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aaaajosepSenza dubbio, ci aspettavamo una notte migliore. Dal sorPPasso alla sorPPresa, le elezioni 26J sicuramente segnano la fine della prima fase del ciclo politico che si è aperto con l’irruzione di Podemos alle elezioni europee del 25 maggio 2014, che, a sua volta, era un prodotto, non meccanico, della scossa del maggio 2011.

I risultati di Unidos Podemos, se li guardiamo da un punto di vista retrospettivo, sono senza precedenti, però sono rimasti chiaramente al di sotto delle aspettative e possibilità. Perché non è stato possibile il tanto desiderato sorpasso del PSOE? Il fiasco coglie tutte/i di sorpresa. Non si tratta di dare lezioni dopo che i buoi sono scappati spiegando un fallimento che nessuno aveva visto arrivare, quanto almeno cercare di capire perché sia successo. Si impongono quindi alcune riflessioni, per quanto affrettate e senza avere ancora a disposizione le analisi dettagliate sul comportamento elettorale:
1. La considerazione che Rajoy e il PP siano i vincitori reali e simbolici delle elezioni è unanime. La destra tradizionale ha dimostrato di avere una base elettorale robusta. Le ragioni di questo, al di là delle questioni congiunturali, dobbiamo cercarle in tendenze sociologiche di fondo, sul piano culturale e nelle trasformazioni della struttura sociale, tre decenni di capitalismo neoliberale consumista e speculativo-immobiliare, senza dimenticare il peso del clientelismo politico in molte regioni.
Non dobbiamo dimenticare, allo stesso tempo, che in termini generazionali il consenso elettorale del PP è particolarmente forte nelle fasce di età più elevate, il che mostra la sua perdita di contatto con la popolazione più giovane e pone problemi in termini di prospettiva futura. La campagna di paura nei riguardi di Podemos condotta dalla destra è stata efficace e ha permesso un effetto di mobilitazione consistente del suo elettorato, molto più che il contrario.
A ciò si è aggiunto l’effetto, giusto negli ultimi giorni della campagna elettorale, della Brexit che, presentata in toni apocalittici da parte dei mezzi di comunicazione, ha senza dubbio rinforzato un voto di ordine e preoccupazione. La capacità del PP di raccogliere il “voto utile” a destra a spese di Ciudadanos dimostra d’altra parte che il “Podemos di destra” è stato fin dall’inizio un fenomeno molto più superficiale di quello rappresentato da Podemos, senza un radicamento sociale forte e una base elettorale attiva.
2. Nonostante abbia ottenuto il suo peggior risultato di sempre (22,66%, 5.424.709 voti e 85 seggi rispetto al 22%, 5.545.315 e 90 seggi dello scorso 20D), il PSOE certamente ha evitato quella che avrebbe potuto essere una catastrofe irreversibile, evitando quello che sembrava inevitabile sorpasso da parte di Unidos Podemos. Se si fosse prodotto tale sorpasso elettorale, il PSOE si sarebbe trovato oggi in una situazione impossibile. Averlo evitato può forse risparmiarlo da una grave crisi interna immediata, ma non nasconde il problema di fondo che lo attraversa: la sua mancanza assoluta di un progetto economico differente da quello dell’austerità e della destra, nel contesto dell’esaurimento storico del ruolo della socialdemocrazia europea. In uno scenario nel quale non ha la maggioranza per essere la prima forza politica del paese, la sua mancanza di un vero progetto lo condanna alla subalternità nei confronti del PP e gli impedisce una discussione vera con Unidos Podemos.
Se il prevedibile nuovo governo Rajoy vivrà grazie all’astensione del PSOE, quest’ultimo dovrà confrontarsi con il dilemma di votare o meno la nuova ondata di tagli e riforme neoliberiste che il governo Rajoy deciderà sotto il controllo di Bruxelles. Se lo farà, il PSOE pagherà un prezzo politico conseguente; e se non lo farà la legislatura sarà politicamente instabile
Il PSOE può resistere bene di fronte ad una campagna elettorale di Unidos Podemos, ma non è detto che riesca a farlo anche nel confronto parlamentare quotidiano in una nuova legislatura segnata dai tagli se in qualche modo dovrà essere parzialmente “comprensivo” nei loro confronti per il bene della governabilità.
