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aaaaa-manifestation-contre-la-loi-travail-le-14-juin-2016-a-rennesScontri, casseurs, ferro, fuoco, feriti, frantumi. Sono le parole più ricorrenti nei titoli e nei pezzi di mercoledì da Parigi. A scorrere gli articoli si può scoprire che i feriti non sono gravi e che i “black bloc” (quanto gli piace chiamarli così) non erano che poche centinaia in mezzo a un milione di persone che sono arrivate a Parigi per contestare il jobs act, pari pari quello di Renzi e Poletti.

Ma il milione di lavoratori, forse, erano trasparenti, della stessa materia dello spettro che si aggira per l’Europa, che – come quello – turba i sonni – ma è innominabile. Meglio mescolare i fatti e chiacchierare sulla Francia nella morsa della violenza: hooligans, jihadisti, casseurs e servizio d’ordine della Cgt. E’ la vecchia storia del dito e della luna, cavallo di battaglia degli stessi giornalisti che hanno sostenuto che l’austerità avrebbe promosso la crescita, che la flessibilità avrebbe creato lavoro, che l’alta velocità, il petrolio e l’uranio impoverito fanno bene, che la guerra è umanitaria. Adoratori di vetrine, si direbbe, appena se ne rompe una nel centro cittadino loro ne soffrono tantissimo. E con gli occhi pieni di lacrime non riescono a mettere a fuoco il milione di lavoratori che manifesta contro lo sfruttamento, per trasformare i rapporti di forza.
Si può leggere su La Stampa, house organ della famiglia Agnelli, che «Coraggio e orgoglio gallico non bastano se l’irresponsabilità dei vecchi, anagraficamente e ideologicamente, sindacati francesi, mette i bastoni fra le ruote della società civile. Lungi dall’essere il motivo di tregua, gli Europei sono un bersaglio per terroristi e oggetto di ricatto per una Cgt corporativa».
Si invocano usanze antiche («Gli antichi Greci interrompevano le guerre per le Olimpiadi») e solo in fondo all’articolo di fondo si svela il vero timore dell’articolista: «La Francia è nell’occhio del ciclone. Potrebbe toccare a qualsiasi Paese europeo, proprio mentre intorno a Brexit si sta cementando la solidarietà trasversale anti-sistema e anti-politica».
«Nel momento in cui la Francia ospita Euro 2016 e affronta il terrorismo, non sarà più permesso a nessuno di fare dimostrazioni in piazza se non sarà garantita la salvaguardia e l’incolumità delle persone e dei beni pubblici e privati»: il governo socialista fa il duro, all’indomani del grande corteo del 14 giugno, La loi travail non si tocca, «è già il risultato di un compromesso con i sindacati riformisti raggiunto mesi fa», ha giurato il premier Valls che, con Hollande, il presidente, condivide il record della più bassa popolarità di un governo in tutta l’epoca della Quinta repubblica. Ma intanto altri due giorni di scioperi e manifestazioni in tutta la Francia sono già in programma per il 23 e 28 giugno. La lotta continua contro la legge, che non piace a tre quarti della società francese perché fa carta straccia del contratto nazionale e delle 35 ore: turni più pesanti, licenziamenti facili e buste paga più leggere. Contro questo si battono milioni di lavoratrici e lavoratori forti del sostegno dell’intersindacale (una sorta di unità d’azione tra Cgt, sindacato confederale, e Sud-Solidaire, sindacato di base)e di un movimento di giovani studenti e precari, le Nuit Debout che sta sfidando da più di cento giorni le strettoie dell’Etat d’urgence, lo stato di emergenza.

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