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aaaaavenezuelapetrolioCrisi in tutti gli ambiti della vita collettiva
Il principale detonatore – ovviamente non la causa esclusiva – della crisi che sta attraversando il Venezuela è stato il crollo dei prezzi del petrolio dell’ultimo triennio. Mentre nel 2013 il prezzo medio dei greggi venezuelani era di 100 dollari al barile, nel 2014 scendeva a 88,42 e nel 2015 a 44,65, arrivando al suo livello più basso, a 24,25 dollari, nel febbraio del 2016 (1).

Il governo del Presidente Chávez, in luogo di prendere atto che un’alternativa al capitalismo non poteva che essere un’alternativa al modello di sviluppo predatorio, della crescita all’infinito, lungi dal porre in discussione il modello della rendita petrolifera, non ha fatto che radicalizzarlo, a livelli storicamente sconosciuti nel paese. Durante i 17 anni del processo bolivariano l’economia è via via diventata sistematicamente sempre più dipendente dall’introito petrolifero, introito senza il quale era impossibile importare i beni indispensabili per soddisfare le esigenze basilari della popolazione, inclusa l’ampia gamma di articoli in precedenza prodotti nel paese. Nel corso di quegli anni si è privilegiata la politica assistenzialista, senza con ciò modificare le coordinate strutturali dell’esclusione.
Identificando socialismo e statalismo, attraverso tutta una serie di nazionalizzazioni, il governo bolivariano estese la sfera statale ben oltre le sue capacità di gestione. Di conseguenza, lo Stato è oggi più grande, ma a volte è più debole e più inefficiente, meno trasparente, più corrotto. L’ampia presenza militare nella gestione di organismi statali ha contribuito in maniera rilevante a questi risultati. La maggior parte delle imprese statalizzate, nei casi in cui continuarono ad operare, lo fecero grazie al sussidio della rendita petrolifera. Sia le politiche sociali, che migliorarono in modo significativo le condizioni di vita della popolazione, sia le molteplici iniziative di solidarietà e integrazione, nell’ambito latinoamericano, furono possibili grazie agli elevati prezzi del petrolio. Ignorando l’esperienza storica relativa al carattere ciclico dei prezzi delle commodities [gas, petrolio, metalli preziosi e non, prodotti agricoli come cereali e derivati, o altre materie prime: per es. caffè, zucchero, ecc.], il governo si mosse come se i prezzi del petrolio dovessero restare costantemente al disopra dei 100 dollari al barile.
Poiché il petrolio arrivò a costituire il 96% del totale delle esportazioni, praticamente la totalità delle divise entrate in questi anni nel paese lo hanno fatto tramite lo Stato. Attraverso la politica del controllo dei cambi si è accentuata una insostenibile parità monetaria, che ha significato il sussidio del complesso dell’economia. Le differenze cambiarie che contraddistinguono tale politica hanno raggiunto il rapporto di oltre 100 a 1. Questo, insieme alla discrezionalità con cui i funzionari incaricati possono concedere o meno le divise richieste, ha comportato il fatto che il maneggio delle divise si trasformasse nel principale asse della corruzione nel paese. (2)
Nel periodo delle vacche grasse si spese l’intero introito fiscale straordinario, incorrendo anche in elevati livelli di indebitamento. Non si costituirono fondi di riserva per quando fossero scesi i prezzi del petrolio. E quando questi crollarono accadde l’inevitabile: l’economia entrò in profonda e sostenuta recessione e il progetto politico del chavismo cominciò a fare acqua.
Il Pil è sceso del 3,9% nel 2014, e del 5,7% nel 2015 (3). Per il 2016, la Cepal [Commissione economica per l’America latina e il Caribe] prevede un calo del 7% (4). Esiste un rilevante e crescente passivo fiscale. Secondo la Cepal, il debito estero è raddoppiato tra il 2008 e il 2013 (5). Per quanto non sia ancora allarmante in percentuale rispetto al Pil, il brusco calo dell’ingresso di divise ne rende difficile il pagamento (6). Si è verificata una forte diminuzione delle riserve internazionali. Quelle del giugno 2016 rappresentavano il 41% dell’ammontare corrispondente a quelle della fine del 2012 (7). L’accesso a nuovi finanziamenti esterni è limitato dall’incertezza sul futuro del mercato petrolifero, dalla mancanza di accesso ai mercati finanziari occidentali e dagli elevatissimi tassi di interessi oggi richiesti al paese.
A questo si aggiunge il tasso di inflazione più elevato del pianeta. Stando ai dati ufficiali, nel 2015 l’inflazione è stata del 180,9% e, per quanto riguarda alimenti e bevande non alcoliche, del 315% (8). Si tratta sicuramente di una sottovalutazione. Non ci sono dati ufficiali disponibili, ma il tasso di inflazione nel primo semestre dell’anno, soprattutto nel settore alimentare, è stato assai superiore a quello dell’anno precedente.
La severa recessione economica potrebbe comportare una crisi umanitaria. C’è il mancato rifornimento generalizzato di generi alimentari, medicine e prodotti per la casa. Le famiglie venezuelane devono impegnare sempre più tempo ad andare in giro per uffici e a fare code in cerca di prodotti alimentari a prezzi che non vadano oltre il loro potere d’acquisto. Si sta verificando una significativa riduzione del consumo alimentare della popolazione. Dalla situazione in cui la Fao effettuò il “riconoscimento di notevoli ed eccezionali progressi nella lotta contro la fame” basandosi su dati che arrivavano al 2013, segnalando che la percentuale di persone denutrite era inferiore al 6,7%, (9) si è passati a una situazione di crescenti difficoltà di procurarsi beni alimentari e in cui la fame è diventata argomento di conversazione quotidiana. Stando alle ultime statistiche ufficiali, a partire del 2013 si è progressivamente verificando un calo sostenuto del consumo di praticamente tutti i generi alimentari. In certi casi, in forma particolarmente accentuata. Tra il secondo semestre del 2012 e il primo semestre del 2014, il consumo di latte intero si è ridotto a meno della metà (10). Queste sono cifre precedenti all’approfondirsi della mancanza di rifornimenti e all’inflazione intercorsa nell’ultimo anno. Le indagini registrano come aumenti di continuo il numero di famiglie che hanno smesso di mangiare tre volte al giorno, e cresca anche la percentuale di quelle che dichiarano di mangiare solo una volta al giorno. Secondo l’indagine di Venebarómetro, la stragrande maggioranza della popolazione (86,3%) sostiene di comperare meno, o molto meno, generi alimentari di prima (11).
Per quanto riguarda l’accesso ai farmaci e ai servizi sanitari, la situazione è altrettanto critica. Gli ospedali e gli altri centri sanitari presentano elevati livelli di mancato rifornimento di medicinali basilari, nonché la carenza di medici e attrezzature sanitarie, a causa delle limitazioni all’accesso a ricambi e altri strumenti o prodotti, nazionali o importati. In ospedali e centri medici normalmente si possono curare e alimentare malati se i familiari sono in grado di portare l’occorrente. Sono frequenti le sospensioni di operazioni per mancanza di attrezzature, farmaci e personale medico. Pazienti che hanno bisogno di dialisi non vengono trattati. Farmaci indispensabili per la cura di malattie come il diabete, l’ipertensione e il cancro sono ridotti al minimo indispensabile.
Il governo non ammette che il paese stia entrando in una situazione di emergenza che richiede assistenza dall’esterno. Da un lato, perché questo verrebbe inteso come ammissione del fallimento della sua gestione; ma anche per evitare che un’ammissione del genere possa servire come porta d’ingresso a operazioni di interventismo umanitario, forti del fatto di ritenersi indispensabili, con le ben note conseguenze.
In questi ultimi anni il governo ha messo in moto varie iniziative e meccanismi di distribuzione di alimenti che hanno avuto breve durata e sono in genere falliti per l’inefficienza e i livelli di corruzione molto elevati. Non si è riusciti a smantellare le reti mafiose, governative e private, operanti in ciascuno degli anelli delle catene commerciali, dai porti fino alla vendita al dettaglio. D’altro canto, tutti questi meccanismi sono stati concentrati nella distribuzione, senza affrontare sistematicamente la profonda crisi esistente nella produzione nazionale.