3. A breve termine lo scenario più probabile è quello di un governo del PP reso possibile dall’astensione di PSOE e Ciudadanos. A quest’ultimo non convengono nuove elezioni che potrebbero risultare letali per una conseguente nuova ondata di voti utili verso il PP. Il PSOE potrebbe affrontare un eventuale nuovo ciclo elettorale, vista la sua affermazione rispetto a Unidos Podemos, e forse la sua direzione si prepara ad andare verso questo orizzonte. Però i suoi interessi di partito si scontrano con la ragione di stato che richiede un governo in breve tempo in uno scenario di instabilità europea. Potrebbe crearsi uno scontro interno, vero o simulato, tra l’apparato del partito meno direttamente o organicamente legato al capitale finanziario e più interessato alla ragione di partito e quei settori più strettamente collegati con il mondo economico e l’apparato di stato.
Prevedibilmente, salvo sorprese sempre possibili (viviamo in un momento di soprassalti), il PSOE all fine faciliterà un governo di Rajoy in forma passiva, astenendosi nel voto di fiducia. Se questa è la sua intenzione, sarebbe più intelligente in un primo tempo reiterare a Podemos la sua offerta di un governo “progressista” includendo Ciudadanos, per sostenere poi di essere costretto a rendere possibile un governo del PP di fronte alla presunta intransigenza di Unidos Podemos e per senso di responsabilità per evitare nuove elezioni.
In ogni caso, il PSOE ha bisogno di costruire una storia e drammatizzazione delle proprie decisioni in uno scenario senza precedenti.
4. Unidos Podemos, ha inaspettatamente fallito il suo obiettivo di sorpassare il PSOE e contendere la vittoria al PP. L’alleanza tra Podemos e Izquierda unida ha ottenuto lo stesso numero di deputati che avevano avuto separatamente (71, 69 + 2), ma ha perso 1.100.000 voti (21,1% e 5.049.734 voti di fronte al 24,28% e 6.139.494 il 20D). Le ragioni sono molte e, diciamolo, riconoscerle è un compito difficile. Conviene in ogni caso sconfessare quelle spiegazioni interessate che attribuiscono i non buoni risultati elettorali all’alleanza tra Podemos e IU, con l’argomento che tale alleanza avrebbe creato un immaginario da “fronte delle sinistre” radicale, che avrebbe spaventato gli elettori moderati. Per quanto non sia possibile una storia controfattuale, è ragionevole pensare che senza tale alleanza i risultati di Podemos e IU sarebbero stati molto peggiori.
Una prima interpretazione del fiasco insperato si può trovare, soprattutto, in una campagna elettorale decaffeinata, vuota di proposte reali e pensata non per mobilitare e stimolare la base sociale reale e potenziale di Unidos Podemos quanto a non spaventare elettori più lontani.
La “campagna patriottica” e light nei contenuti, che si è intrecciata con anacronistici riferimenti alla socialdemocrazia, ha sconcertato più di uno e non sembra aver suscitato la necessaria emozione e epica mobilitante.
La timidezza del messaggio elettorale, tuttavia, contrasta con la capacità militante dal basso della candidatura, i cui eventi pubblici sono stati importanti per quanto non siano andati oltre la base sociale più o meno vicina.
Una seconda spiegazione della ferita deve essere ricercata in ragioni più di fondo e riguarda i limiti della politicizzazione suscitata dal ciclo aperto nel 2011 e nella fluidità di una situazione in cui le vecchie lealtà si dissolvono, ma le nuove non si cristallizzano in forma stabile.
Molti degli elettori di Podemos e IU dello scorso 20D possono essere rimasti a casa o aver votato per opzioni extraparlamentari o essere “ritornati” al PSOE. E tutto questo per un numero infinito di ragioni contraddittorie tra di loro, a “destra” e “sinistra”: apatia, in particolare dell’elettorato proveniente da IU, di fronte ad una campagna debole; sconcerto per la svolta “socialdemocratica” e moderata di Iglesias; incomprensione verso il rifiuto di Podemos a sostenere Pedro Sanchez contro il PP nel caso degli elettori più moderati o, al contrario, fuga verso un PSOE che si rivolgeva a sinistra di fronte ad un Podemos patriottico da parte della base elettorale di sinistra più tradizionale.
