Svolta “storica” nella situazione spagnola. Le delegazioni di Podemos e Izquierda Unida sono giunte a un “preaccordo” [i suoi punti più significativi sono riportati in appendice qui sotto] per la formazione di una coalizione elettorale, aperta anche ad altre forze politiche, in vista delle imminenti elezioni, il 26 giugno.
In entrambe le formazioni politiche hanno prevalso non solo considerazioni meramente tattiche (vantaggi significativi in termini di seggi dato l’iniquo sistema elettorale spagnolo, che in dicembre aveva penalizzato soprattutto Izquierda Unida, sterilizzandone in gran parte i voti), ma anche alcune di più ampio respiro: l’esistenza di una robusta corrente d’opinione favorevole a una lista unitaria, espressasi in numerosi appelli sottoscritti non solo da un cospicuo numero di esponenti della cultura spagnola, ma anche da numerose organizzazioni sociali di base; la maturazione, all’interno dei due partiti, della consapevolezza di doversi sbarazzare, almeno in parte, di esigenze meramente “identitarie”, che rischiavano di perpetuare all’interno della sinistra anticapitalista spagnola una guerriglia fratricida; la consapevolezza che l’arroccamento sulle precedenti posizioni non poteva che favorire il mantenimento al potere della destra del Partido Popular. [1]
Domani e dopodomani (il termine ultimo per l’iscrizione della coalizione presso la Junta Electoral Central è venerdì prossimo) il “preaccordo” dovrà essere approvato dalla base di entrambe le formazioni (che comunque, ne aveva già approvato il principio). Resta da stabilire la denominazione, che potrebbe essere Unidos sí podemos, seguita dalle sigle di Podemos e Izquierda Unida e, nelle circoscrizioni in cui la coalizione comprenderà altre forze, da quelle di quest’ultime. L’altro scoglio, rappresentato dalla formazione delle liste, sembra superato: si assegneranno i seggi ipoteticamente “sicuri” sulla base dei risultati percentuali ottenuti dalle due formazioni lo scorso dicembre, con un leggero vantaggio (circa il 5 % in più: da 9 a 10 seggi rispetto ai 2 attuali) per Izquierda Unida. Il segretario generale di IU, Alberto Garzón, sembra abbia accettato il quinto posto in lista a Madrid, facendo quindi a sua volta una significativa concessione [2]. Quanto al programma della coalizione, l’accordo è ai minimi termini, ma era irrealistico, probabilmente, aspettarsi di più: vi sarà un programma comune, ancora da definire nei dettagli, cui si atterranno rigorosamente le forze coalizzate, che però potranno condurre campagne elettorali separate sui punti non concordati.
Cosa significa l’accordo per la Spagna
Il significato politico dell’accordo, pur se dà vita a una coalizione elettorale basata su un programma minimo, è evidente. Scontata l’ostilità di alcune frange interne (soprattutto in IU: la componente di Izquierda Abierta, capeggiata da Julio Llamazares, molto ostile a Podemos), è molto probabile che l’accordo stimoli la formazione di maggiori confluencias, e cioè la formazione di altre coalizioni ampie: nella Comunità valenziana la confluenza era limitata a Podemos e Compromís, mentre ora comprenderà anche IU; in Galizia e Catalogna non è escluso che altre forze possano unirsi a, rispettivamente, En Marea e En Comú Podem; né è del tutto astratto pensare che si abbia qualche nuova confluencia, per esempio nelle Baleari. Quel che è certo è che l’accordo rivitalizzerà non pochi movimenti e associazioni di carattere unitario che nelle scorse elezioni avevano rifiutato di fare una scelta fra Podemos e IU. In poche parole, una robusta spinta unitaria e dal basso è prevedibile.
Cosa tutto ciò può significare in termini elettorali è più arduo da stabilire. Alla spinta unitaria dal basso fa da contrappeso un certo desencanto negli strati popolari meno politicizzati, delusi dalla mancanza di significativi cambiamenti nei mesi che vanno dal dicembre scorso a oggi, occupati da sterili teatrini parlamentari. Strati, questi, che potrebbero essere tentati dall’astensionismo (un regalo per il Partido Popular).
