Una possente “armada” della NATO [1], composta da 5 fregate (greca, turca, tedesca, italiana e canadese) e altre 10-15 navi da guerra, pattuglia già il mar Egeo orientale, e mira a esseri umani miseri e disarmati, le migliaia di profughi che rischiano la loro vita nello sforzo di fuggire dall’inferno della guerra incontrollabile imposta in Siria.
L’obiettivo principale dell’armada è descritto ufficialmente dai portavoce dei governi (compreso il governo tedesco che ha il controllo dell’operazione) in questo modo: «Lottare contro i flussi migratori».
Il push back [respingimento] mortale, l’imposizione violenta alle/ai profughe/i di ritornare nel paese da cui provengono (in primo luogo la Turchia, poi l’Afghanistan, la Siria …?), diventa l’obiettivo delle modernissime e possenti navi da guerra!
Tra i pretesti avanzati dalla NATO c’è l’argomento che si tratta di una guerra contro «il traffico di esseri umani». Ma questo traffico fa parte, per l’essenziale, del passato: dopo le tragedie di Lampedusa [2] le forze dei paesi detti dell’Ovest, hanno deciso di… affondare in anticipo le rudimentali navi dei trafficanti (vecchie imbarcazioni, o, più spesso, vetusti pescherecci) nei loro porti lungo le coste del Nordafrica, in particolare in Libia. Questa decisione ha obbligato i profughi a cercare modi di trasporto ancora più pericolosi.
Oggi, centinaia di donne e uomini di tutte le età, bambini, si ammucchiano su gommoni. Senza la presenza di un solo marinaio un po’ esperto, cercano di attraversare il mare da soli, cercando i tragitti più brevi possibili per raggiungere questa o quell’altra isola. E annegano a migliaia [3]. I «trafficanti»semplicemente non sono più sul luogo delle tragedie.
Il motivo razzista delle eurodirezioni è a nudo. Come ha dichiarato Donald Tusk: «L’Europa sarà obbligata a rendersi meno attraente, anche se non vorrebbe». Questo profilo «meno attraente» dell’imperialismo occidentale sarà imposto ai profughi con il ricorso alla forza militare non camuffata, ma brutale.
I risultati saranno tragici. È impossibile arrestare il flusso dei profughi. Quindi, la presenza delle navi della NATO li obbligherà a cercare di passare per vie ancora più pericolose, di notte, nel freddo e con il maltempo. Non è necessario essere un lupo di mare per capire che i «naufragi» si moltiplicheranno massicciamente e avremo centinai di morti ufficialmente verificati e un numero ancora maggiore di «dispersi»…
Diplomazia disumana
L’operazione della NATO ha ricevuto l’approvazione dei governi di Atene e Ankara.
La Germania e altre forze europee sono già passate alla politica razzista di «dirottamento» violento dei «flussi di profughe/i». Angela Merkel ha un problema politico alla sua destra [4]. Hollande cerca di prolungare all’infinito lo «stato d’urgenza» in Francia, in nome del pericolo jihadista [che è un pericolo senza fine, e dunque un’uscita dallo stato di urgenza senza data di scadenza]. Renzi negozia obiettivi economici (il debito mostruoso dell’Italia) in contropartita della politica di frontiere chiuse ai profughi. L’UE diventa rapidamente «meno attraente» per i profughi, i migranti, ma anche per le popolazioni locali.
La Turchia offe la sua «ospitalità» ‒ negoziata a colpi di miliardi ‒ a circa 3 milioni di profughi, principalmente dalla Siria, ma anche dal resto della regione in senso ampio (dall’Iraq, dall’Afghanistan e dai «paesi » usciti dall’ex Yugoslavia, ecc.). È un problema economico e politico colossale, e il regime di Erdogan cerca di «inviare» una parte di questa popolazione verso l’Ovest (non importa con quali mezzi… ).
L’ingresso della NATO nel mar Egeo per questo compito è evidentemente legato a ragioni diplomatiche e «geopolitiche» più generali. La guerra in Siria genera possibilità che costituiscono per Ankara un incubo diplomatico, politico e anche militare: la creazione di uno Stato kurdo indipendente alle sue frontiere sud e sud-est, ma anche il rafforzamento militare di un nazionalismo arabo (Daesh) che, sotto la forma del «califfato di Bagdad», costituisce un affronto per il nazionalismo turco.
