Hanno dovuto ammetterlo tutti (alcuni magari a denti stretti): la mobilitazione dei docenti del 23 marzo è stata un successo. Sia dal punto di vista della partecipazione dei docenti alla giornata (che è, innanzitutto, il dato più importante), ma anche dal modo in cui il movimento dei docenti è stato capace di proporre le sue analisi, le sue preoccupazioni, le sue rivendicazioni (magari formulate anche in modo generico) e queste sono state recepite, ascoltate dal resto della popolazione.
A questo risultato hanno contribuito sicuramente sia le modalità scelte per la protesta (tenere aperte le scuole che governo e DECS volevano chiuse quel giorno), sia le forme con le quali la giornata è stata organizzata. Da un lato una presenza a scuola (in molte sedi di media e elementare con la presenza di allievi con i quali sono state organizzate delle attività scolastiche, tradizionali o “alternative”); dall’altro l’incontro il pomeriggio in piazza governo.
Infine, aspetto pure importante, la partecipazione degli studenti del settore medio superiore (SMS). Non tanto forse per l’aspetto quantitativo (per finire nelle scuole al mattino nelle cinque sedi di SMS alle attività non hanno partecipato più di 5-600 studenti, la metà più o meno concentrata al Liceo di Mendrisio); quanto, piuttosto, per la loro presenza in piazza governo con un corteo attivo, variopinto e dinamico. La loro presenza, unitamente alla partecipazione di settori tradizionalmente non attivi in queste occasioni (come i docenti delle scuole comunali) e dei genitori, hanno mostrato la coralità della protesta che ha investito il mondo della scuola.
Come continuare?
Spetterà ai docenti, organizzati nei loro comitati, nelle assemblee delle loro sedi, discutere e decidere se e come continuare in questa mobilitazione e quali aspetti privilegiare in questa mobilitazione.
A noi pare che una continuazione sia senz’altro necessaria. E questo poiché sono le scadenze oggettive che richiedono di confrontarsi con esse e di prendere posizioni, di continuare a “manifestare” il punto di vista dei docenti (e di coloro che alla loro mobilitazione vorranno aggiungersi). Pensiamo qui al pacchetto di risparmi di imminente pubblicazione (che toccherà la scuola malgrado le dichiarazioni di Bertoli relative alla scuola dell’obbligo che non verrebbe toccata dal pacchetto), o ancora alla presentazione della nuova scala salariale, dalla cui discussione governo e organizzazioni sindacali continuano di fatto a tenere lontani i docenti (con una totale mancanza di trasparenza su quanto finora deciso attorno ai vari “tavoli tecnici” concordati con il governo). Ma, per ultima ma non ultima, la presentazione a fine aprile del primo progetto di attuazione (chiamiamolo così) dei principi enunciati nel documento illustrativo del progetto “La scuola che verrà”. Un appuntamento cruciale per discutere che tipo di scuola vogliamo e per confrontare gli orientamenti che emergono dalle discussioni fin qui condotte tra e dagli insegnanti e che sembrano non coincidere con gli orientamenti perseguiti dal responsabili del DECS. Staremo a vedere.
Bisogna quindi continuare la mobilitazione per rispondere alle interrogazione che emergeranno da queste proposte. Una mobilitazione che deve camminare, come sempre, su due gambe. Da un lato la capacità di analisi, di critica, di articolazione di proposte alternative se necessario: e la discussione, l’approfondimento analitico e critico sono e debbono essere parte integrante di questa mobilitazione.
Ma accanto a questo momento vanno cercati anche momenti di presenza attiva, nelle scuole e nella società, dei docenti (degli studenti se è possibile): per manifestare, per rendere evidenti, le nostre proposte e le nostre critiche, per sostenerle e per fare che diventino protagoniste del dibattito politico sul futuro della scuola.