In sintesi, Podemos ha aperto un importante spazio politico-elettorale che ancora esiste, che però non è del tutto stabile e i cui settori periferici sono ancora instabilmente fedeli o fedelmente instabili.

5. Podemos ha lanciato troppi messaggi contraddittori. Fin dalla sua fondazione, gli elettori hanno visto Podemos dire e fare una cosa e il suo contrario. Lo hanno visto scartare con forza l’unità della sinistra e poi accordarsi con IU; annunciare che mai avrebbe governato con il PSOE da una posizione di minoranza e subito dopo fare una proposta di governo; rifiutare l’etichetta di “sinistra” e infine abbracciare in forma poco credibile quella di “socialdemocratico”.
Tutto questo crea un doppio problema. In primo luogo, la moltiplicazione dei messaggi contrastanti causa incomprensione nei settori più estremi del proprio elettorato e, nel caso di questa tornata elettorale, è probabile che Podemos abbia provocato confusione a “sinistra” e “destra” allo stesso tempo, combinando messaggi e gesti scollegati e mal articolati.
In secondo luogo, al di là del favore verso questo o quel posizionamento e dell’orientamento di alcuni e disorientamento di altri, le contraddizioni o il cambiamento continuo dei messaggi rafforza la percezione che Podemos sia una forza dai principi volubili che adatta il suo discorso in base alle necessità dettate dai sondaggi. Questo non riguarda solo Podemos in quanto tale, ma lo stesso Iglesias che, in uno scenario di pressione mediatica permanente contro la sua figura, appare più come un efficace robot comunicativo programmato sulle convenienze che non come un dirigente dai saldi principi.
Lungi dall’essere un difetto imputabile solo alla tattica degli ultimi sei mesi dalle elezioni del dicembre 2015, il problema di Podemos viene da lontano ed è il frutto di una strategia politica basata solamente sulle tecniche comunicative subordinate a sondaggi di opinione e che non da alcuna centralità al suo programma elettorale liquido e mutevole e alle politiche proposte politiche.
6. Il passaggio dal 20D al 26J è stato segnato dai negoziati per l’investitura e dall’offerta di Podemos al PSOE per una coalizione di governo. Questo ha portato ad un successo e due errori.
Positivo è stato avere un’attitudine offensiva verso il PSOE sulla base di una posizione unitaria, decisiva se si vuole superare una forza con la quale si ha una situazione di quasi parità. Nessuno mai aveva sfidato il PSOE con un’offerta unitaria di questo tipo; prova di questo è stato il disordine interno causato nelle file di Pedro Sanchez verso la proposta di Podemos.
Tuttavia, la proposta del partito di Pablo Iglesias è stata accompagnata da due errori importanti. In primo luogo, la proposta concreta di formare un governo di coalizione con il PSOE è stata un errore in sé. Sarebbe stato molto meglio offrire un patto di investitura sulla base di un accordo programmatico; l’effetto unitario verso l’esterno sarebbe stato lo stesso, così come la reazione isterica dei baroni del PSOE che in nessun caso avrebbe potuto un accordo parlamentare con Podemos che prevedesse un programma anti-austerità e un referendum sull’indipendenza della Catalogna. Allo stesso tempo un’offerta di investitura “per spodestare il PP” avrebbe permesso di continuare a sottolineare le differenze rispetto al PSOE in quanto partito del regime e mantenere una coerenza con quanto sostenuto prima del 20D.
La proposta di governo con il PSOE ha implicato una riabilitazione dello stesso come forza di cambiamento così come la rottura della dicotomia tra “forze pro-regime e della casta contro forze costituenti e popolari” che fino a quel momento aveva funzionato efficamente, con lo svantaggio di una riapparizione acritica e repentina dell’asse sinistra-destra ma fondata su uno spartiacque superficiale, cioè sulla base della relazione con il PSOE come elemento strutturale di tale asse.