L’ultima iniziativa sono i Comitati locali di Rifornimento e Produzione (Clap), rivolti soprattutto alla vendita diretta nelle abitazioni di “borse” con alcuni beni alimentari sovvenzionati. È stato, questo, un meccanismo molto discusso, tra l’altro perché non ci sono prodotti alimentari sufficienti ad arrivare a tutti, e perché opera tramite strutture di partito (il Psuv). Dopo poco tempo in cui hanno operato, ci sono subito state molte denunce, sia per la natura politica escludente di quanti non si identifichino come sostenitori del governo, sia, ancora una volta, per la corruzione.
Con l’eccezione di Caracas, nel 2016 c’è stato per mesi il razionamento dell’elettricità, con sospensione dell’erogazione per 4 ore al giorno (12). Per risparmiare elettricità, gli uffici pubblici dell’intero paese hanno lavorato solo due giorni a settimana per mesi, poi a orario lavorativo ridotto, indebolendo ulteriormente la scarsa capacità di gestione dello Stato venezuelano. È stata razionata la distribuzione dell’acqua, colpendo in maniera sproporzionata i settori popolari. C’è anche una severa crisi nel trasporto pubblico per mancanza di pezzi di ricambio, persino di quelli più comuni, ad esempio batterie e gomme.
Il tutto si traduce nel serio logoramento delle condizioni di vita della popolazione, approdando alla perdita accelerata dei miglioramenti sociali ottenuti negli anni precedenti. Il governo ha smesso di pubblicare – o pubblica con molto ritardo – la maggior parte delle principali statistiche economiche e sociali. Per questo, le uniche fonti aggiornate disponibili sono alcuni studi accademici e di società di ricerca private (13). Nell’ultimo studio diffuso per un progetto interuniversitario (14), in termini di reddito e di potere d’acquisto dei beni che costituiscono il cosiddetto paniere alimentare previsto di norma, si definisce il 75,6% della popolazione come povera e come in estrema povertà il 50% del totale della stessa (15), Più che un peggioramento, questo significa il tracollo del potere d’acquisto della maggior parte della popolazione. La riduzione del potere d’acquisto è generalizzata, ma non colpisce allo stesso modo tutti i settori della società, per cui si è verificato l’incremento delle diseguaglianze sociali. La riduzione delle disparità di reddito era stata una delle più importanti conquiste del processo bolivariano. L’attuale deterioramento del potere d’acquisto colpisce in primo luogo coloro che vivono di un reddito fisso, ad esempio salario o pensione. Viceversa, chi ha accesso a divise e può così acquistare sempre più bolivares, e chi partecipa ai tanti traffici speculativi del mercato nero [il cosiddetto “bachaqueo”] finisce per ricavare vantaggi dalla scarsità/inflazione.
Nelle attuali condizioni, il governo non dispone delle risorse necessarie per rifornire la popolazione attraverso massicci programmi di importazione di prodotti alimentari. Per gli stessi motivi, l’incidenza delle politiche sociali, le cosiddette “Misiones”, è contrassegnata da un sostenuto deterioramento.
Nei fatti, la politica economica del governo opera come una politica di “aggiustamento” [di “austerità”] che contribuisce al peggioramento delle condizioni di vita della popolazione. Si è data la priorità al pagamento del debito estero rispetto ai bisogni alimentari e sanitari della popolazione venezuelana. Secondo il Vicepresidente per l'”Area Economica”, Miguel Pérez Abad, il Venezuela taglierà sostanzialmente le importazioni quest’anno per rispettare i propri impegni debitori (16). Si è annunciato che la somma totale di divise disponibili per importazioni non petrolifere nel 2016 sarà soltanto di 15 miliardi di dollari (17), una cifra che rappresenta un quarto del volume delle importazioni del 2012. E naturalmente il presidente Maduro ha annunciato che «(…) lo Stato venezuelano ha pagato negli ultimi 20 mesi 35 miliardi di dollari ai creditori internazionali» (18). È una cosa di una gravità estrema, dati gli elevati livelli di dipendenza dalle importazioni che ha l’alimentazione basilare della popolazione.
Varie sono le proposte che si sono andate formulando da parte di organizzazioni politiche ed accademiche, come pure da movimenti popolari, sulle possibili strade per ottenere le risorse necessarie per rispondere ai bisogni urgenti della popolazione. Tra queste, spicca la Piattaforma per l’Audit pubblico e cittadino (19), che esige si realizzi un’analisi a fondo degli straordinari livelli di corruzione con cui hanno operato i processi di consegna, da parte di organismi dello Stato, di divise sussidiate per le importazioni (20). Questo audit consentirebbe di avviare processi di recupero delle risorse sottratte alla nazione. Questa possibilità è stata respinta dal governo. Significherebbe aprire un vaso di Pandora che coinvolgerebbe di certo sia alti funzionari pubblici, civili e militari, sia imprenditori privati.
Altrettanto importante sarebbe realizzare l’audit del debito estero, al fine di individuare quale parte di esso sia illegittima e quale no. A partire di qui, si potrebbe impostare la rinegoziazione delle condizioni di pagamento del debito, partendo dal fatto che è prioritario rispondere ai bisogni immediati, alimentari e sanitari, della popolazione rispetto al pagamento dei creditori. Si è inoltre proposta l’utilità di una imposta straordinaria sui beni venezuelani all’estero, come anche una riforma tributaria che aumenti il contributo dei grandi patrimoni, soprattutto nel settore finanziario, dove si pagano tasse bassissime.
Niente di tutto ciò, sicuramente, avrebbe maggiore impatto se non si creano meccanismi effettivi di controllo sociale che garantiscano che, nell’attuale contesto di corruzione generalizzata, questi beni arrivino a coloro che ne hanno bisogno.

Una nuova economia: i molteplici risvolti del cosiddetto “bachaqueo”
Negli ultimi tre anni si sono verificati importanti riassetti della struttura economica del paese, in maniera particolare nei settori delle attività commerciali. Un’elevata quota d’accesso ai beni basilari nel paese si realizza attualmente tramite i meccanismi informali del cosiddetto bachaqueo. Alcuni dei casi più scandalosi di corruzione conosciuti nel paese in questi anni hanno precisamente a che vedere con l’accaparramento e la speculazione nell’importazione e nelle catene pubbliche e private di distribuzione di prodotti alimentari.
Questo complesso nuovo settore economico, che ha acquisito in questi anni un peso enorme, comprende una vasta gamma di modalità e di meccanismi, sia pubblici sia privati. Data la presenza simultanea di un mancato rifornimento generalizzato e di un’inflazione debordante, la differenza tra il prezzo di vendita dei prodotti regolamentati e il prezzo a cui quegli stessi prodotti vengono venduti nei mercati informali può essere di 10 a 1, 20 a 1 e anche di più. Questa attività, che coinvolge molta gente e mobilita molto denaro, opera su diverse scale. Comprende, tra l’altro, il contrabbando estrattivo di viarie dimensioni, soprattutto verso la Colombia, il dirottamento di beni dalle catene pubbliche di distribuzione all’ingrosso, l’accaparramento da parte di agenti commerciali privati e l’acquisto e rivendita su piccola o media scala di prodotti regolamentati da parte dei cosiddetti bachaqueros.
