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aabisbrexitIl risultato del referendum in Gran Bretagna è di estrema importanza per la situazione sociale e politica in Europa. L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea approfondisce la crisi di questa istituzione creata da e per i grandi gruppi capitalisti del continente. Le borse sono cadute come non mai dalla crisi mondiale del 2008; la sterlina e l’euro perdono terreno; Cameron è stato costretto a dimettersi. La stessa Gran Bretagna rischia l’implosione, perché la Scozia e l’Irlanda del Nord, nazioni oppresse, si sono opposte all’uscita dall’Unione europea: la Scozia potrebbe imporre e vincere un nuovo referendum sulla sua indipendenza. Un grande polo imperialista, la seconda economia nella UE, vede la sua posizione indebolirsi.

La stessa UE vede a sua volta riaccendersi in modo spettacolare la sua crisi, crescente da parecchi anni e in particolare dopo la crisi greca del 2015.

Tuttavia non c’è alcuna ragione di rallegrarsi per le lavoratrici e i lavoratori, e ancor più per le/gli immigrate/i e i “razializzati” [stigmatizzati a causa del colore della pelle, dell’etnia, della provenienza] del Regno Unito e del resto d’Europa. A un anno di distanza stiamo vivendo infatti il referendum greco all’inverso. Il referendum organizzato da Tsipras nel luglio scorso era stato vinto (contro la volontà dello stesso) sotto la pressione di una popolazione che esigeva la rottura dell’austerità imposta dall’Unione europea; il referendum britannico è stato lanciato sotto la pressione della destra della destra e dell’estrema destra del paese, che hanno completamente egemonizzato i dibattiti referendari grazie ai canali della stampa. Così queste forze reazionarie, ultraliberiste, autoritarie e razziste sono largamente nel breve termine i primi beneficiari della Brexit. Non c’è una “Lexit (l’uscita di sinistra) possibile a breve termine in Gran Bretagna. Corbyn a sua volta è attaccato dalla destra del partito laburista per non aver difeso la UE così com’è. Nigel Farage l’infame dirigente razzista dell’UKIP, ha osato dire che ” questa vittoria è stata ottenuta senza sparare un solo colpo”, quando Jo Cox, deputata della sinistra britannica, sostenitrice de/i/lle rifugiati/e e femminista, è stata assassinata pochi giorni prima da un militante nazista inglese. Crudele simbolo, Jo Cox era anche molto apprezzata da/i/lle sirian/i/e che sosteneva contro Assad, l’ISIS e l’Europa fortezza. I reazionari pro-Brexit hanno saputo manipolare la crisi dei rifugiati e gli attentati, prodotti dalla controrivoluzione sanguinosa in Siria e dalla chiusura delle frontiere.
L’Unione europea, colpevole di un crimine premeditato contro i popoli d’Europa e in primo luogo contro il popolo greco, colpevole di crimini contro l’umanità per i/le rifugiat/i/e che lascia morire alle frontiere, è profondamente indebolita. Ma non abbiamo, anche in questo caso, motivo per felicitarci. Le forze di estrema destra del continente sono in prima fila per approfondire questa crisi e aprire la strada, come in Inghilterra, a dei progetti apertamente razzisti ed ancor più reazionari di quelli della UE. Da Le Pen in Francia a Wilders in Olanda, passando attraverso il Partito del Popolo Danese, sono queste forze che fanno appello un po’ dappertutto a referendum sul modello della Brexit.
Il referendum della Brexit suona come un grave avvertimento alle forze della sinistra, al movimento sociale e anticapitalista di tutta l’Europa. IL 26 giugno è la Spagna che si reca alle urne. E in quel paese è una coalizione di sinistra radicale che vuole rappresentare la contestazione all’ordine stabilito. La crisi dell’Unione Europea non potrà che essere rafforzata in seguito a queste elezioni. Ma la sinistra deve infine osare risolvere la questione strategica, cioè quale atteggiamento avere di fronte alla UE: correre alla riscossa di questo progetto, come hanno fatto la socialdemocrazia e la CES nella crisi greca ( e come ha fatto lo stesso Tsipras!), sarebbe consegnare al capitale il bastone con cui continuare a colpire il mondo del lavoro. La sinistra deve assumersi la rottura con le istituzioni europee e la disobbedienza alle sue politiche. Non si tratta di «cambiare la UE», ma di spezzarla. Non in nome di un ripiegamento nazionalista e razzista, ma in nome di un progetto internazionalista di un’altra EUROPA,‒ sociale, ecologica, democratica e generosa‒ costruita da una Assemblea costituente dei popoli.
Riprendiamo le parole dell’appello di Olivier Besancenot (NPA), Miguel Urban (Podemos) e Antonis NTavanellos (Unità popolare) per un’Austerexit lanciato subito dopo la capitolazione di Tsipras: “Uscire dall’Europa del capitale non significa, secondo noi, ritornare ad immaginare le frontiere come un parapioggia contro l’austerità. È un punto d’appoggio per costruire un’altra Europa, tanto fedele agli interessi dei popoli, così come quella di oggi lo è agli interessi dei banchieri. Non vogliamo né il regno della Troika, né quello delle nostre caste nazionali”.
Se rinunciassimo ad assumere un progetto radicalmente alternativo all’austerità di cui l’UE è oggi uno degli strumenti principali, se mancassimo di un progetto istituzionale alternativo a questa Europa autoritaria, rischieremmo di lasciare alla destra radicale neofascista e razzista la possibilità di impadronirsi contemporaneamente del malessere sociale e della frustrazione democratica, per indirizzarli verso un progetto reazionario. Il pericolo è grande. Questa è la lezione principale da trarre dalla Brexit.
Il punto di partenza e la leva della strategia alternativa di cui la sinistra hanno bisogno per aprire la via a questa altra Europa è l’organizzazione e il coordinamento della lotta accanita contro l’austerità e il razzismo, la via delle convergenze delle lotte sociali, femministe, ecologiche per buttare giù i nostri governi dell’austerità sempre più autoritari. La magnifica mobilitazione contro la legge sul lavoro in Francia lo dimostra: la crisi profonda del capitalismo europeo apre la strada sia ai più gravi pericoli, sia alla possibilità di cambiare questo mondo, a condizione di riunirci su delle basi chiare. Le responsabilità della sinistra anticapitalista e internazionalista sono immense. La LCR si impegnerà con tutte le sue forze per assumerle. Nel nostro paese questo si manifesta in primo luogo con la battaglia per radicalizzare la mobilitazione contro il governo Michel Jambon, rompendo con la funesta strategia della concertazione che paralizza il movimento sindacale e l’espone ai rischi di un grave indebolimento

* dirigenti della LCR/SAP Belgio