Allo stato dei fatti e trascurando i prematuri sondaggi (manca un mese e mezzo alle elezioni), si possono solo fare ipotesi di scuola. L’accordo, come si è detto, si basa sui risultati del dicembre scorso. Ora – ipotesi di scuola – se questi risultati si ripetessero tali e quali, la coalizione Podemos-IU sorpasserebbe il PSOE in voti e percentuale (24,5 % contro 22,2 %), diventando la seconda lista, ma – sempre per via del sistema elettorale spagnolo – otterrebbe un seggio in meno del PSOE (85 contro 86), ciò che appannerebbe non poco il risultato reale.
Anche in questa ipotesi minima – di scuola -, comunque, vi sarebbe un guadagno per la coalizione unitaria di 14 seggi, che – se i calcoli di chi scrive non sono errati – verrebbero sottratti al Partido Popular (7 seggi), a Ciudadanos (4 seggi), al PSOE (2 seggi) e al Partido Nacionalista Vasco (1 seggio). Come si vede, seggi sottratti quasi tutti alla destra e al centrodestra. Sul piano territoriale, la coalizione conquisterebbe 2 seggi in più nei Paesi Baschi (sottratti al PSOE e al PNV), 2 seggi in Aragona (sottratti al PP), 3 seggi in più in Castiglia-La Mancha, dove ne aveva solo due Podemos (2 sottratti a Ciudadanos, 1 al PP), 1 seggio in Murcia (dal PP), 4 in Andalusia (2 dal PP, 1 dal PSOE, 1 da Ciudadanos) e 2 nelle Canarie (da PP e Ciudadanos).
È però lecito considerare questa ipotesi come la base di partenza minima, puntando a risultati nettamente migliori. Non certo in grado di scalzare il PP dal primo posto, ma comunque capaci di vibrare un secondo colpo, decisivo, al sistema bipartitico spagnolo, aprendo una fase più acuta della crisi politica e sociale, la cui soluzione, chiuse ormai le urne, dipenderà dalla capacità di mobilitazione che la coalizione di sinistra sarà stata in grado di suscitare e sarà capace di prolungare.
Cosa significa l’accordo per l’Europa, per noi
Non può sfuggire a nessuno che dall’esito dell’esperimento in corso nel laboratorio spagnolo dipende in non trascurabile misura anche il nostro immediato futuro, in Italia e in Europa.
È sotto gli occhi di tutti lo stato miserando della sinistra in Europa. Soprattutto nelle sue componenti moderate, socialdemocratiche, ma anche nelle sue componenti radicali, anticapitaliste. Il processo di smantellamento della socialdemocrazia tradizionale e dei suoi alleati centristi procede a ritmi molto rapidi, molto più rapidi dei ritmi con i quali le sinistre anticapitaliste riescono a, o tentano di, costruire alternative minimamente credibili. Ciò significa che gran parte delle masse popolari (classe operaia compresa) che abbandonano socialdemocratici e democristiani va a ingrossare le fila dei partiti populisti di destra, perlopiù xenofobi, a volte fascisteggianti. Gli studi condotti sull’elettorato del Front national francese, della Lega Nord italiana, dell’AfD tedesca, del FPÖ austriaco eccetera non lasciano dubbi in proposito. Contro questo progressivo, a volte massiccio, spostamento a destra di settori significativi delle masse popolari a ben poco serve l'”antifascismo militante”: qui non si tratta di contrapporsi fisicamente a qualche banda fascista, ma di contrastare la perdita di ogni speranza da parte di strati sempre più ampi di lavoratori e di lavoratrici che si sentono, giustamente, traditi e abbandonati dalla sinistra “ufficiale”, che stentano ormai a distinguere nei comportamenti e nelle politiche dalle destre tradizionali. Colpite dalla crisi, impoverite non solo in modo relativo ma anche assoluto, senza lavoro o esposte a sempre più facili licenziamenti, con servizi sociali in costante diminuzione, c’è da meravigliarsi se cedono alle lusinghe dei demagoghi d’estrema destra che prospettano facili soluzioni riconducendo tutto a un’unica causa: ieri il “pericolo ebraico”, oggi il “pericolo islamico” rappresentato dai migranti?
Non c’è molto tempo a disposizione. C’è da riportare al centro del dibattito e dell’azione politica la questione sociale in tutto il suo drammatico spessore, senza per questo trascurare altri fronti di lotta, certo, ma ricollocandoli nel loro giusto contesto, nella loro dimensione relativa. Non è tempo di dispersione di forze in tutte le direzioni. E c’è da lavorare per favorire convergenze sempre più ampie fra le forze anticapitaliste e anche con quelle componenti del riformismo socialdemocratico (60 o 70 anni fa le avremmo definite “centriste”) che cominciano a prendere coscienza dei disastri provocati dal blairismo e dalle sue variopinte varianti nazionali, ma esitano ancora a “mollare gli ormeggi”.
