile la loro protesta, potrebbe essere protagonisti di un dibattito, di una discussione nella quale, tra l’altro, discutere della strategia per i mesi successivi. Non si deve infatti dimenticare, come già detto, che un vero e proprio programma di austerità è allo studio del governo e che proprio in quelle settimane di fine marzo potremmo già conoscerne le prime anticipazioni.