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aaaaaguernicaIl 18 luglio del 1936 la ribellione di alcuni generali e di una cospicua parte dell’esercito al legittimo governo della Spagna repubblicana dette avvio a una guerra civile destinata a durare tre anni. Già anticipata da altri evidenti segnali di crisi e di lotta sociale e politica, la rivoluzione dilagò in quei giorni in Spagna, proprio quella rivoluzione che i generali golpisti volevano prevenire e che in definitiva essi stessi contribuirono a provocare.

Nata come reazione difensiva, la rivoluzione divenne ben presto offensiva e aggressiva verso il potere della classe dominante. Tra l’esercito in rivolta e il popolo in armi, lo Stato repubblicano finì in pezzi. Il potere dello Stato si sgretolò, dovunque i militari furono sconfitti il potere finì sulle piazze dove dei gruppi armati risolsero sommariamente i compiti più urgenti: la lotta contro gli ultimi fuochi della rivolta militare, l’epurazione delle retrovie, la sussistenza e l’armamento dei miliziani volontari appartenenti ai vari partiti della sinistra, agli anarchici e ai sindacati. A poco a poco tra le piazze ed il governo affiorarono gli organismi di un nuovo potere. Erano gli innumerevoli Comitati locali, veri e propri governi su scala regionale e provinciale che riprendevano la miglior tradizione di democrazia proletaria proveniente dalla Comune di Parigi e dai Soviet delle rivoluzioni russe del 1905 e 1917. In quei Comitati locali risiedeva il nuovo potere rivoluzionario che dovette organizzarsi per far fronte al proseguimento della guerra civile, causata dalla rivolta dell’esercito, e per la ripresa della produzione. La rivoluzione spagnola era nata da una profonda crisi sociale. I lavoratori spagnoli, quando si sostituirono con i loro organismi allo Stato repubblicano, puntavano ben oltre una semplice rivoluzione politica. La loro azione, nelle settimane successive al sollevamento, ebbe tutte le caratteristiche di una rivoluzione sociale che affrontò, nel clima esasperato della guerra civile, i grandi problemi della Spagna: la struttura oligarchica dello Stato, l’esercito, la Chiesa, le basi economiche dell’oligarchia, la proprietà industriale e quella fondiaria. Quello che accadde in Spagna ottant’anni fa non fu solo un evento spagnolo. In modo diretto o indiretto i governi degli altri paesi dovettero prendere posizione giustificando l’intervento o il non intervento nelle vicende del paese iberico. La sconfitta subita dalla rivoluzione spagnola aggiunse l’ultimo tassello – dopo l’avvento del fascismo in Italia, del nazismo in Germania e la sconfitta del Fronte popolare in Francia – al cammino ormai delineato verso la Seconda guerra mondiale.
Principali sigle ricorrenti nella storia della guerra civile spagnola: CNT (Confederazione generale del lavoro, sindacato anarco-sindacalista), FAI (Federazione anarchica iberica), PSOE (Partito socialista operaio spagnolo), PSUC (Partito socialista unificato di Catalogna, a partire del 1936), POUM (Partito operaio di unificazione marxista), PCE (Partito comunista spagnolo), UGT (Unione generale dei lavoratori. Sindacato di tendenza socialista)
Non è facile fornire cifre precise sull’entità delle milizie che combatterono nella guerra civile. In generale si stimano circa 100 mila miliziani così inquadrati: 50 mila nella CNT, 30 mila nell’UGT, 10 mila nel PCE, 5 mila nel POUM a cui vanno aggiunti alcune migliaia di appartenenti all’esercito rimasti fedeli alla repubblica e, in seguito, i militanti provenienti dai paesi esteri a costituire le brigate internazionali.

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