La giornata del 31 marzo, data del secondo sciopero generale indetto dalle sigle sindacali più combattive, ha evidenziato in maniera lapalissiana una tendenza di crescita inerente alla contrapposizione popolare alle politiche di austerità che il governo francese vorrebbe ulteriormente implementare.
Nei fatti, più di un milione di persone, tra le quali studenti, lavoratori, pensionati, dipendenti pubblici e militanti di sinistra, hanno manifestato nelle piazze delle principali città di Francia contro la cosidetta “loi El Khomri”, la sciagurata riforma del diritto del lavoro che il governo del premier Manuel Valls chiede di imporre a beneficio del Medef, la confindustria d’oltralpe. Un progetto di legge aggressivo, che punta a trasformare profondamente il codice del lavoro a discapito dei lavoratori. Un Jobs Act sul fallimentare modello Renzi che, seppur edulcorato dai ripensamenti del governo davanti alle costanti mobilitazioni, prevede licenziamenti più facili e meno costosi per le aziende, liberalizzazioni, diminuzione dei ricorsi al giudice, aumento delle ore di lavoro e della flessibilità, limitazione delle indennità e tagli alla remunerazione degli straordinari, eliminazione della garanzia di congedo in caso di malattia di un familiare, e che include tanti nuovi dispositivi che permetteranno a certe misure aziendali di essere imposte con un semplice referendum anche contro il parere del 70% dei sindacati, mentre gli accordi interni (al ribasso) avranno priorità sulle intese di categoria. Insomma, la solita ricetta neoliberista, tanto iniqua quanto amara, che per coazione a ripetere viene designata come cura per il malato (il lavoro, la società, il popolo) al quale ha provocato la malattia stessa.
Le grandi mobilitazioni delle ultime settimane, iniziate il 9 marzo con 500mila persone al primo sciopero generale, avevano già costretto l’esecutivo ad apportare delle modifiche (rivelatesi chiaramente marginali) a un testo nettamente sbilanciato a favore degli interessi del grande capitale e degli imprenditori. Ma al di là delle inutili modifiche, o dei sondaggi (il 75% dei francesi sarebbe contrario al disegno di legge), il radicale rifiuto della riforma ha dato origine a una protesta che potrebbe rappresentare un passo decisivo per la costruzione di un movimento più ampio, unitario e di massa, auspicato dalle forze sociali e politiche anticapitaliste. Il successo dello sciopero del 31 marzo è legato allo sviluppo di una visione sistemica della lotta di classe, la stessa che sta cercando di rinnovarsi dinanzi all’attacco coordinato delle classi dominanti francesi ed europee.
Le prossime azioni condivise, in programma per il 5 e il 9 aprile, vanno dunque nella giusta direzione e, in questo senso, l’impegno continuo delle organizzazioni giovanili può risultare fondamentale. Solo alcuni giorni fa, durante il suo intervento tra i “jeunes” del NPA, Olivier Besancenot, ha parlato di una situazione molto complicata, ma che potrebbe essere favorita dall’inasprimento del conflitto sociale contro il governo, facendo presto vivere ai giovani dei momenti esaltanti. Il portavoce del partito anticapitalista ha poi giudicato funzionale al progetto di legge la repressione e l’impunità assicurate in Francia dallo stato di emergenza.
Proprio in questi mesi infatti, il Nouveau Parti Anticapitaliste è stato alla testa dei cortei d’opposizione popolare alle politiche liberticide imposte dal presidente François Hollande come miope risposta agli attentati del 13 novembre 2015. Legittimata dal governo, la violenza della polizia viene indirizzata contro chi si oppone e resiste al paradigma dominante, quello dell’emarginazione sociale, della perdita di diritti, della rassegnazione allo sfruttamento. Attivisti e organizzazioni, politiche e sociali, sono state fatte bersaglio delle manovre e delle mistificazioni di un esecutivo guerrafondaio, che con la sua retorica del “paese in guerra” ha contribuito in maniera essenziale all’ulteriore diffusione di beceri sentimenti razzisti e islamofobi, arrivando al punto di riuscire nell’impresa di far aumentare il consenso elettorale verso il Front National, il partito neofascista diretto da Marine Le Pen.
Vittimismo di numerosi abusi di polizia, gli studenti sono stati colpiti duramente, basti pensare alla brutale irruzione della CRS (la celere francese) presso l’università Tolbiac o al recente pestaggio del liceale Henri Bergson. Ma è proprio grazie alla convergenza tra giovani, lavoratori e dipendenti pubblici che il governo è in preda al panico. François Hollande e Manuel Valls impiegano, come hanno sempre fatto, il loro braccio armato per cercare di mettere a tacere il dissenso. Intimidazioni e provocazioni da parte della polizia per aumentare la tensione durante le manifestazioni (teoricamente proibite dallo stato di emergenza), e poter così strumentalizzare i possibili incidenti a proprio vantaggio, sono il pane quotidiano di un governo che ormai, sebbene confrontato dall’aumento delle disuguaglianze, non intende ridistribuire neppure le briciole.
Lo slogan “police partout, justice nulle part!” illustra in maniera semplice ma lampante gli obbiettivi di un governo che non considera minimamente la giustizia sociale ed i diritti come basi imprescindibili per un’uscita progressiva e definitiva dalla crisi economica geneticamente collegata alle ipocrisie e alle ingiustizie del sistema capitalista. I francesi si stanno opponendo con dignità e coraggio a una riforma del diritto del lavoro in senso neoliberista che fa parte integrante delle politiche di austerità con le quali i governi europei, quelli del filo spinato, dei muri e delle operazioni militari per indenterci, stanno sgretolando il sistema sociale e pubblico dell’intero continente (e non solo).
In questo contesto controverso, la giornata del 31 marzo potrebbe aver segnato l’inizio di una battaglia di dimensioni più grandi di quel che possiamo immaginare, in grado di implementare in un prossimo futuro un movimento di lotta intergenerazionale contrapposto all’intero sistema in rovina. Nelle prossime settimane la portata delle mobilitazioni stabilirà se questa speranza potrà essere presto condivisa da tutti gli altri popoli europei.