Per la novità, l’eterogeneità e la fluidità del fenomeno, non si ha a che fare con una caratterizzazione affidabile della dimensione di questo settore dell’economia e dei suoi rapporti con i diversi settori di questa. In questa attività si possono ottenere redditi molto superiori a quelli di un’elevata percentuale dei lavoratori dipendenti presenti nel paese. Quel che è indubbio è che oggi, se cessasse di operare da un giorno all’altro questo settore dell’economia il paese rimarrebbe paralizzato. Secondo una delle principali società di sondaggi del paese, il 67% della popolazione venezuelana ammette di comperare in tutto o in parte i prodotti tramite i bachaqueros (21). Il fatto che questo settore dell’economia operi con meccanismi estremamente variegati non solo ne rende difficile la caratterizzazione, ma la sua stessa valutazione da punti di vista politici o etici. Sull’impatto perverso che hanno per la società la corruzione nelle catene distributive ufficiali, l’accaparramento e la speculazione da parte di agenti privati e le mafie violente, spesso armate, che controllano determinati anelli delle catene commerciali, non vi sono dubbi. Non è la stessa cosa il bachaqueo su piccola scala esercitato da quel vasto settore della popolazione che, in mancanza di qualunque altra alternativa per dar da mangiare alla propria famiglia, trasforma l’attività di acquisto, permuta e vendita speculativa di prodotti che scarseggiano in una forma di sopravvivenza.
Quel che si può affermare è che, in un processo politico improntato per anni ai valori della solidarietà e dalla promozione di molteplici forme di organizzazione popolare di base a cui hanno partecipato milioni di persone, la risposta di fronte a questa crisi profonda non sia stata maggioritariamente solidale, né collettiva, ma individualista e competitiva. Le significative trasformazioni nella cultura politica popolare degli anni precedenti, i sentimenti di dignità, le soggettività contraddistinte dalla fiducia in se stessi e dall’entusiasmo di sentirsi parte della costruzione di un mondo migliore, entrano oggi in dinamiche regressive. Buona parte delle organizzazioni sociali di base create durante questi anni (tavoli tecnici dell’acqua, consigli comunitari dell’acqua, consigli comunali, comuni, ecc.) oggi si ritrovano indebolite, sia per la mancanza delle risorse statali da cui erano diventate dipendenti, sia per il crescente deterioramento della fiducia nel governo e nel futuro del paese. Altre, con maggior capacità di autonomia, stanno oggi discutendo su come continuare a lavorare nel nuovo contesto.
È questo il paesaggio culturale che rende possibile, ad esempio, che migliaia di bambini fino a circa 12 anni stiano abbandonando la scuola per inserirsi in bande criminali, iniziandosi in genere al micro-traffico di droghe che, grazie alle politiche proibizioniste in materia di droga ancora vigenti nel paese, costituiscono un affare redditizio e una fonte permanente di violenza.
Oltre alle conseguenze della denutrizione infantile, quel che eventualmente può avere un impatto negativo di maggiore durata per il futuro del paese è il fatto che il confluire di queste dinamiche ha progressivamente prodotto processi di disgregazione del tessuto sociale, una situazione di generalizzata sfiducia e una profonda crisi morale in buona parte della coscienza collettiva.

La congiuntura politica
La scomparsa di Hugo Chávez, nel marzo 2013, apre la strada a una nuova congiuntura politica nel paese. Alle presidenziali dell’aprile di quell’anno, il candidato scelto da Chávez, Nicolás Maduro, batte Henrique Capriles, candidato dell’opposizione, con solo l’1,49% di voti in più, mentre Chávez, cinque mesi prima, ne aveva ottenuti nella sua ultima elezione il 10,76% in più.
Alle parlamentari del dicembre 2015, l’opposizione organizzata intorno alla Mesa de Unidad Democrática [Tavolo di Unità democratica] (MUD) vince le elezioni a larga maggioranza, ottenendo il 56,26% dei suffragi, contro il 40,67% dei sostenitori del governo (22). Grazie a una legge anti-costituzionale disegnata per sovra-rappresentare la maggioranza all’epoca di Chávez, l’opposizione ha ottenuto 112 seggi, conquistando la maggioranza dei due terzi del parlamento (23).
La precedente identificazione con il chavismo dei settori popolari si va sgretolando, l’opposizione vince in molti centri in cui fino ad allora si era votato decisamente per il governo.
Da una situazione di controllo di tutte le istituzioni pubbliche (esecutivo, potere legislativo, giudiziario, elettorale, potere civico e 20 governatorati su un totale di 23) si passa a una nuova situazione di dualismo di poteri e a una potenziale crisi costituzionale.
Certamente, la maggioranza d’opposizione in parlamento non ha alterato, nei fatti, il rapporto di forza in seno allo Stato. Sistematicamente, ogni qualvolta l’esecutivo è in disaccordo con una decisione parlamentare, ha sempre chiesto alla Suprema Corte di Giustizia di dichiararla incostituzionale, e la Corte lo ha fatto immediatamente. Si aggiunga a questo il fatto che, sulle questioni di maggiore rilevanza, il governo, con l’avallo della Suprema Corte di Giustizia, è andato esercitando la sua funzione procedendo per decreti presidenziali. Tra questi, si distingue il Decreto di Stato d’eccezione ed emergenza economica (24) mediante il quale il presidente si auto-concede poteri straordinari in materia economica e in ambiti di pubblica sicurezza. Di conseguenza, nei primi sei mesi della sua gestione, il parlamento ha operato più come luogo di dibattito politico e di catarsi che come un potere di Stato con capacità di prendere decisioni effettive sull’andamento del paese.
A più riprese il governo ha annunciato misure speciali, commissioni presidenziali, nuovi “motori dell’economia”, ristrutturazioni dello Stato, nuovi vicepresidenti, nuovi ministeri. Ovviamente si tratta fondamentalmente di un governo sulla difensiva, privo di rotta e il cui principale obiettivo sembra essere la conservazione del potere. Per questo si riafferma in un discorso incoerente, senza sintonia con la vicenda quotidiana e i bisogni immediati della popolazione. Continua a fare appello alla “Rivoluzione” e allo scontro con l’imperialismo, contro l’intervento esterno, la destra nazionale e internazionale fascista, i golpisti e la “guerra economica” come cause di tutti i mali che investono il paese. Si accentua il ricorso arbitrario al suo controllo sul Consiglio Nazionale Elettorale (Cne) e alla Suprema Corte di Giustizia per prendere misure volte a bloccare qualsiasi possibilità di cambiamento (25). Per questa strada, passo dopo passo, si va minando la legittimità della Costituzione del 1999. Nel frattempo, si approfondisce il deterioramento economico e sociale del paese.
È ben noto che, fin dall’inizio del governo bolivariano, il governo statunitense ha fornito sostegno politico e finanziario all’opposizione venezuelana, anche appoggiando il colpo di Stato del 2002. L’offensiva non smette. Nel marzo del 2016 il governo di Obama ha rinnovato la decisione dell’anno precedente di dichiarare che il Venezuela costituisce «un’inedita e straordinaria minaccia per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti» (26). Nel maggio dello stesso anno: «per il decimo anno consecutivo, il Dipartimento di Stato degli Usa ha decretato […] che il Venezuela non stava cooperando appieno con gli impegni contro il terrorismo degli Stati Uniti» (27). Nel quadro dell’emergere dei governi progressisti e dei processi di integrazione latinoamericani (Unasur, Mercosur, Celac), queste offensive ebbero scarsi risultati in passato. Ovviamente, siamo ora in presenza di un quadro geopolitico regionale profondamente mutato, contraddistinto dall’indebolimento sia dei movimenti sociali sia dei governi progressisti in tutto il Sudamerica. In questo senso, sono significative le implicazioni delle brusche svolte a destra che stanno avvenendo in Argentina e Brasile e i conseguenti indebolimenti dei meccanismi di integrazione continentale, nella cui creazione e nel cui rafforzamento il presidente Chávez aveva svolto il ruolo di protagonista. Una manifestazione di questi mutamenti sono gli attacchi sistematici di Luis Almagro, il segretario generale dell’Oea, contro il governo venezuelano, facendo pressione sui paesi membri dell’organizzazione perché venga applicata al paese la Carta democratica, e le resistenze di fronte a cui si è trovato il Venezuela per l’assunzione, che le spetta, della presidenza pro tempore del Mercosur.

