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aracismNon ci fa certo stare tranquilli il fatto che buona parte della classe politica svizzera contro l’iniziativa UDC, in votazione il prossimo 28 febbraio, la cosiddetta “iniziativa di attuazione”. Questo proprio perché il successo elettorale che l’UDC da anni sta mietendo con la sua politica contro gli stranieri ha trovato un terreno favorevole proprio nella politica condotta da quelle stesse forze politiche che oggi si ergono a voler contrastare l’UDC.

È quindi necessario, per poter rispondere adeguatamente alla propaganda xenofoba e razzista di UDC (e dei suoi allegati quali la Lega) mettere in evidenza come l’obiettivo fondamentale di questa iniziativa (e di quelle precedenti) sia di approfondire ulteriormente il solco tra salariati svizzeri e immigrati, istillando il veleno dell’odio nei confronti di un altro lavoratore, di un altro essere umano, sulla base della sua appartenenza nazionale o razziale.
Non si può qualificare altrimenti il contenuto di questa iniziativa (che approfondisce e peggiora quella, ahimè approvata, nel 2010) che vorrebbe punire in modo diverso le persone che commettono reati a seconda della loro nazionalità. Si tratta, in altre parole, di applicare e approfondire quella che viene definita la doppia pena: qualcuno verrebbe punito una volta per il reato commesso (come chiunque sottoposto al giudizio del codice penale) e poi riceverebbe una seconda pena (l’espulsione) poiché straniero.
In questo modo gli stranieri, già discriminati in molti ambiti, si vedrebbero ulteriormente colpiti da una legislazione che ricorda in maniere impressionante quanto si sta discutendo e decidendo in Francia attorno al tema della decadenza della nazionalità francese. Con l’aggravante (anche se ormai non siamo molto sorpresi) che a condurre questa politica simile alle proposte nostrane di UDC e Lega, vi sia un governo “socialista”, guidato da un presidente “socialista” che si è fatto eleggere con lo slogan “il cambiamento ora”: bei cambiamenti!
Nessuno, e tantomeno leghisti ed UDC, pensano seriamente che simili misure possano in qualche modo frenare la criminalità. Il loro obiettivo, al di là della divisione di cui abbiamo qui sopra parlato, è di raccogliere consenso, val la pena ricordarlo, in un tessuto sociale che tende sempre più a disgregarsi e che palesa sempre più la crisi, la fine del “modello elvetico” così come si era potuto sviluppare ed affermare nel dopoguerra sfruttando l’estremo sviluppo del capitalismo svizzero.
Le briciole di quella grande accumulazione di ricchezza avevano potuto dare l’impressione, alla popolazione “indigena” non certo agli immigrati che di quello sviluppo spesso sono state le vittime, di un progresso sociale reale, in una sistema funzionante (la Svizzera precisa, pulita e felice).
Ma la crisi di quel modello ha lasciato oggi una forte insicurezza sociale che si manifesta nelle preoccupazioni della popolazione per il posto di lavoro, per il sistema pensionistico, per i servizi pubblici sempre più rimessi in discussione, persino per la “solidità” delle banche elvetiche nelle quali hanno depositato i loro risparmi, e così via.
Di fronte a questa insicurezza sociale l’UDC e la Lega rispondono additando il capro espiatorio, il responsabile di questa situazione: gli immigrati nelle loro molteplici vesti di “ladri” di posti di lavoro, di “profittatori” dei servizi e delle assicurazioni sociali, “insensibili” ai miti e ai riti della “cultura nazionale”. E, come sotteso dalla proposta dell’iniziativa, diffusamente criminali e potenzialmente criminogeni, tali da non meritare di rimanere, nel caso di una lunga serie di atti criminali (per nulla gravi in molti casi), nel paese.
A tutto questo dobbiamo rispondere non solo votando NO il prossimo 28 febbraio, ma cercando di sviluppare una cultura della solidarietà tra la popolazione, sui luoghi di lavoro, mettendo al centro delle nostre riflessioni la natura di classe del fenomeno migratorio, legato intimamente al capitalismo mondiale di cui quello svizzero (che annovera capi UDC come Blocher, Spühler e altri) è una componente certamente non marginale.