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aaaLe elezioni del 26 febbraio segnano una svolta importante nella politica irlandese, e inviano un ennesimo segnale alle euroburocrazie: le politiche di austerità non pagano in termini elettorali anche quando, come nel caso irlandese, la cura da cavallo durata sei lunghi anni sembra dare i suoi primi frutti in termini macroeconomici.

Ma poiché la gente dipende nell’immediato dalla propria microeconomia – il salario, la pensione, il costo della vita e delle abitazioni – la reazione prima o poi arriva. Può trovare uno sbocco a destra, come sta avvenendo in tanti Paesi europei. Ma può anche incanalarsi nella giusta direzione, nei casi (purtroppo ancora troppo pochi) in cui la sinistra, nelle sue varie sfumature, riesce a proporsi come strumento concreto per contrastare nei fatti, giorno dopo giorno, l’attacco dei fautori della dittatura del “Mercato”. In parte, almeno, è quel che ha fatto la sinistra irlandese, che è stata capace, negli scorsi anni, di dare vita ad alcune lotte esemplari. Fra tutte, spicca quella contro l’odiata tassa sull’acqua, che ha prodotto interessanti ed efficaci forme di autorganizzazione. Queste esperienze hanno pagato anche in termini elettorali? Sembra proprio di sì.

 

Un vero e proprio terremoto elettorale

L’espressione politica della troika in Irlanda era il governo di “grande coalizione” fra l’Irish Labour Party e il Fine Gael. il primo è il secolare partito socialista, approdato da tempo alla collaborazione di classe; il secondo è una delle vecchie branche del repubblicanesimo indipendentista (l’altra è rappresentata dal Fianna Fáil: entrambi i partiti si collocano sul centro/centrodestra, ma si odiano a morte, divisi come sono dai fatti della “Pasqua di sangue”, accaduti esattamente un secolo fa).

Nel 2011, data delle precedenti elezioni, laburisti e Fine Gael assieme rappresentavano oltre 1.200.000 elettori (56 %), con 113 seggi su un totale di 166. Oggi hanno quasi dimezzato i voti: il Fine Gael ne perde più di 250.000 (meno 10,4%), il Labour oltre 290.000 (meno 19,5%). Se le perdite del Fine Gael sono serie, quelle del Labour sono catastrofiche: è ridotto al 6,6%, uno dei peggiori risultati dal 1948 a oggi (solo nel 1987 riuscì a scendere più in basso, col 6,4%). In termini di seggi, il complicato sistema elettorale irlandese non ha ancora fornito i dati definitivi. Mancano ancora quelli relativi ad alcune circoscrizioni (per un totale di 12 seggi). Comunque, il Fine Gael per ora ne ha 45 (e può sperare di ottenerne ancora uno o due) e il Labour ne ha sei (e se tutto va bene, può sperare di strapparne un altro: ma anche così sarebbero sette seggi contro i 12 del suo risultato peggiore del 1987).

Riassumiamo:

a) il Fine Gael passa da 800.000 voti a 550.000 (meno 250.000), dal 36,1 al 25,7% (meno 10,4) e da 76 a 45/47 seggi (meno 29/30).

b) il Labour passa da 430.000 voti a 140.000 (meno 290.000), dal 19,5 al 6,6% (meno 12,7) e da 37 a 6/7 seggi (meno 30/31).

Questi i terremotati. Ma chi ne beneficia?

 

Una parziale redistribuzione delle carte a destra

Una parte delle perdite del Fine Gael si ridistribuisce all’interno del perimetro del centro e della destra. La fetta più grossa va al Fianna Fáil, fratello-coltello del Fine Gael, che recupera 130.000 voti, guadagna il 7% e almeno 22 seggi. Un successo, certo, ma che non compensa le gravi perdite che questo partito aveva subito nel 2011. Qualche decina di migliaia di voti finisce a piccoli movimenti cattolici tradizionalisti (antiabortisti) e a qualche candidato indipendente. Il resto si sposta verso sinistra.

Non si tratta di uno spostamento di gigantesche dimensioni: è però la conferma di un trend: il progressivo logoramento del bipartitismo irlandese. Oggi i due partiti del centro/centrodestra, Fine Gael e Fianna Fáil, raccolgono ancora il 50 % dell’elettorato: ma non si deve dimenticare che ne raccoglievano il 64-69% negli anni 1992-2007, il 71-73% nel 1987-1989 e addirittura l’80-84% nel 1965-1982.

 

Un rafforzamento della sinistra in ordine sparso

Dicendo “spostamento a sinistra” di una parte dell’elettorato usiamo il termine “sinistra” nel suo significato più generico, senza distinguere troppo – per ora – tra sinistra anticapitalista e sinistra riformista interna al sistema. Ci poniamo, insomma, dal punto di vista dell’elettore irlandese, che volendo votare contro le politiche di austerità aveva più opzioni di fronte: Sinn Féin, partiti trotskisti, candidati indipendenti antiausterità, un partito socialdemocratico concorrente del Labour, i Verdi… In questa accezione larga, è circa il 14% l’elettorato che si sposta a sinistra.