Malcontento generalizzato, proteste, saccheggi, repressione e insicurezza
Confermando lo stato d’animo che si coglie quotidianamente in qualsiasi raduno di persone, ad esempio nelle code per l’acquisto di generi alimentari e nel trasporto pubblico, tutti i sondaggi d’opinione rilevano il profondo malcontento che esiste nel paese. Secondo Venebarómetro, l’84,1% della popolazione giudica in termini negativi la situazione del paese, il 68,4% considera cattiva la gestione del presidente Maduro, il 68% degli intervistati ritiene che Maduro dovrebbe lasciare il potere quanto prima possibile e che si dovrebbero tenere le elezioni presidenziali (28). Secondo la società Hercon, l’81,4% degli intervistati ritiene che «è necessario cambiare governo quest’ anno stesso perché si risolva la crisi che il Venezuela sta vivendo» (29). Secondo Oscar Schemel, direttore di Hinterlaces, in genere favorevole al governo, a febbraio il 58% della popolazione era favorevole all’abbandono costituzionale della presidenza da parte di Maduro (30). Secondo il Progetto Integrità elettorale Venezuela dell’Università Cattolica Andrés Bello, il 74% della popolazione vede la situazione del paese come “cattiva” o “molto cattiva”, e oltre la metà è convinta che i principali responsabili dei problemi siano il governo e il presidente (31). Secondo Datincorp, il 72% degli intervistati vuole che il presidente Maduro concluda il suo mandato prima del 2019 (32).
Nella maggior parte dei sondaggi emerge anche che l’appoggio all’opposizione e al parlamento ha avuto la tendenza a diminuire per effetto della frustrazione rispetto alle aspettative suscitate dalla Mud prima delle elezioni. Stando a un’indagine nazionale dell’Università Cattolica Andrés Bello, un’istituzione fortemente propensa all’opposizione, solo un 50,58% degli intervistati si fida del parlamento e poco meno della metà ha fiducia nei parlamentari dell’opposizione e nei partiti d’opposizione (33).
Le difficoltà affrontate dalla grande maggioranza della popolazione nella vita di tutti i giorni, soprattutto gli ostacoli o la stessa impossibilita di procurarsi generi alimentari e farmaci, la mancanza d’acqua, il razionamento dell’elettricità, hanno creato nell’intero paese crescenti livelli di protesta, blocchi stradali e autostradali, saccheggi di stabilimenti di commercializzazione di prodotti alimentari e di camion che trasportano questi beni. Alcuni di questi saccheggi e violente proteste possono anche essere organizzati come forma di scontro politico con il governo (34). Non c’è dubbio che nel paese operino paramilitari, ma è evidente, per la loro scala, che si tratta fondamentalmente di un fenomeno sociale con base ampia. A differenza della situazione del febbraio 1989, in cui il caracazo fu un’esplosione popolare generalizzata e praticamente simultanea a livello nazionale, nelle attuali condizioni, molto più gravi di quelle del 1989, si sta verificando un caracazo “a pezzi”, per vari strati di popolazione. In certi casi partecipano gruppi armati che ricorrono alla violenza.
Questo va a cumularsi con l’insicurezza, che per molti anni la popolazione venezuelana ha definito il problema principale del paese. Secondo l’Onu, il Venezuela non solo ha il tasso di omicidi più elevato del Sudamerica, ma è l’unico paese della regione in cui questo saggio sia aumentato in modo consistente a partire dal 1995 (35). Alcuni dei cosiddetti “collettivi” di origine chavista si sono trasformati in bande armate. Un contesto di impunità generalizzata, in cui non si inquisiscono né gli assassini né la corruzione, e meno ancora li si punisce, ha portato a una profonda e diffusa sfiducia nella polizia, nel sistema giudiziario e nella giustizia. Sono diventati più frequenti i casi in cui gruppi di persone decidono di farsi giustizia da soli, col sistema dei linciaggi. È drammatico quel che questo ci dice sull’attuale stato della società venezuelana. Stando a un’indagine nazionale effettuata dall’Osservatorio venezuelano sulla violenza, due terzi della popolazione giustifica i linciaggi quando si è commesso un “crimine orribile” o quando il criminale “è irrecuperabile”. In realtà, secondo l’Osservatorio, «nella maggior parte dei sondaggi osservati di recente le vittime non hanno commesso delitti “orribili”, ma si tratta piuttosto di ladruncoli inesperti». In un quartiere popolare è comparso un cartello con questo scritto: «Vicini organizzati. Borsaiolo, se ti acchiappiamo non finirai al commissariato. Ti linceremo!» (36). Sono immagini così grottesche che l’Aula costituzionale della Suprema Corte di giustizia ne ha vietato la diffusione attraverso i social network.
Di fronte a questa decomposizione generalizzata, di fronte a una società che non può più controllare, il governo, vedendo il suo discorso farsi sempre meno efficace, risponde in modo crescente con la repressione. Spesso le manifestazioni di strada vengono bloccate o represse con lacrimogeni. Tutte le settimane i mezzi di comunicazione di massa divulgano casi di morti colpiti da pallottole della polizia. A prescindere dal fatto che il ricorso alle armi da fuoco sia esplicitamente proibito nella Costituzione (37), il ministro del Potere popolare per la Difesa, tramite una risoluzione sulle “Norme sul comportamento dell’Esercito nazionale bolivariano in funzione di controllo dell’ordine pubblico, la pace sociale, la convivenza civile in riunioni pubbliche e nelle manifestazioni”, ha deciso che, di fronte a una situazione di “rischio mortale” il funzionario o la funzionaria militare «applicherà il metodo del ricorso alla forza potenzialmente mortale, tanto con arma da fuoco come con altra potenzialmente mortale» (38).
In mancanza di una politica pubblica di sicurezza integrale e consistente in fatto di sicurezza, di fronte al dilagare della violenza malavitosa e di fronte alle richieste di una risposta da parte della società, nel luglio 2015 si è creato un nuovo dispositivo poliziesco, l’Operazione per la Difesa e Liberazione del Popolo (Olp), la cui principale attività è stata quella di effettuare aggressive perquisizioni in quartieri popolari. Questi interventi sono stati denunciati da organizzazioni per i diritti umani perché accentuano le disparità, reprimendo soltanto le attività illecite fra gli strati popolari e ricorrono a un uso sproporzionato della forza. A partire dalla creazione di questo dispositivo, sono cominciate ad uscire sui giornali notizie sulla morte di numerosi “malavitosi” e “delinquenti”. Il numero dei “giustiziati” è presentato ai funzionari come misura del successo degli interventi. Scompare la presunzione d’innocenza e, con il sostegno dell’opinione pubblica, si va trasformando in normalità l’assassinio extragiudiziale, in un paese la cui Costituzione vieta espressamente la pena di morte (39).

Il referendum revocatorio
La Costituzione venezuelana contempla la possibilità di organizzare referendum di revoca di ciascuna delle cariche elettive da parte del popolo una volta trascorso metà del periodo di gestione. Questo strumento, che rende possibile valutare da parte degli elettori la gestione dei/delle funzionari/e eletti/e, è stato rivendicato dal chavismo come uno degli importanti progressi democratici della Costituzione del 1999, come una delle principali espressioni della democrazia partecipativa (40). Sono stabiliti allo scopo una serie di requisiti. Nel caso del/della presidente della Repubblica, se il referendum avviene nel quarto anno della gestione di sei anni dell’incarico, e la maggioranza opta per la revoca del mandato, il presidente viene destituito e si convocano nuove elezioni presidenziali entro 30 giorni. Se interviene quando restano meno di due anni per la conclusione del periodo del mandato e la maggioranza vota per la revoca, il presidente viene destituito e lo rimpiazza il vicepresidente (incarico di libera nomina e rimozione da parte del presidente). Per questo il governo, sapendo che perderebbe il referendum revocatorio, attraverso il suo pieno controllo sul Cne, si è sistematicamente dedicato a frapporre ostacoli e rinviarlo il più possibile (41). Le varie mobilitazioni dell’opposizione al fine di fare pressione sul Cne perché compia gli indispensabili passi per realizzare il referendum di revoca vengono impedite o represse. Alti funzionari governativi hanno annunciato che sarebbero stati licenziati dipendenti pubblici che mostrassero di sostenere il referendum e che gli imprenditori che lo facessero non otterrebbero più contratti con lo Stato (42). Degli studenti hanno denunciato che sono state tolte loro le borse di studio per aver firmato perché si tenga il referendum. L’opposizione ha presentato approssimativamente dieci volte più delle firme richieste per avviare il processo. Di queste firme se ne sono annullate centinaia di migliaia, molte per errori formali. Si sono imposti via via nuovi requisiti di cui non c’era stata prima alcuna informazione e si sono dilazionate le scadenze ben al di là delle norme vigenti.
