Come i suoi omologhi britannici campioni della Brexit, Marine Le Pen ha qualche difficoltà a gestire la sua demagogia a 360° e le costrizioni che le impone la sua ambizione di accedere al governo per gestire gli affari della classe dominante, allorché la mondializzazione impone le sue leggi.
La sua ambiguità di fronte alla legge sul lavoro ne è un esempio. Il suo preteso sostegno ai lavoratori contro la legge, la sua ostilità viscerale contro la CGT e le organizzazioni operaie, la sua volontà di piacere al padronato, l’hanno immersa in uno strano mutismo che la porta a non osare difendere troppo apertamente “la legittima contestazione delle legge sul lavoro da parte dei Francesi”. Ha invece trovato le parole per denunciare “l’azione di queste orde di estrema sinistra che nessuno dovrebbe accettare di veder scorazzare sul nostro territorio”, allorché Louis Aliot definiva lo sciopero, “un sistema arcaico”…
I due senatori del Front National (FN) si sono sentiti autorizzati a depositare degli emendamenti che accentuano “la deregulation del lavoro”… che Philippot pretende denunciare: soppressione del conto “lavori faticosi”, raddoppio della soglia sociale da 50 a 100 salariati, “esonero dal pagamento dei contributi sociali, padronali e salariali degli apprendisti”, riduzione a “due mesi” della durata della diminuzione delle ordinazioni o della cifra d’affari che permette di caratterizzare le difficoltà economiche, che permettono poi di procedere a dei licenziamenti economici… Degli attacchi palesi contro i diritti dei salariati che sono stati obbligati ad abbandonare per non svelare troppo apertamente la duplicità del discorso ufficiale!
Liberalismo e Frexit…
Reso pubblico la scorsa settimana, il pre-progetto economico del FN va nello stesso senso per un “alleggerimento” della legge sul lavoro, in particolare con la rimessa in causa delle 35 ore con degli accordi di settore per passare alle 39 ore. In materia di bilancio, l’obiettivo è di portare le spese pubbliche al 50% del PIL, contro un 57% nel 2015. In chiaro, nulla cambia, liberalismo e austerità, ma in nome del nazionalismo.
Il fulcro di questo programma chiaramente liberale e in favore del padronato, è l’uscita dall’euro, combinata alla demagogia contro l’immigrazione, nazionalismo e razzismo. Marine Le Pen vuole un referendum in Francia sulla scia della Brexit. Resta comunque prudente, difendendo un’uscita “concertata”. La nuova moneta coesisterebbe con “l’ecu”, che sarebbe utilizzato per gli scambi intra-europei”. Ritorno a l’epoca Giscard!
Nella sua ambizione presidenziale, Le Pen cerca di approfittare del malcontento popolare e, nel contempo, di guadagnare il sostegno dei padroni delle PMI e TPE (Très Petites Entreprises: piccole imprese di meno di 10 addetti) ai quali promette sgravi fiscali e priorità nell’attribuzione dei mercati pubblici. Infatti, Marine Le Pen propone una politica liberale e nazionalista compatibile con quella dei LR (Repubblicani), dei Dupont-Aignan (presidente di Débout la France) e gli altri. Vuole così captare il loro elettorato per riuscire a formare un nuovo partito di estrema destra attorno a se, strumento delle sue ambizioni, allorché i vecchi cacicchi di destra sono in debito d’ossigeno.
Progressivamente, mette in campo una politica che possa rispondere ai bisogni della borghesia in un momento dove la crisi dell’Europa si accentua. Tenta così di gestire le contraddizioni tra gli interessi nazionali delle classi dominanti e le costrizioni della mondializzazione, captando nel contempo il malcontento popolare. Una politica che accentuerà una crisi che solo la classe operaia potrà superare costruendo un’altra Europa, quella dei lavoratori e dei popoli.