Il secondo problema è che, con la sola eccezione del referendum per la Catalogna (messo lì nero su bianco grazie a En Comú Podem), Podemos non ha saputo articolare un elenco concreto e sintetico di provvedimenti sulla base del quale articolare un negoziato con il PSOE nel quale risultasse evidente che quest’ultimo si opponeva a qualunque seria misura anti- austerità e ad una dinamica costituente. Molto più che un errore tattico di messa in scena del negoziato con il PSOE, ha messo in luce un problema fondamentale della politica di Podemos: la sottovalutazione del programma e il rifiuto di assumere impegni programmatici chiari e fermi. La concezione comunicativa-discorsiva della politica ha relegato il programma ad una questione con l’obiettivo di tenersi sempre le mani libere per riaggiustare permanentemente quello che dice e propone il partito. Il risultato è stata l’incapacità di rendere popolari richieste affinché diventino una leva per la mobilitazione di massa (come la questione de debito nel caso della Plataforma de Afectados por las Hipotecas, il referendum per il movimento sovranista in Catalogna o le otto ore di lavoro al giorno da parte del movimento operaio). In pratica, aver concretizzato un progetto di “cambiamento” in richieste chiare, di “senso comune” ma insostenibili per il PSOE, avrebbe facilitato la comprensione pubblica del disaccordo con lo stesso PSOE e avrebbe ridotto lo spazio alla demagogia di Pedro sanchez per presentarsi come partito del “cambiamento” vittima del settarismo di Podemos. Non è sicuro che aver scongiurato questi due errori avrebbe avuto una ripercussione positiva sul risultato elettorale, ma almeno avrebbe contribuito a rafforzare politicamente e strategicamente la propria base sociale.
7. Il fiasco del 26J è espressione dei limiti del modello di partito inteso come “macchina da guerra elettorale” costruito, sotto la direzione di Inigo Errejón, dopo l’assemblea di fondazione di Podemos a Vistalegre nel mese di ottobre 2014 e che ha chiuso la porta a qualsiasi tentativo di sperimentazione politica e organizzativa in senso democratico e innovativo raccogliendo l’eredità del 15M. Podemos si è caratterizzato come partito centrato sulla competizione elettorale e comunicazione politica, trascurando completamente l’organizzazione e strutturazione dei suoi militanti di base, così come il lavoro di radicamento sociale e l’intervento nei movimenti sociali e sindacali. Questo non ha contribuito a consolidare né a fidelizzare la sua base elettorale.
La conseguenza organizzativa della macchina da guerra elettorale-comunicativa è stata l’adozione di una struttura altamente gerarchica e centralizzata nella quale le direzioni locali e regionali/nazionali restavano subordinate (materialmente e simbolicamente) alla direzione centrale e nella quale i circoli non giocavano alcun ruolo né tenevano alcuna funzione. Il metodo maggioritario e plebiscitario di elezione degli organismi interni è servita solamente per escludere le minoranze, convertendo le istanze di partito in espressione della frazione di maggioranza in un dato luogo e non in uno spazio di sintesi plurale.
L’incapacità di direzione regionale/nazionale, politicamente debole e spesso con scelte fatte solamente sulla base della fedeltà verso la leadership centrale, ha spesso provocato la paralisi politica e organizzativa. Il risultato di tutto questo è stata una organizzazione con una struttura inefficace e bloccata, afflitta da ricorrenti crisi dei Consigli territoriali cittadini, con molto poco dinamismo e con scarse attività al di fuori dei social network e delle campagne elettorali. Senza dubbio, il modello “guerra macchina elettorale” non pluralista non è responsabile di tutti i problemi, ma ha contribuito ad aggravarli.
8. Di fronte ai limiti della “macchina da guerra elettorale”, lo stesso Errejón ha annunciato più volte la necessità di passare ad una seconda fase di “movimento popolare”. Il problema principale in queste promesse verso un futuro “movimento popolare” oggi inesistente è che questo è essenzialmente concepito nei termini di un lavoro culturale e sociale complementare a quello elettorale. Il rischio è quello di passare da una fredda macchina da guerra elettorale (e comunicativa) ad un movimento popolare che ri-equilibri il lavoro elettorale con un lavoro culturale e di radicamento ma che non serva a correggere una visione elettoralista della trasformazione politico-sociale ma solamente a sostenerla o al massimo per costruire una base meno volatile. A quel punto avremmo una macchina da guerra elettorale radicata su un lavoro socio-culturale passivo e gerarchicamente strutturato intorno alla direzione politico-elettorale. Il risultato potrebbe essere non molto diverso, ma ancora più limitato, da quello dei grandi partiti riformisti del movimento operaio storico: un’organizzazione politica di massa (ma in questo caso con le masse come potenziale pubblico di spettatori e non come forza organizzata), affiancata da una rete di associazioni sociali e culturali… ma senza il sindacato (o di alcun movimento che lo possa sostituire) come strumento di mobilitazione.