Per anni il Cne è stato un’istituzione basata su un elevato livello di legittimità. Il carattere completamente automatizzato delle procedure elettorali e dei meccanismi di audit faceva sì che fosse estremamente difficile falsificare l’espressione della volontà dei cittadini. Gli osservatori internazionali presenti nelle tante elezioni tenutesi durante il governo bolivariano hanno sempre affermato che si trattava di elezioni i cui risultati erano altamente affidabili. Jimmy Carter si è spinto a dichiarare che si trattava del miglior sistema elettorale del mondo. Per anni questo organismo ha svolto un ruolo centrale nella difesa della legittimità del governo venezuelano di fronte agli attacchi di quello degli Stati Uniti e della destra internazionale. Negli ultimi anni è andato sicuramente perdendo la fiducia degli elettori (43). Nella misura in cui, con le sue decisioni, il Cne sta impedendo che si tenga nel 2016 il referendum revocatorio e sta lasciando trasparire il suo attuale ruolo di esecutore delle decisioni del potere esecutivo, sta sacrificando il prestigio e il riconoscimento che si era conquistato con tanto impegno. Da un punto di vista costituzionale, sarebbe ben grave che il governo impedisse la tenuta di un referendum di revoca che abbia rispettato tutti i requisiti legalmente stabiliti, come lo sarebbe impedire che si indicano elezioni pur di mantenersi al potere. Ma se il governo, illegittimamente, bloccasse la tenuta nel 2016 del referendum, spezzerebbe il filo della Costituzione. Da quel momento in poi, diventerebbe un governo di fatto, non di diritto, una cosa particolarmente grave nelle attuali condizioni in cui, come conseguenza della crisi, esiste un elevato grado di tensione accumulata nel paese. Se si blocca la possibilità che la popolazione venezuelana possa decidere in forma democratica e costituzionale del futuro politico immediato del paese, si corre il rischio di passare dall’attuale situazione di molteplici, ma frammentati, focolai di violenza a una violenza generalizzata, una cosa estremamente pericolosa, data l’ampia disponibilità di armi da fuoco in mano alla popolazione.
Quanto più si rinviasse una transizione, che sembra inevitabile dati gli ampi livelli di rifiuto del governo, maggiore sarebbe il logoramento del chavismo popolare e dell’immaginario di un altro mondo possibile. La sfida sta nel modo di evitare che la fine del governo di Maduro venga sperimentata come la sconfitta delle aspettative di trasformazione sociale nella popolazione venezuelana. Il popolo chavista non ha motivo di caricarsi sulle spalle il fallimento della gestione governativa.

Dal sistema della rendita dell’estrazione petrolifera a quello della rendita dell’estrazione mineraria
La profonda crisi che si sta vivendo oggi in Venezuela costituisce un momento di inflessione fondamentale nella storia contemporanea del paese. In quale direzione, però? Dopo un secolo di redditività petrolifera, di egemonia di una logica di rendita, statocentrica, clientelare e devastante sia per l’ambiente, sia per la diversità culturale, dovrebbe essere questo il momento in cui, come società – al di là dell’urgenza di misure straordinarie richieste per rispondere alla crisi alimentare e alla scarsezza di medicinali che attraversa il paese- si deve prendere atto che si tratta della crisi terminale del modello “estrattivista”. È il momento di avviare un ampio dibattito e processi di sperimentazione collettivi che affrontino le sfide dell’urgenza della transizione verso un diverso modello di società. Sicuramente, nella sostanza di fondo, non è stata questa la risposta alla crisi. Il consenso petrolifero nazionale non è stato messo in discussione se non sul piano della retorica. I programmi di governo del Psuv e della Mud alle ultime elezioni presidenziali, a prescindere dalle profonde differenze su tutto il resto dei temi, hanno proposto di raddoppiare la produzione petrolifera per portarla a 6 milioni di barili al giorno per il 2019. In altri termini, quel che entrambi intravedevano come futuro per il Venezuela era l’approfondimento del sistema della rendita.
Ben oltre il poco probabile recupero significativo dei prezzi del petrolio sul mercato internazionale, a che cosa serve al paese disporre delle maggiori riserve di idrocarburi del pianeta se almeno l’80% di queste stesse riserve debbono restare sottoterra se vogliamo avere una qualche possibilità di evitare trasformazioni climatiche catastrofiche che porrebbero in pericolo l’esistenza dell’umanità?
Nella congiuntura attuale, l’opposizione ha posto l’accento pressoché esclusivo sulla necessità di venir fuori dal governo del presidente Maduro come condizione per rientrare nella normalità dell’ordine (neoliberista?) interrotta dal processo bolivariano. Da parte del governo, tranne tutta una serie di misure sconnesse, riflesso più di improvvisazione che non di capacità di ammettere la realtà dell’attuale situazione del paese, la risposta principale è stata la proclamazione di un nuovo motore dell’economia, le risorse minerarie, pensando di sostituire la rendita derivante dall’estrazione petrolifera con quella dell’estrazione mineraria.
Il 24 febbraio 2016, tramite decreto presidenziale, Nicolás Maduro ha deciso la creazione di una nuova Area di sviluppo strategico Nazionale, “Arco minerario dell’Orinoco” (44), aprendo circa 112.000 km2, il 12% del territorio nazionale, alla grande estrazione mineraria per l’esportazione di oro, diamanti, coltan, ferro e altri minerali. Secondo il presidente della Banca centrale del Venezuela, Nelson Merentes, il governo ha già sottoscritto intese e accordi con 150 imprese nazionali e multinazionali «che, da questo momento in poi, potranno eseguire lavori di esplorazione per certificare le riserve minerarie, per poi passare alla fase di sfruttamento di oro, diamanti, ferro e coltan» (45). Non si conosce quali siano queste imprese né è noto il contenuto degli accordi.
Lo sfruttamento minerario, soprattutto alla straordinaria scala contemplata nell’Arco minerario dell’Orinoco, significa ottenere introiti monetari a breve termine, ma in cambio dell’irreversibile distruzione ambientale e sociale di parte significativa del territorio nazionale e dell’etnocidio dei popoli indigeni che abitano nella zona. Quest’area copre foreste tropicali umide dell’Amazzonia venezuelana, grandi estensioni di savane dai terreni fragili, una straordinaria biodiversità, cruciali fonti d’acqua. Il tutto, per decisione presidenziale, in assenza totale di dibattito pubblico, in un paese la cui Costituzione definisce la società come «democratica, partecipativa e protagonistica, multietnica e pluriculturale»; e in carenza totale degli studi di impatto ambientale richiesti dal vigente ordinamento giuridico.
Lungi dal costituire un’ottica alternativa alla logica redditizia che è stata predominante nel paese per un secolo, questo decreto esprime una decisione strategica di approfondimento dell’estrattivismo e l’accentuazione della logica legata alla rendita. Il minerale da esplorare su cui il Presidente ha maggiormente posto l’accento è stato l’oro. Secondo il ministro del Petrolio e del Settore minerario e presidente di Pdvsa, Eulogio Del Pino, si stima che le riserve aurifere della zona sarebbero di 7.000 tonnellate, che agli attuali prezzi correnti equivarrebbero a circa 280 miliardi di dollari (46).
