Non poteva che essere così ed è anche logico che sia così: il dibattito sulla scuola sfocia immediatamente su quello delle cosiddette “risorse” che lo Stato (nelle sue diverse articolazioni) mette a disposizione. Il dibattito assume così due dimensioni: quella, diciamo così, di politica finanziaria e quella, più di fondo, sul ruolo che la scuola deve avere. Le due dimensioni non possono essere, evidentemente, separate: non avrebbe senso, dal nostro punto di vista, rivendicare più risorse per una scuola che andasse in una direzione radicalmente opposta a quella che immaginiamo.
A non voler fare il necessario legame tra queste due dimensioni è il capo del DECS Manuele Bertoli i cui interventi sono tesi a far passare l’idea che lui, dopo tutto, si trova dalla stessa parte dei docenti; e che sarebbero i docenti, ed in particolare le organizzazioni che stanno stimolando la loro mobilitazione, a muoversi su un terreno sbagliato. Facendo capire che l’unico terreno giusto sarebbe quello di un sostanziale sostegno alla politica condotta dal DECS, ai suoi progetti, alle sue iniziative. alle sue visioni della scuola. E che la lotta per più “risorse” deve essere condotta e pensata come lotta per trovare i necessari finanziamenti a realizzare progetti e iniziative dipartimentali.
Ora questa visione è perlomeno falsa, nel senso che non corrisponde ai fatti che sono sotto gli occhi di tutti.
Tanto per cominciare, la politica del DECS negli ultimi anni, si è caratterizzata per una serie di decisioni e orientamenti in netto contrasto con le sensibilità emerse tra i docenti. A questo proposito potrebbero essere citati, come esempi significativi, la revisione della legge sull’aggiornamento dei docenti e il documento sul profilo professionale. La prima è stata approvata malgrado una petizione firmata da migliaia di docenti ne contestasse gli orientamenti di fondo; il secondo è stato rimandato al mittente praticamente da tutti i collegi dei docenti del Cantone. Un rifiuto, quest’ultimo, assai significativo, visto i tema in discussione. A dimostrazione che i docenti e il DECS hanno un visione radicalmente diversa di quello che oggi si intende per professionale del docente.Un rifiuto e una condanna senza appello, che mostra quanta poca sintonia vi sia tra il DECS, la sua visione della scuola, la sua visione del ruolo del docenti e, quindi, anche delle prospettive future della scuola.
E veniamo alla cosiddetta questione delle risorse. Anche qui Bertoli ama atteggiarsi a vittima delle decisioni degli altri (è uno su cinque ama ripetere). E anche qui il suo appello è a sostenerlo acriticamente: cosa che, ci fa capire, gli permetterebbe (anche se solo contro tutti) di spuntarla in governo e riuscire ad ottenere più risorse per la scuola. In questo ragionamento egli vede con grande fastidio qualsiasi valutazione critica sui progetti che presenta. Sui quali, secondo lui, non val la pena di sottilizzare e bisognerebbe limitarsi a prenderli così come sono presentati (significativo il fastidio con il quale lui e i suoi più stretti collaboratori hanno reagito alle prime critiche sul progetto “La scuola che verrà”).
Su questo tema delle cosiddette risorse sarà utile, una volta per tutte, fare un po’ di chiarezza. Solo chi vuole continuare a raccontare balle può affermare che ci saranno risorse a disposizione, nell’attuale quadro politico, per aumentare in modo sensibile investimenti e spese nella scuola, condizione necessaria per abbozzare qualsiasi discorso di possibili “riforme”. Questo perché, approvando e facendo approvare in votazione popolare, la legge sul freno all’indebitamento, i partiti di governo hanno di fatto sposato l’idea che si debba tendere al pareggio di bilancio, instaurando nei fatti una politica di permanente contenimento della spesa pubblica. Queste idee di fondo sono state condivise da tutti e la proposta governativa su questa tema era stata unanime. Alla fine il partito di Bertoli non ha sostenuto la modifica in votazione popolare non certo perché ne contesti obiettivi e principi, ma semplicemente perché avanza riserve sulle modalità adottate dal Parlamento per fare adottare un eventuale aumento di imposte di fronte ad un sorpasso del deficit messo a Preventivo.
A nostro modo di vedere il nodo fondamentale del cosiddetto problema delle risorse sta proprio qui. Non vi sarà alcuno spazio di manovra possibile finché la legge sul freno all’indebitamento agirà come una sorta di cappio al collo della spesa pubblica cantonale.
Se Bertoli volesse essere un minimo credibile, agli occhi dei docenti ma anche di coloro che, anno dopo anno, saranno inevitabilmente vittime di questo meccanismo, dovrebbe rimettere in discussione chiaramente gli obiettivi sui quali poggia questa politica: pareggio di bilancio, stabilizzazione o diminuzione del debito, etc.
Discorsi fumosi su un’auspicabile simmetria finanziaria (contenimento delle spese e aumento delle entrate) non porteranno da nessuna parte e non faranno che alimentare lo spazio di manovra di coloro che in realtà pensano che una politica di contenimento della spesa pubblica sia la priorità politica.
È qui il nodo di fondo. E, da socialisti, (affinché il termine abbia ancora un senso) si dovrebbe rispondere sostenendo apertamente il movimento degli insegnanti, sia nella sue richieste di più risorse per la scuola, sia in quella di essere protagonista attivo (non solo componente “consultata”) per costruire un modello di scuola diverso da quello neoliberale verso il quale, sempre più, ci si sta orientando.