È cominciata la discussione sul nuovo CCL nel settore della vendita. Le parti, “fiduciose”, si sono date 90 giorni di tempo per concludere un CCL. Il modello al quale tutti guardano è quello di Neuchâtel, non solo perché in quel cantone l’applicazione della Legge sugli orari di apertura è stata legata alla conclusione di un CCL (come in Ticino), ma perché in quel cantone tutte le parti (Unia compresa) hanno poi firmato un CCL entrato in vigore.
Le caratteristiche di quel CCL (al quale guardano i dirigenti di Federcommercio e della DISTI che siedono al tavolo dei negoziati) sono tali che, se adottate anche in Ticino, rappresenterebbero un vero e proprio affare per i padroni, in particolare per quelli della grande distribuzione che vedrebbero entrare in vigore, praticamente a costo zero ,il prolungamento degli orari di apertura dei negozi sancito nella legge.
Il CCL di Neuchâtel infatti non vale per tutti i negozi di vendita presenti sul territorio cantonale: con una “furberia” contrattuale è stata esclusa la grande distribuzione, cioè quei datori di lavoro che “sono già sottoposti a un contratto collettivo di lavoro le cui condizioni di lavoro sono, complessivamente, equivalenti o migliori di quelle contenute nel CCL”. La formula è perlomeno ambigua (cosa significa condizioni equivalenti? operazione di fatto impossibile da definire); in Ticino significherebbe che tutta la grande distribuzione (Migros, COOP, al limite anche Manor che gode di un regolamento-contratto interno, Lidl, Aldi, etc) sarebbe esclusa dal nuovo CCL. Così come lo sarebbero tutti i negozi ubicati al Foxtown. D’altronde questa intenzione di chiamarsi fuori da un futuro CCL è stata ribadita dai rappresentanti della grande distribuzione la sera stessa del 28 febbraio. Interrogato a tale proposito dal Teleticino, Enzo Lucibello , rappresentante della DISTI, dichiarava che la grande distribuzione avrebbe mantenuto le proprie regolamentazioni contrattuali.
In altre parole quelli che ci guadagnano di più dalla nuova regolamentazione sugli orari di apertura sono coloro che non dovranno fare alcuno sforzo per compensare i peggioramenti che questa nuova regolamentazione comporterà per i lavoratori e le lavoratrici. Uno “scambio” che, agli occhi di chi ha difeso la nuova legge, dovrebbe portare vantaggi a tutti (orari in cambio di un CCL), ma che alla grande maggioranza dei salariati della grande distribuzione non porterà proprio nulla. Né ora, né in futuro, dato che questo futuro CCL, che Federcommercio vuole impostare al ribasso dal punto di vista salariale, non porterà nessun miglioramento nemmeno in caso di adeguamenti salariali o normativi.
Una seconda questione, strettamente connessa, riguarda la rappresentatività di chi sta negoziando a nome dei commercianti. Infatti Federcommercio e DISTI non hanno alcun titolo per negoziare un CCL a nome di tutta la categoria. Già la presenza di entrambe queste due associazioni al tavolo negoziale è di per sé discutibile, nella misura in cui una (DISTI) appartiene all’altra (Federcommercio). La presenza di Federcommercio sarebbe quindi sufficiente a rappresentare tutti.
Ma, come detto, si pone un problema di rappresentatività almeno a due livelli.
Il primo, lo ribadiamo, è legato al fatto che DISTI, l’associazione che rappresenta la grande distribuzione, non ha alcuna intenzione di sottoscrivere l’eventuale CCL, poiché dispone già di CCL nazionali (Migros, COOP, Denner, etc).Non si capisce quindi per quale ragione dovrebbe concorrere, decidere, di un CCL che non ha alcuna intenzione né di sottoscrivere, né di applicare.
Ma la cosa diventa ancor più problematica se pensiamo al ruolo di Federcommercio che siede al tavolo delle trattative, supponiamo, poiché “rappresenterebbe” i piccoli e medi commerci, quelli che dovrebbero essere sottoposti all’eventuale CCL. Supponiamo che la presunta rappresentatività di questa associazione sia desunta dal fatto che di essa fanno parte le locali Società dei Commercianti (Lugano, Bellinzona, Chiasso, etc.). Ebbene basterebbe passare in rassegna i soci appartenenti a queste società dei commercianti regionali per rendersi conto della loro totale mancanza di “rappresentatività” (naturalmente per quel che riguarda il settore in discussione: cioè quello della vendita al dettaglio). Scorrendo gli elenchi dei soci (disponibili sui siti di queste società), troveremo quasi tutti i ristoranti e caffè della regione; oltre a molte aziende del terziario impiegatizio (banche, assicurazioni, etc) e altre attività di servizio (parrucchieri, saloni di bellezza, etc). Il nucleo interessato dall’eventuale CCL è veramente ristretto e sicuramente assolutamente non rappresentativo dal punto di vista quantitativo.
In queste condizioni Christian Vitta sta facendo un’operazione assolutamente illegale: cioè ha convocato a negoziare un CCL associazioni dei datori di lavoro che non vogliono firmare l’eventuale CCL o/e non sono rappresentative dei datori di lavoro che dovrebbero aderire al CCL.
In queste condizioni non solo la stipulazione di un CCL (al di là delle condizioni concrete in esso contenute di cui parliamo nell’articolo qui sopra) sarebbe assolutamente illegale; ma difficilmente esso riuscirebbe ad ottenere il decreto di obbligatorietà.
Vi sarebbero poi molte altre obiezioni (a cominciare dall’analisi dei presunti vantaggi che i lavoratori dei negozi piccoli e medi avrebbero da un CCL così come si sta configurando); ma di questo parleremo in un prossimo articolo.