Non esiste tecnologia mineraria su larga scala che sia compatibile con la salvaguardia ambientale. Le esperienze internazionali in tal senso sono inequivocabili. In regioni boschive, come buona parte del territorio dell’Arco minerario, la miniera su grande scala, a cielo aperto, produrrebbe inevitabilmente massicci e irreversibili processi di deforestazione. Ne verrebbe colpita gravemente la ricca biodiversità di quell’area, generando la perdita di numerose specie .Le foreste amazzoniche costituiscono una risorsa difensiva contro il surriscaldamento globale che colpisce il pianeta. La deforestazione di queste aree implica al tempo stesso l’incremento dell’emanazione di gas a effetto serra e la riduzione della capacità delle foreste di assorbire/trattenere i suddetti gas, accelerando così il surriscaldamento globale. Per questo le conseguenze di simili comportamenti vanno ben oltre il territorio nazionale. In luogo di dare priorità all’impellente bisogno di frenare i processi in atto di distruzione di foreste e bacini generati dallo sfruttamento illegale dell’oro, con la presenza di gruppi paramilitari che controllano rilevanti estensioni di territorio, con la legalizzazione e promozione delle attività minerarie su larga scala contemplate nella zona dell’Arco minerario dell’Orinoco si produrrebbe una forte accelerazione della dinamica di devastazione.
Questo progetto costituisce una fragrante e generalizzata violazione dei diritti dei popoli indigeni, così come questi vengono garantiti al capitolo VIII della Costituzione della Repubblica bolivariana del Venezuela. Si violano del pari i diritti stabiliti nei principali strumenti legali ad essi relativi, approvati dal parlamento in questi anni: Legge di demarcazione e garanzia dell’ambiente e delle terre in cui vivono i popoli indigeni (gennaio 2001) e Legge organica di popoli e comunità indigene (Lopci, dicembre 2005). Tra queste violazioni si segnalano tutte le norme di consultazione preliminare e informata fermamente sancite sia nella legislazione venezuelana sia in quella internazionale (Convenzione 169 Oit [sui popoli indigeni e tribali]) nei casi in cui si programmino attività che potrebbero avere ripercussioni negative sull’ambiente circostante di queste popolazioni. Sferrando un’ulteriore pedata alla Costituzione nazionale, si continua a misconoscere l’esistenza stessa dei Popoli indigeni, minacciati di sparire in quanto popoli, ora in nome del Socialismo del XXI secolo.
In passato, sia in Venezuela come nel resto del pianeta, si dava priorità allo sfruttamento di minerali e idrocarburi, convinti che si trattasse di beni disponibili all’infinito. Furono molte, e con conseguenze catastrofiche, le decisioni che, in base a questo presupposto di illimitata disponibilità, si presero in vari paesi del mondo. L’esempio più drammatico in Venezuela è quello del lago di Maracaibo, il lago d’acqua dolce più grande dell’America Latina. Dopo l’apertura del canale di navigazione e il transito di petroliere, l’inquinamento agro-chimico e lo sversamento per anni di acque reflue non trattate, la conseguenza, lentamente ma sicuramente, è stata quella di massacrare progressivamente questa vitale riserva acquifera. La società venezuelana è disposta a reiterare una simile catastrofe ambientale, questa volta nelle conche dei fiumi Caura, Caroní e Orinoco, nell’Amazonia venezuelana? La zona del territorio venezuelano a sud dell’Orinoco costituisce la maggiore fonte di acqua dolce del paese. I processi di deforestazione prevedibili con l’attività mineraria su grande scala condurrebbero inevitabilmente alla riduzione di queste ricchezze.
Uno dei fenomeni di maggiore impatto sulla vita degli abitanti del territorio venezuelano negli ultimi anni è stato quello delle continue crisi elettriche, in parte dovute alla riduzione delle risorse del Caroní, il fiume le cui centrali idroelettriche producono il 70% dell’elettricità consumata dal Venezuela. Oltre alle alterazioni dovute al cambiamento climatico, l’estrazione mineraria su grande scala nel territorio dell’Arco minerario dell’Orinoco contribuirebbe direttamente a ridurre le capacità di produzione energetica delle centrali elettriche. In primo luogo, per la riduzione della portata delle acque in seguito a tale attività; ma anche perché l’attività mineraria nella parte superiore del fiume, restringendo lo strato vegetale delle zone circostanti, incrementerebbe i processi di sedimentazione, logorando progressivamente la capacità di immagazzinamento e la vita utile delle centrali. Tutte le centrali idroelettriche di questo sistema del basso Caroní rientrano nei confini che sono stati tracciati come parte dell’Arco minerario dell’Orinoco.
Nello sfruttamento di questo Arco minerario è prevista la partecipazione di «imprese private, statali e miste». Il decreto contempla una gamma variegata di incentivi pubblici a queste compagnie minerarie, tra l’altro: flessibilizzazione di normative legali, semplificazione e celerità di pratiche amministrative, abolizione di determinati requisiti previsti dalle legislazione venezuelana, creazione di «meccanismi preferenziali di finanziamento» e uno speciale regime doganale con agevolazioni tariffarie e paratariffarie all’importazione. Potranno inoltre godere di uno speciale diritto tributario, che prevede l’esenzione totale o parziale del pagamento dell’imposta sulla rendita e di quella sul valore aggiunto [Iva].
Le possibilità di opposizione agli impatti della grande estrazione mineraria nella zona dell’Arco minerario sono negate dalle norme previste dal decreto. Al fine di impedire che l’attività delle imprese possa scontrarsi con una resistenza, si crea una Zona di sviluppo strategico, sotto la responsabilità dell’Esercito nazionale bolivariano. Il decreto in questione stabilisce esplicitamente la sospensione dei diritti civili e politici nell’intero territorio dell’Arco minerario.
«Articolo 25 – Nessun interesse individuale, di categoria, sindacale, di associazioni o gruppi, o loro normative, prevarranno sull’interesse generale al raggiungimento dell’obiettivo contenuto nel presente decreto.
I soggetti che compiano o promuovano comportamenti materiali tendenti ad ostacolare in tutto o in parte le operazioni delle attività produttive della Zona di sviluppo strategico costituita con il presente decreto verranno puniti conformemente all’ordinamento giuridico previsto dal decreto stesso.
Gli organi di sicurezza dello Stato prenderanno immediatamente le misure indispensabili per salvaguardare il normale svolgimento delle attività previste nei Piani della Zona di sviluppo strategico nazionale Arco minerario dell’Orinoco, nonché l’attuazione di quanto previsto dal presente articolo».
Sono estremamente gravi le conseguenze di questo “prevalere dell’interesse generale sugli interessi individuali”. Per “interesse generale” si intende lo sfruttamento minerario così come viene concepito in questo decreto presidenziale. Ogni altra visione, ogni altro interesse, appello alla Costituzione incluso, finisce per equivalere all'”interesse individuale”, soggetto al fatto che gli “organi di sicurezza dello Stato” ricorrano “alle azioni immediate indispensabili a salvaguardare il normale svolgimento delle attività” previste nel decreto. Eppure, quali sono o possono essere gli interessi qui definiti “individuali”? Il decreto è redatto in forma tale da consentirne un’interpretazione molto ampia. Da un lato, indica come esplicitamente “individuali” interessi sindacali e di categoria. Questo può sicuramente comportare la soppressione, in tutta l’area, dei diritti dei lavoratori previsti dalla Costituzione e dalla Legge organica del Lavoro. Implica anche che i diritti “di categoria”, e quindi “individuali”, dei giornalisti di informare sullo sviluppo dello sfruttamento minerario vengano soppressi?
Che implicazioni ha tutto ciò per quello che, sicuramente, sarebbe il settore della popolazione più colpito da queste attività, i Popoli indigeni? L’attività in difesa dei diritti costituzionale di detti popoli portata avanti dalle loro organizzazione, secondo le “loro normative” considerata anch’essa come “interesse individuali”, che andrebbe quindi repressa se entrasse in conflitto con l'”interesse generale” dello sfruttamento minerario nelle loro terre ancestrali?