La penisola iberica, Spagna e Portogallo, è oggi un laboratorio politico, ma è anche un’eccezione: è quasi l’unica parte d’Europa immune da movimenti xenofobi e fascisteggianti. Certo, ha dei partiti di destra classici, ma non significativi movimenti d’estrema destra. Aiutata in questo dal fatto che qui il problema dei migranti si pone in dimensioni molto più ridotte. Fatto non trascurabile, sicuramente, ma che da solo non spiega l’altro fatto: qui Bloco de Esquerda e PCP in Portogallo e Podemos e IU in Spagna rappresentano quote superiori al 20 % dell’elettorato e sembrano in grado di ampliarle nel prossimo futuro. Qui parti significative delle masse popolari hanno trovato un’espressione politica, e a quanto pare se la tengono. Non sarà il caso di farci qualche riflessione?
[1] Vedi in proposito, in questo sito, Spagna | Che fare se vi saranno nuove elezioni? e Spagna | La “crisi” di Podemos
[2] Nelle elezioni di dicembre Garzón era capolista a Madrid. Ora il primo e il terzo posto nella lista dovrebbero spettare a Iglesias e a Errejón, come la volta scorsa; il secondo e il quarto a compagne candidate, sulla base dell’alternanza “di genere” nelle liste.
Appendice | Preaccordo Izquierda Unida-Podemos
[Traduciamo i punti salienti del Preaccordo, omettendo le parti relative a dettagli tecnici minori – NdR]
1. Coalizione elettorale – È una coalizione elettorale sottoscritta, con le rispettive sigle, da tutti i partiti che la formano, che verrà registrata con la formula: Podemos-IU-XXX-XXX-XXX (gli altri partiti che ne fanno parte). Denominazione della coalizione (da decidere).
La partecipazione negli organismi direttivi della coalizione è fissata nella proporzione 1 a 4 […].
Le organizzazioni costituenti la coalizione riconoscono le rispettive identità, programmi e leadership.
2. Visibilità delle organizzazioni – È garantita la visibilità negli strumenti di comunicazione, nella campagna elettorale e nelle schede elettorali dell’immagine e dei simboli di ciascuna organizzazione.
Poiché alla coalizione possono aderire forze politiche d’ambito statale, autonómico [regionale – NdR] o locale, si deciderà, di comune accordo, quale procedimento adottare affinché, nella cornice generale della coalizione, si provveda a evidenziare al livello territoriale [interessato – NdR] la specificazione resa necessaria dall’adesione alla coalizione di un’altra forza politica.
3. Programma – Le organizzazioni aderenti […] concorderanno una piattaforma programmatica comune, che dovrà obbligatoriamente essere sostenuta collettivamente. Ne consegue che nelle questioni non comprese nella piattaforma comune ogni organizzazione manterrà la propria indipendenza.
4. Spese elettorali – Si è stabilito che la campagna elettorale dovrà essere austera. Poiché, anche se vi saranno iniziative comuni, la campagna elettorale sarà differenziata, ogni organizzazione provvederà a finanziare le proprie iniziative. Le somme stanziate da ogni organizzazione saranno comunicate all’organismo direttivo della coalizione. […]
5. Liste – L’accordo assume come riferimento i risultati del 20 dicembre [2015], e ipotizza il possibile risultato elettorale della coalizione sulla base della somma dei voti ottenuti da ciascuna organizzazione nelle ultime elezioni.
Sulla base di questa ipotesi (58 seggi per il Congresso dei deputati) [1] si confezioneranno le liste circoscrizionali in modo tale da garantire una proporzione di 1 a 6 dei seggi previsibili [rispettivamente per IU e per Podemos – NdR].
Per quanto riguarda il Senato, si stabilisce che IU sarà testa di lista in almeno 4 circoscrizioni.
Quando questo accordo sarà ratificato, si procederà alla formazione delle liste in ogni circoscrizione.
Nota della redazione
[1] Il numero dei seggi ipotetici non comprende quelli delle Comunità autonome dove erano già state realizzate coalizioni allargate (12 seggi in Catalogna, 9 nella Comunità valenziana, 6 in Galizia e 1 nella circoscrizione aragonese di Huesca), dove la proporzione fra le varie forze politiche dovrà essere decisa localmente.