Nel commentare la notizia della decisione della Procura pubblica di promuove l’accusa nei confronti della dirigenza dell’Ente Ospedaliero Cantone (EOC) in merito alla vicenda dei pazienti infettati all’Ospedale Civico di Lugano, Il presidente cantonale dell’Ordine dei medici, dottor Franco Denti, affermava, sul Corriere di sabato scorso: «Questi errori, sono spesso collegati a problematiche derivanti dalle condizioni di lavoro (…) Bisogna assolutamente ripensare la gestione del personale del Civico. Un ente pubblico non può essere condotto con una cultura ospedaliera manageriale, che si concentra sulla produttività». Parole sante!
E che ci permettono di ricordare come alcuni temi che ruotano attorno a questa vicenda siano gli stessi al centro delle discussioni che si stano sviluppando in vista della votazione del prossimo 5 giugno in materia di pianificazione ospedaliera.
Il referendum contro la revisione della LEOC e l’iniziativa «Giù le mani dagli ospedali» pongono il problema del rapporto tra pubblico e privato nel settore ospedaliero e cercano di opporre una logica pubblica a quella privata. Non perché il privato sia da demonizzare (vi sono cliniche private che offrono eccellenti prestazioni), ma perché la logica dei gruppi privati che investono nel settore sanitario e ospedaliero è quella della cultura manageriale, della ricerca del massimo ritorno sugli investimenti, della massima produttività. Logiche che si sono, in questi ultimi anni, affermate in quelle che una volta erano le aziende del servizio pubblico, stravolgendone spesso, e in modo radicale, le regole di gestione.
Ora, con la nuova pianificazione ospedaliera (e la revisione della LEOC sulla quale saremo chiamati a votare) si vuole estendere ulteriormente questa cultura ospedaliera manageriale, attraverso ulteriori alleanze con gruppi privati che investono nella salute principalmente con fini di profitto. E questa logica produttivistica e manageriale è spinta all’eccesso non solo da queste alleanze, ma anche da nuovi sistemi che si sono voluti introdurre nella gestione degli ospedali: a cominciare dal finanziamento all’atto (i famigerati DRG) che spingono proprio in direzione di una maggiore produttività, di permanenti processi di razionalizzazione, di soppressioni e/o fusioni di strutture ospedaliere e reparti. Ogni prestazione medica in ambito ospedaliero tende a diventare per molti aspetti simile alla produzione di qualsiasi altro bene o servizio di cui il mercato sia capace.
Un secondo aspetto sollevato da questa vicenda è il rapporto tra la qualità delle prestazioni ospedaliere e la dimensione degli ospedali. Da parte dei difensori della pianificazione ospedaliera ci viene costantemente ricordato come la qualità (a cominciare dalla diminuzione degli errori medici, ma anche tutte le complicazioni endogene alla permanenza in ospedale) sia inversamente proporzionale alla dimensione degli ospedali. Più sono grandi le dimensioni degli ospedali che offrono le prestazioni, migliore sarebbe la qualità delle cure ricevute dal paziente e minori i rischi di errori o complicazioni.
Naturalmente tutte queste affermazioni non vengono assolutamente dimostrate. Ad esempio, per portare prove a sostegno del fatto che la concentrazione dei parti in un minor numero di ospedali diminuirebbe il tasso di mortalità, i responsabili dell’EOC son costretti a fare riferimento alla situazione del Portogallo. Paese rispettabilissimo, intendiamoci, e sulla cui politica sanitaria, sui modi di finanziamento, ecc. vi sarebbe molto da discutere; ma, ci chiediamo, per quale ragione, ad esempio, non fare un confronto sulla qualità dei parti tra le diverse cliniche (per dimensione e numero di parti) che abbiamo in Ticino? Non lo sappiamo. O forse sì. Forse la ragione sta proprio nel fatto che una simile analisi qualitativa arriverebbe a conclusioni diverse dalla situazione portoghese.
E che le cose stiano così cominciano a pensarlo, crediamo, anche la maggioranza dei ticinesi per i quali quanto accaduto al Civico (l’ospedale più grande di quelli ticinesi, candidato a diventare l’ospedale unico cantonale come vorrebbe il suo direttore sanitario che non perde occasione per ripeterlo pubblicamente) si sta ormai ripetendo con una eccessiva frequenza. Capita ormai sempre più spesso che questo tipo di incidenti avvengano proprio nell’ospedale più grande del Cantone.
E allora, eccoci alla iniziativa «Giù le mani dagli ospedali» che vuole proprio opporsi alla concentrazione massificatrice degli ospedali in Ticino, mantenendo negli attuali ospedali regionali i reparti di base fondamentali. È questa, secondo noi, la migliore garanzia di qualità, di cura – nel senso più ampio del termine, di un’attenzione e di una organizzazione nelle quali il paziente sia veramente al centro, non un semplice numero; un numero può essere confuso o frainteso, un uomo o una donna in carne e ossa no!
La triste vicenda del Civico deve quindi essere un utile campanello d’allarme e invitare i cittadini e le cittadine di questo cantone a votare NO alle revisione della LEOC (legata cioè a un concetto di pianificazione ospedaliera orientata su una cultura manageriale) e a votare sì all’iniziativa «Giù le mani dagli ospedali», per continuare ad avere ospedali a misura di uomo, di donna e di bambino.
*Opinione pubblicata sul Corriere del Ticino del 22 aprile 2016