Il tutto è ancor più preoccupante se si considera che, appena due settimane prima del decreto di creazione della Zona di sviluppo dell’Arco minerario, il presidente Nicolás Maduro ha decretato la creazione della Compagnia anonima militare delle industrie minerarie, petrolifere e del gas (Camimpeg), ascritta al Ministero del Potere popolare per la Difesa (47). L’impresa ha attribuzioni di vasto raggio per dedicarsi “senza limitazione alcuna” a qualunque attività connessa direttamente o indirettamente alle produzioni minerarie, petrolifere o del gas. Con la prevedibile partecipazione di questa impresa alle attività dell’Arco minerario, l’Esercito, lungi dal costituire la difesa di un ipotetico “interesse generale” nella zona, avrà un interesse economico diretto al fatto che le attività minerarie non trovino alcun tipo di ostacolo. In base al decreto, l’Esercito sarà autorizzato legalmente a comportarsi di conseguenza.
Di fatto, tramite un decreto presidenziale, siamo in presenza della soppressione della vigenza della Costituzione del 1999 sul 12% del territorio nazionale. Questo non si può non interpretare che come la ricerca di un duplice obiettivo. In primo luogo, offrire garanzie alle imprese multinazionali, di cui si cerca di attrarre gli investimenti, che potranno muoversi liberamente senza percolo di scontrarsi con alcuna resistenza alle loro attività. In secondo luogo, concedere ai militari un potere ancora maggiore in seno alla struttura dello Stato venezuelano e, con ciò, ottenerne la lealtà nei confronti del governo bolivariano. E questo passa per la criminalizzazione delle resistenze e delle lotte contro l’estrazione mineraria.
In sintesi, un governo che si autodefinisce socialista, rivoluzionario e anticapitalista, ha decretato la subordinazione del paese agli interessi delle grandi società minerarie multinazionali, un progetto estrattivo che depreda e compromette il futuro del paese, con prevedibili conseguenze di etnocidio delle popolazioni indigene.
La reazione di vari settori della società venezuelana non si è fatta attendere. In molteplici fori, assemblee, manifestazioni e comunicati si afferma il “Ricorso di annullamento per illegalità e incostituzionalità con sollecitazione di misura cautelare dell’atto amministrativo generale contenuto nel Decreto [Dell’Arco minerario]”, presentato davanti all’Aula politico-amministrativa della Suprema Corte di Giustizia il 31 maggio 2016 da parte di un gruppo di cittadini e di cittadine (48).
La lotta per l’annullamento del decreto dell’Arco minerario è sia l’espressione delle lotte per un futuro democratico non basato sulla rendita e che consenta di vivere in armonia con la natura, sia lo strumento per aprire una breccia che permetta di andare oltre l’infruttuosa polarizzazione tra il governo e la Mud in cui continuano a rimanere intrappolati la riflessione politica e il dibattito pubblico.

 

Questo testo, tratto da Aporrea (http://www.aporrea.org/) è stato scritto per animare la discussione del Gruppo di lavoro permanente su Alternative allo sviluppo, promosso dalla sede regionale andina della Fondazione Rosa Luxemburg di Quito.

 

1) Nei mesi di maggio e giugno del 2016 c’è stata una lieve ripresa dei prezzi del petrolio e il greggio venezuelano si è avvicinato ai $40, ben al di sotto di quanto necessario per ottenere un equilibrio del bilancio.
2) Secondo l’ex ministro del governo del presidente Chávez, Héctor Navarro, «circa 3000 miliardi di dollari del trilione di dollari entrati tra il 2003 e il 2012 sono spariti dalle casse dello Stato senza che i responsabili siano stati puniti». Mayela Armas [giornalista economica]: «Héctor Navarro: “Questo non è socialismo … è da vagabondi. È fallito il capitalismo di Stato e la corruzione» (Aporrea, Caracas 12 dicembre 2015).
3) Banco Central de Venezuela, Resultados del índice nacional de precios al consumidor, producto interno bruto y balanza de pagos [Banca centrale del Venezuela, Risultati dell’indice nazionale di prezzi al consumo, prodotto interno lordo e bilancia dei pagamenti], Caracas, 18 febbraio 2016.
4) “Cepal prevede che l’economia venezuelana quest’anno si contrarrà al 7%”, El Nacional, Caracas, 8 luglio 2016.
5) CEPAL, Anuario Estadístico de América Latina y el Caribe 2015 [Annuario statistico di America Latina e Caribe per il 1915], Santiago del Cile, 2016.
6) In realtà non c’è accesso pubblico trasparente ai dati sul debito. Questo ha diverse componenti, tra cui il debito di PDVSA e il cosiddetto debito interno, che però va saldato in dollari.
7) Banco Central de Venezuela, Información estadística [Informazione statistica].
8) Instituto Nacional de Estadísticas, Cuadro 1. Índice Nacional de Precios al Consumidor. Variaciones porcentuales [Indice nazionale dei prezzi al consumo. Variazioni percentuali], 2008 – Dicembre 2015.
9) Riconoscimento della FAO al Venezuela, Ufficio regionale FAO per l’America Latina e il Caribe, Roma, 26 giugno 2013.
10) Instituto Nacional de Estadísticas, Encuesta de seguimiento al consumo de alimentos (esca) Informe Semestral Segundo semestre 2012 al Primer semestre 2014 [Indagine di monitoraggio dei consumi alimentari. Rapporto semestrale Secondo semestre 2012-Primo trimestre 2014].
11) Venebarómetro, aprile 2016, Croes, Gutiérrez y Soci, aprile 2016.
12) Una parte elevata dell’energia elettrica del paese è idroelettrica. Il governo attribuisce la crisi elettrica esclusivamente al fenomeno del Niño. La siccità, sicuramente, ha un impatto ma non è sufficiente a spiegare la profondità della crisi. Sono altrettanto importanti le devastazioni dei bacini dei fiumi dell’Amazonia venezuelana, in conseguenza dello sfruttamento aurifero da parte di migliaia di minatori abusivi e di mancanza di previsioni e di investimenti indispensabili per creare modelli energetici alternativi se il fenomeno, di carattere ciclico, si ripetesse. Praticamente non vi sono stati investimenti in energie rinnovabili.
13) Tale è la velocità con cui stanno accadendo oggi le cose in Venezuela che tutte le statistiche citate nel testo sono necessariamente arretrate rispetto alla mutevole realtà.
14) Inchiesta sulle condizioni di vita in Venezuela. ENCOVI, Pobreza y Misiones Sociales [Povertà e “missioni” sociali], Novembre 2015, Università Cattolica Andrés Bello, Università Centrale del Venezuela, Università Simón Bolívar ed altre istituzioni, Caracas, 2016.
15) Questo studio, come tutti quelli che si effettuano attualmente in Venezuela, presenta gravi problemi metodologici. Una significativa quota delle entrate, come dei consumi della popolazione venezuelana, avvengono oggi tramite meccanismi informali, illegali ed anche mafiosi, meccanismi ben lontani dalla trasparenza. È perciò straordinariamente arduo avere accesso a un’informazioni mediamente affidabile.
16) “Pérez Abad annuncia restrizioni di divise per pagare i debiti del PDVSA”, Versión Final.com.ve, Caracas, 16 maggio 2016.
17) Pérez Abad valuta le importazioni non petrolifere del 2016 in solo $15 miliardi, El Cambur, Caracas, 12 maggio 2016.
18) Correo del Orinoco, 17 maggio 2016.
19) Vedere: Plataforma de Auditoría Pública y Ciudadana.