La debolezza di questo approccio fa si che, tra la macchina da guerra elettorale e il movimento popolare inteso in senso culturale, brilla per la sua assenza l’impegno per la mobilitazione sociale (per non parlare dell’autorganizzazione); questa non gioca alcun ruolo strategico, al di là delle mobilitazioni interne al movimento popolare (come la “marcia del cambiamento” del 31 Gennaio 2015).
Anche se Podemos ha capito che il 15M ha aperto un nuovo periodo e nuove possibilità, paradossalmente non ha contemplato la lotta sociale come variabile della propria strategia, come se la spinta di 15M fosse destinata a durare per sempre o potesse essere sostituita in aeternum dalle tecniche del mercato elettorale. Tra il momento elettorale e quello culturale manca uno strumento mobilitante e auorganizzativo che li leghi. Il modello di partito che sorgerebbe non sarebbe più la fredda “macchina da guerra elettorale” incentrata sulla campagna elettorale e affiancata da una rete di atenei culturali, quanto un “partito-movimento” radicato socialmente, orientato alla partecipazione nelle lotte sociali e nei movimenti sociali indipendenti, attivo nella battaglia culturale e non autocentrato solamente nel lavoro istituzionale-elettorale (senza che ciò implichi in alcun modo sottovalutare quest’ultimo).
9. Il ciclo politico-elettorale iniziato nel 2014 ha raggiunto il suo picco e ha dato tutto quello che poteva dare. Non è stato poco. In primo luogo, una drastica trasformazione del sistema dei partiti e una crisi del sistema tradizionale di governo di alternanza tra il PP e PSOE, sulla base della quale il bipartitismo è colpito ma non affondato. In secondo luogo, il consolidamento di una forza alternativa con circa 5 milioni di voti, non molto lontano dal PSOE. E, in terzo luogo, le vittorie elettorali in tutti i comuni del cambiamento del 24 maggio 2015 a Madrid, Barcellona, Valencia, Saragozza, Cadice, La Coruna e altre città.
Ma la spinta della fase politica di crisi aperta dopo il maggio 2014 non è stata sufficiente a permettere ad una forza come Unidos Podemos di arrivare al governo. La sfida per la tappa successiva al 26J è quella di aprire una seconda fase della crisi politica e, a tal fine, la variabile determinante è il rilancio della lotta sociale contro l’insieme di misure di aggiustamento che si avvicinano. Una nuova spinta dalla piazze è necessaria per arrivare alla fine del percorso che ci rimane. Il risultato della battaglia sul fronte sociale sarà decisiva, anche se non meccanicamente, per l’esito della lotta politica generale.
10. Podemos, per quanto basato su una struttura convenzionale, non è un partito semplice. Le forme che potrebbe assumere presumibilmente il dibattito interno dopo la delusione di 26J sono imprevedibili, nel quadro di una struttura politica altamente centralizzata e gerarchica, una cultura politica autoritaria, e la mancanza di una tradizione di vero dibattito politico all’interno dell’organizzazione al di là dei ristretti organismi di direzione.
In questo senso la principale sfida per Podemos è quella di gestire il dibattito sul suo futuro in forma pluralista, democratica e rispettosa di tutte le posizioni. Se riesce a farlo ne uscirà rafforzato e affronterà in condizioni migliori l’opposizione al nuovo governo di Rajoy che tenderà ad amministrare la prossima ondata di tagli richiesti da Bruxelles e gestire la nuova recessione economica prevista dagli organismi internazionali.
A quel punto potrebbe davvero cominciare la vera seconda fase.
Il cammino verso il cambiamento sociale e politico non è una linea retta, una sorta di marcia trionfale sull’autostrada (elettoale) della storia. È pieno di battute d’arresto, successi, rallentamenti e accelerazioni. La questione è comprendere i momenti difficili per uscirne rapidamente e prepararsi per l’assalto successivo.

*Sociologo e membro dell’area Anticapitalistas di Podemos. E’ autore del libro “Pianeta indignato”. Fonte articolo: publico.es. Traduzione di Piero Maestri