Come si distribuisce questo 14%? Vediamolo nei dettagli.

Il 4 % in più va al Sinn Féin, il 3 % ai Social Democrats, il 2% alle coalizioni dei partiti trotskisti, lo 0,9 % al Green Party e il 4,1 % alla Independent Alliance.

Gli elettori delusi dal Labour, ma non ancora pronti per una scelta antisistema, hanno ovviamente optato per i Social Democrats (un cartello elettorale, più che un partito, che si richiama alla vecchia, “sana” socialdemocrazia d’antan) o per l’oscillante Green Party. Hanno così inviato un segnale al Labour, ma senza riuscire a costruire vere alternative. I Social Democrats, al loro esordio elettorale, ottengono 64.000 voti (3 %) e tre deputati: niente di travolgente, ed è pertanto possibile che prima o poi si vada a una ricomposizione della “famiglia socialista”. Quanto al Green Party, recupera qualcosa dopo la batosta del 2011, rientra in parlamento con due deputati, ma appare tuttora un partito spaesato, incerto sulla sua collocazione, non immune da tentazioni governative, peraltro già soddisfatte in passato.

Altra possibilità offerta agli elettori di questo primo tipo era quella di un voto per l’Independent Alliance. Si tratta di un cartello elettorale formato da candidati indipendenti con programmi eterogenei, che in quanto tale non si può certo annettere in blocco al campo della sinistra, ma che almeno in parte (forse in gran parte) era schierato contro le politiche di austerità, con accenti variamente di sinistra. E i quattro deputati che è riuscita ad eleggere sembrerebbero, stando ai giornali, appunto “antiausterità”.

 

Sinn Féin e sinistra di classe

Il Sinn Féin, l’antica ala politica dell’IRA, esce rafforzato (anche se un po’ meno di quanto sperasse) dalle elezioni, con quasi 300.000 voti (più 75.000), il 13,9% (più 4%) e 22 deputati (forse 23: quindi più 8 o 9). Oggi, in termini elettorali, è la più forte formazione a sinistra, dopo lo sprofondamento del Labour. Ma ha un forte handicap: la sua storia, le sue radici, suscitano ostilità in gran parte della società irlandese, ovviamente a destra ma anche a sinistra. A meno di un suo profondo rinnovamento e del superamento di non poche ambiguità, non sarà in grado di proporsi come lo strumento necessario per un cambiamento radicale. Il suo leader carismatico, Gerry Adams, è un’icona ingombrante, che rimanda più al passato che al futuro. Staremo a vedere.

La sinistra di classe oggi in Irlanda è rappresentata politicamente dalla variegata, rissosa ma forse in via di maturazione galassia delle formazioni che si richiamano al trotskismo: il Socialist Party, con la sua articolazione della Anty-Austerity Alliance (AAA) e il Socialist Workers Party, con la sua articolazione della People Before Profit Alliance (PBP), che, pur rimanendo distinti, si presentavano formalmente come un unico partito AAA-PBP. A questi vanno aggiunti il Workers and Unemployed Action Group (WUAG) e la United Left Alliance (ULA). Tutti assieme questi gruppi sfiorano i 100.000 voti (quasi il 5 %) e ottengono 7 seggi (3 alla AAA, che ne guadagna uno; 2 riconfermati al PBP, uno riconfermato alla WUAG e uno nuovo alla ULA).

Si tratta ancora, come si vede, di un insieme eterogeneo e a volte conflittuale di sigle, nessuna delle quali va oltre le dimensioni nazionali di un piccolo partito del 2 %. Ma se si riuscirà a superare gradualmente la sindrome identitaria e ad avviare con più risolutezza altri processi di convergenza, le prospettive sono buone. Non ci si deve far ingannare “dal quasi 5 %” di cui sopra. Questi gruppi e partitini, infatti, non presentavano candidati in tutte le circoscrizioni, ma solo in quelle in cui avevano – o ritenevano di avere – un minimo di radicamento.

Così AAA era presente in sole 12 circoscrizioni su 40: in tre ha ottenuto risultati compresi fra il 15 e il 18 %, in una il 10 %, nelle altre oscilla dall’uno al 4 %. PBP, presente in 17 circoscrizioni, ottiene il 16 % in una, il 10-11 % in due, tra il 5 e il 6 % in altre due, e risultati non disprezzabili nelle altre. WUAG, con un solo candidato, ottiene il 10 %, e la ULA, anch’essa con un solo candidato, sfiora il 15 %. Laddove la candidatura corrispondeva a una presenza effettiva dell’organizzazione nelle lotte quotidiane i risultati non sono mancati. Ancora uno sforzo, compagni irlandesi.