Gli attentati su grande scala dei jihadisti in Turchia, confermano questa contraddizione e contestano le teorie cospirazioniste, così popolari sulla stampa greca, in tema di rapporti tra Erdogan e Daesh. Infine, l’intervento militare possente (con un armamento rinnovato e una strategia di distruzione elaborata nell’ultima guerra di Cecenia) della Russia di Putin in Siria ha cambiato la situazione militare e, in gran parte, politica. Per la prima volta, da molto tempo, si presenta uno scenario di relativa stabilizzazione del regime di Assad, con una nuova posizione di forza nella prospettiva del dopoguerra.
Tutti questi fattori esercitano su Recep Tayyp Erdogan a rivolgersi all’Occidente, che ha la responsabilità di sanare le molteplici incrinature provocate dalla guerra dell’Iraq nei rapporti tra la Turchia e la NATO. La Turchia deve dimostrare di essere un pilastro indispensabile dell’imperialismo occidentale nella regione.
Il governo SYRIZA-ANEL (Greci Indipendenti) ha motivi piuttosto simili. Come dichiara lo stesso ministro dell’Immigrazione Giannis Mouzalas, la Grecia deve accogliere da 50.000 a 70.000 profughe/i. Si tratta di un problema «gestibile», ma questa politica è inserita nella «valorizzazione» utilitarista, mediatica e politica del tema, tra gli altri dal ministro della Difesa Panagiotis Kammenos. Anche nelle dichiarazioni di Tsipras, è evidente che essi cercano di legare la politica relativa ai profughi con un certo allentamento delle pressioni dei creditori che chiedono un’applicazione più rapida del terzo Memorandum.
E secondo Dimitris Avramopoulos, il Commissario europeo per le migrazioni, la marina e la polizia portuale della Grecia sono abbastanza forti per applicare con successo una politica di «dirottamento» dei profughi. Quello che le forze greche non possono imporre, è che la Turchia riammetta i profughi già «dirottati».
Un rischio enorme pesa sulla testa di uomini disarmati e impotenti: la NATO dispiega la sua armada in un territorio «caldo», a una distanza minima dalla Siria e dalle fregate russe che si trovano già nel Mediterraneo orientale. Ma anche le relazioni tra la Turchia e la Grecia sono un fattore che rende pericolosamente più complessa la situazione.
Giochi di potere
La questione della sovranità nel mar Egeo è regolata dal trattato di Losanna. Un trattato tra la Turchia e i paesi balcanici, principalmente la Grecia per quanto riguarda il mare, sotto la garanzia delle grandi potenze dell’epoca. Il trattato di Losanna (1923) dà alla Grecia la sovranità su numerose isole del mar Egeo e le nomina una ad una, ma conclude che se ci sono altre questioni di sovranità saranno regolate da nuovi trattati bilaterali sotto la garanzia delle «grandi potenze».
Come ci si poteva aspettare, la Grecia e la Turchia hanno cercato di interpretare il trattato secondo i rapporti di forza tra i due Stati.
La Turchia, dopo avere eliminato la minoranza greca cristiana di Istanbul (1919-1922) cerca soprattutto di mantenere le acque territoriali della Grecia a 6 miglia nautiche, affinché il mar Egeo resti un «mare aperto», con passaggi verso le acque internazionali. Le grandi potenze, e anche l’URSS all’epoca, l’hanno sostenuta, poiché era nel loro interesse disporre di un passaggio libero nel mar Egeo e nel Mediterraneo orientale.
La Grecia, soprattutto dopo la disfatta a Cipro nel 1974, dopo aver militarizzato le isole dell’Egeo orientale, segue una politica di «mare greco» (uno sforzo di estensione delle sue acque territoriali, di messa in discussione della sovranità sugli isolotti rocciosi che hanno un’importanza strategica, ecc.)
L’equilibrio delle forze su questo tema è ancora indeciso. È la ragione del confronto «freddo», che costa caro in denaro ma anche in vite umane, come nel recente incidente che ha visto inabissarsi un elicottero militare nel mar Egeo, presso la piccola isola di Kiranos (11 febbraio 2016).
L’operazione della NATO, nelle intenzioni, dovrebbe evitare di accrescere questa tensione: le forze greche e turche opereranno nei limiti della loro sovranità riconosciuta su scala internazionale. Però, la natura della regione (che comporta centinaia di isolotti, scogli, ecc.) ma anche quella delle operazioni in questione (inseguimento di gommoni quasi incontrollati, sovraccarichi di esseri umani…) è tale che non sono da escludere avvenimenti incontrollabili. Senza neanche parlare dei rapporti di addestramento comune tra gli eserciti di Israele e della Grecia. La storia recente (la crisi d’Imia, ma anche altri casi «ignoti») dimostra che incidenti di questa natura possono arrivare fino al’orlo di una guerra.