20) Secondo Edmeé Betancourt, che in quel momento presiedeva la Banca Centrale del Venezuela, sul totale di 59 miliardi di dollari in divise sussidiate consegnate in un solo anno, nel 2012, circa 20miliardi di dollari sono stati concessi a “società offshore”, che rappresentano una “domanda artificiale”, “non collegata ad alcuna attività produttiva”. La Presidente della BCV: «Parte dei 59 miliardi di dollari consegnati nel 2012 lo furono a “società offshore» (Aporrea/AVN – www.aporrea.org, Caracas, 25 maggio 2013.
21) Informe 21.com, “Datanálisis: Escasez en Caracas es de 82%”, Caracas 27 de mayo 2016.
22) Molti analisti concordano nell’indicare come, più che una manifestazione di appoggio alla Mud, molti dei cui candidati erano sconosciuti agli elettori, questa votazione è l’espressione plebiscitaria del rifiuto crescente del governo Maduro.
23) Onde evitare l’esercizio di questa maggioranza qualificata che consentirebbe all’opposizione di prendere la maggior parte delle decisioni in parlamento senza dover trattare con gli esponenti del governo, l’Esecutivo, tramite il Consiglio nazionale elettorale e con l’appoggio compiacente della Suprema Corte di Giustizia, decide di non riconoscere i risultati dello Stato Amazonia, riducendo in tal modo il numero di esponenti dell’opposizione da 112 a 109.
24) Decreto n. 2.323, mediante il quale si dichiara lo Stato d’Eccezione e di Emergenza economica, date le circostanze straordinarie di ordine sociale, economico, politico, naturale ed ecologico che colpiscono gravemente l’ economia nazionale. Gaceta Oficial de la República Bolivariana de Venezuela, n. 6.227, straordinario, Caracas, 13 maggio 2016.
25) Tra queste c’è la sospensione delle elezioni sindacali (SIDOR) quando non c’è garanzia di risultati favorevoli, il rifiuto di riconoscere il carattere di partito all’organizzazione politica Marea Socialista, identificata con il chávismo critico e, con ciò, il blocco della sua partecipazione elettorale. Del pari, come già segnalato, il non riconoscimento dei risultati elettorali nello Stato delle Amazoni e, come vedremo più avanti, il blocco del referendum revocatorio.
26) The White House, Office of the Press Secretary. Executive Order – Blocking Property and Suspending Entry of Certain Persons Contributing to the Situation in Venezuela, Washington, 9 marzo 2015.
27) U.S State Department, Bureau of Counterterrorism and Countering Violent Extremism, Country Reports on Terrorism 2015, Washington, 2016.
28) Venebarómero abril 2016, Croes, Gutiérrez y Asociados, Caracas, 2016.
29) Hercon Consultores, Estudio Flash, Contexto Venezuela, 27-30 aprile 2016.
30) Hinterlaces: “58 % quiere salida constitucional del Presidente Maduro”, El Universal, Caracas, 20 marzo 2016.
31) Proyecto Integridad Electoral Venezuela, UCAB, Percepciones ciudadanas sobre el sistema electoral venezolano y situación país, Caracas, aprile 2016.
32) Datincorp, Tracking de coyuntura política. Análisis prospectivo, Caracas, febbraio 2016.
33) Universidad Católica Andrés Bello, Proyecto Integridad Electoral Venezuela, Percepciones ciudadanas sobre el sistema electoral venezolano y situación país, Caracas, aprile 2016.
34) Questa, in ogni caso, è l’interpretazione formulata dal governo. Esempio di questo sono le dichiarazioni del governatore dello Stato di Sucre, Luis Acuña. Secondo lui, i saccheggi rientrano in “un piano ben disegnato (dall’opposizione venezuelana) per creare allarme” (“Venezuela: La risacca dopo due giorni di saccheggi generalizzati a Cumaná de saqueos generalizados en Cumaná”), El Nacional, Caracas, 17 giugno 2016.
35) United Nations Office on Drugs and Crime, Global Study on Homicide 2013, Vienna, 2014.
36) Roberto Briceño-León, “Acuerdo Social. Justicia por mano propia”, Ultimas Noticias, Caracas, 13 giugno 2016.
37) “Artícolo 68. I cittadini e le cittadine hanno il diritto di manifestare, pacificamente e senza armi, senza altri requisiti se non quelli stabiliti dalla legge. È vietato l’impiego di armi da fuoco e di sostanze tossiche nel controllo di manifestazioni pacifiche. La legge regolerà il comportamento dei corpi di polizia e di sicurezza nel controllo dell’ordine pubblico”.
38) Gaceta Oficial de la República Bolivariana de Venezuela, número 40.589, Caracas, 27 gennaio 2015.
39) “Artícolo 43. Il diritto alla vita è inviolabile. Nessuna legge potrà instaurare la pena di morte, né autorità alcuna applicarla. […]”, Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela.
40) “Artícolo 72. Tutte le cariche e magistrature di elezione popolare sono revocabili. Trascorso metà del periodo per il quale il/la funzionario/a è stato/a eletto/a, un numero non inferiore al venti per cento degli/delle elettori/elettrici iscritti nelle corrispettive circoscrizioni potrà sollecitare la convocazione di un referendum per revocarne il mandato”.
41) Un passo ulteriore in questa direzione lo ha fatto il Psuv inoltrando alla Suprema Corte di Giustizia un ricorso di revisione per sollecitare la sospensione dei processi referendari, argomentando che si sarebbe commessa frode nel processo di raccolta delle firme. “Il Psuv ha presentato ricorso alla Suprema Corte di Giustizia contro il referendum revocatorio”, Contrapunto, 17 giugno 2016.
42) “Diosdado Cabello: Funcionarios públicos que firmaron no deberían seguir en sus cargos [Pubblici funzionari che hanno firmato non dovrebbero conservare il loro incarico]”, Correo del Orinoco, 4 maggio 2016; “Cabello: Empresarios que firmaron no pueden trabajar con el Estado [Imprenditori firmatari non possono lavorare con lo Stato]”, El Universal, Caracas, 11 maggio 2016.
43) Secondo un’inchiesta effettuata a marzo del 2016 dall’Università Cattolica Andrés Bello, “6 su 10 venezuelani hanno poca o nessuna fiducia nel Cne. Comunque, l’80% degli intervistati ritiene che i risultati resi noti dal Cne dopo le elezioni parlamentari riflettano la volontà popolare e oltre il 95% ritiene che le elezioni siano lo strumento con cui risolvere i problemi del paese» (Università Cattolica Andrés Bello, Progetto Integritàa elettorale Venezuela, “Percepciones ciudadanas sobre el sistema electoral venezolano y situación país [Percezioni dei cittadini sul sistema elettorale venezuelano e situazione del paese]”, Caracas, aprile 2016.
44) Gaceta Oficial de la República Bolivariana de Venezuela, n 426.514, 24 febbraio 2016.
45) Agencia Venezolana de Noticias, “Plan del Arco del Orinoco contempla industrializar potencial minero nacional” [Il Piano dell’Arco dell’Orinoco contempla l’industrializzazione delle potenzialità minerarie nazionali], Caracas, 27 febbraio 2016.
46) Agencia Venezolana de Noticias, “Gobierno nacional prevé certificar en año y medio reservas del Arco Minero Orinoco” [Il governo nazionale prevede di certificare entro un anno, e mezzo le riserve dell’Arco minerario dell’Orinoco], Caracas, 25 febbraio 2016
47) Gaceta Oficial n. 40.845, corrispondente al 10 febbraio 2016. Decreto n. 2.231, mediante il quale si autorizza la creazione di un’Impresa statale, in forma di Compagnia Anonima, che si denominerà ‘Compañía Anónima Militar de Industrias Mineras, Petrolíferas y de Gas (CAMIMPEG)’, che verrà ascritta al Ministero del Potere popolare per la Difesa.
48) “31 de Mayo: Introducido ante el TSJ Recurso de Nulidad contra el Decreto del Arco Minero del Orinoco” [31 maggio: Presentato alla Corte Suprema di Giustizia il Ricorso di nullità contro il Decreto dell’Arco minerario dell’Orinoco], Aporrea, Caracas 1 giugno 2016.