Tempo di lettura: 3 minuti

AfDPessime notizie dalla Germania, dove ieri 13 marzo si sono svolte le elezioni per il rinnovo di tre parlamenti regionali (Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt). Nonostante le differenze esistenti in fatto di struttura economica, sociale e politica, in tutti e tre i Länder l’estrema destra xenofoba raccolta nell’Alternativa per la Germania (AfD, Alternative für Deutschland) dilaga in termini di voti e di seggi.

Anche se nel momento in cui scriviamo i risultati non sono ancora completi (e si possono avere piccole variazioni), sembra che la AfD, alla sua prima prova elettorale in queste regioni, ottenga il 12 % nella Renania-Palatinato, il 15 % nel Baden-Württemberg e addirittura il 24 % nella Sassonia-Anhalt, dove diventa il secondo partito, scalzando la Sinistra (Linke) da questa posizione. Nelle altre due regioni l’AfD si piazza al terzo posto, superando in un caso (Baden- Württemberg) il Partito socialdemocratico (SPD), nell’altro i Verdi (Grünen). Un’affermazione attesa, certo, ma non in queste dimensioni, e che trova la sua prima e principale spiegazione nella reazione di rigetto che si è manifestata in Germania in seguito all’arrivo delle ondate di profughi, ulteriormente alimentata dai fatti di Colonia (le aggressioni subite da decine di donne durante il carnevale, spesso a opera di maghrebini).

Da chi hanno preso i voti gli xenofobi? Non in modo significativo dalla destra moderata tradizionale del Partito liberaldemocratico (FDP), che anzi migliora, anche se di poco, i suoi risultati, riuscendo pure a rientrare nel parlamento renano. Questi voti la AfD li ha ottenuti in parte prosciugando il bacino elettorale di altri, e più vecchi, partiti d’estrema destra (Partito nazionaldemocratico e Republikaner), ma anche e soprattutto sfondando nell’elettorato popolare: non solo in quello dell’Unione cristiano-democratica (CDU) – che anzi ha perso relativamente poco -, ma in particolar modo in quello del Partito socialdemocratico (SPD) e, nel caso della Sassonia-Anhalt, della stessa Linke.

La CDU, infatti, perde solo attorno al 3 % in Sassonia e Renania, subendo un solo, severo salasso (del 12 %) nel Baden, dove però a beneficiarne sono in gran parte i Verdi, qui particolarmente spostati a destra e pronti, come hanno dichiarato, a lasciare, se necessario, l’alleanza governativa regionale con la SPD per inaugurarne una nuova con la CDU. È l’orientamento marcatamente “centrista” dei Verdi locali che ha qui fatto breccia nell’elettorato democristiano. Nelle altre regioni, viceversa, i Verdi arretrano: poco (2 %) in Sassonia, dove erano comunque già deboli, ma molto (10 %) in Renania, dove cedono voti alla SPD. Che qui raccoglie il suo solo magrissimo risultato: l’afflusso dei voti verdi copre infatti a mala pena il deflusso verso destra, che si manifesta invece in modo evidentissimo nel Baden (oltre il 10 % in meno) e in Sassonia (meno 11 %: la metà del proprio elettorato). Quanto alla Linke, nelle regioni “occidentali” del Baden e della Renania tiene le posizioni, che sono comunque molto deboli (3% circa), mentre nella Sassonia-Anhalt, una delle “regioni rosse” dell’ex Germania orientale, subisce la perdita di un terzo dell’elettorato: da circa il 24 % a poco più del 16 %.

I risultati definitivi consentiranno un’analisi più accurata, ma sin da ora alcune considerazioni appaiono incontestabili. La “crisi dei profughi”, se ha indebolito la Merkel, ha avuto e sta avendo conseguenze molto più devastanti sulla sinistra, sia nelle sue componenti moderate, socialdemocratiche ed ecologiste, sia in quella più radicale della Linke. È il cosiddetto “popolo di sinistra”, già provato da anni di politiche dell’austerità, che qui cede, almeno in parte, facendosi trascinare nella solita, già vista, “guerra tra poveri”, dove in questo caso sono i “più poveri dei poveri” a farne le spese. Questa parte del “popolo di sinistra” che ha ceduto alle sirene della destra xenofoba ha le sue colpe, indubbiamente. Ma colpe ben maggiori ricadono su quei suoi dirigenti politici che in tutti questi anni hanno affrontato la crisi generale economica e politico-militare nella quale siamo immersi (e di cui la “crisi dei migranti” è una conseguenza, non certo la causa) non cogliendone l’aspetto “di lunga durata”, strutturale, e, di conseguenza, rincorrendo le solite farfalle, cioè le solite illusorie soluzioni: ricorso all’austerità, modifiche delle leggi del lavoro, indebolimento dei sindacati, eccetera. Segando insomma il ramo su cui stavano seduti. Per poi meravigliarsi, oggi, di ritrovarsi con il sedere per terra.