Tutto ciò dovrebbe essere inaccettabile per un governo democratico (per non parlare di quelli che si presentano come… sinistra radicale). In queste condizioni di rigore assoluto, in queste condizioni di crisi sociale profonda, il gioco del razzismo in combinazione con il nazionalismo e la politica imperialista non è solo inaccettabile ma estremamente pericoloso.
La Sinistra, il movimento operaio, la maggioranza sociale hanno tutto l’interesse a continuare a dimostrare la loro solidarietà concreta alle/ai profughe/i e a proclamare «fuori la NATO dal mar Egeo e dal Mediterraneo orientale» e a prevenire ogni eventualità di risveglio dei peggiori nazionalismi nella regione.
1) La NATO, l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, creata nel 1949, riunisce 29 paesi: Belgio, Canada, Danimarca, Stati-Uniti, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi-Bassi, Portogallo, Regno-Unito (tutti hanno aderito nel 1949), Grecia e Turchia (1952), Repubblica Federale Tedesca (1955), Spagna (1982), Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca (tutte e tre nel 1999), Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia (integrate nel 2004), Albania, Croazia (2009).
La semplice cronologia delle «adesioni» alla NATO, alla quale si aggiunge la politica di frammentazione dell’ex Jugoslavia, (in un’interazione tra gli apparati dominanti delle ex regioni e la politica dei paesi imperialisti) del tipo Montenegro o in Kosovo (il campo Bondsteel), paesi in piena disfatta, chiarisce la politica militare (nel senso ampio del termine) della NATO. (Red. A l’Encontre)
2) Il 3 0ottobre 2013, un’imbarcazione che trasportava 500 «migranti» africa/i/e è naufragata vicino all’isola di Lampedusa. La catastrofe ha causato 366 morti, il che ne fa la seconda più grande tragedia nel Mediterraneo dall’inizio del XXI secolo.(Red. A l’Encontre)
3) Nell’aprile 2015, secondo le cifre fornite dall’Organizzazione Internazionale per le migrazioni, (una denominazione appropriata «unesca») – citate da Le Monde del 20 aprile 2015 – 22.000 persone sono morte dall’anno 2000, nel tentativo di raggiungere l’Europa. Nel 2014, oltre il 75% dei migranti morti nel mondo, sono morti nel Mediterraneo. Questa tragedia si è prolungata. All’inizio di settembre, l’Organizzazione Internazionale per le migrazioni ha pubblicato queste cifre. Dal gennaio 2015, circa 220.000 profughi sono arrivati in Grecia, e circa 115’000 in Italia. Da questa data, più di 2643 persone sono perite in mare dopo aver tentato di raggiungere l’Europa. (Red. A l’Encontre)
4) La stampa economica tedesca e un settimanale come Die Zeit, hanno messo in luce l’importanza di questa ondata di profughi/e immigra/i/e per il capitale tedesco – un paese a bassi salari, contrariamente ai miti – la cui storia è segnata, dopo la seconda guerra mondiale, da ondate di migranti che venivano dalla Germania Est (DDR) prima della costruzione del muro nel 1961, da lavoratori che venivano dall’Italia, dalla Spagna, dalla Turchia, da «paesi» membri della Federazione jugoslava, poi dalla Polonia, dall’Ungheria, dalla Russia, dall’Ucraina (con aspetti di lavoro stagionale). Attualmente, una parte del padronato prende iniziative per «utilizzare» una parte dei «richiedenti asilo» qualificati che vengono dalla Siria o dall’Iraq e da altri segmenti dell’economia ( pulizia, costruzioni, subappalti). Il dibattito è evidentemente politico, in un quadro di messa in discussione in pratica dell’Accordo di Schengen, e si basa non solo sulle iniziative di Pegida, ma anche della politica di Merkel e Schäuble: ridurre le spese sociali degli abitanti, il che suscita reazioni di un settore degli abitanti verso le «enormi spese» a favore dei profughi (mentre si tratta di un investimento anticipato per avere accesso a una forza lavoro cresciuta di numero e sotto pressione per il suo statuto e la disoccupazione).(Red. A l’Encontre)
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