In occasione della Giornata Mondiale dei Rifugiati, le Nazioni Unite hanno pubblicato un devastante rapporto, un’accusa schiacciante, sull’ampiezza degli spostamenti globali. I dati dell’Agenzia delle N.U. per i Rifugiati rivelano che un totale di 59,5 milioni di persone sono rifugiate nel mondo.[1]
Con una persona su 122 rifugiata interna o che cerca asilo in un nuovo paese, questo è il più alto livello di rifugiati mai registrato. È anche il più grande balzo registrato in un solo anno, e Antonio Guterres, Alto Commissario per i Rifugiati delle N.U, la chiama «un’accelerazione sconvolgente» che potrà solo peggiorare.
Questo rapporto di 56 pagine illumina il contesto delle osservazioni di Angela Davis il mese scorso in Germania [2], quando ha dichiarato che «il movimento dei rifugiati è il movimento del 21° secolo». I modelli di spostamento e migrazione mettono in luce i rapporti ineguali tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud, tra la «bianchità »e i «razializzati» altri.
Radici della crisi della migrazione
Giustamente intitolato «Mondo in Guerra», il rapporto delle N.U. indica le guerre e la persecuzione come fattori chiave dello spostamento forzato.[3] Quasi 14 milioni dei 59,5 milioni sono nuove persone sfollate nell’anno scorso, con una media di 42.500 persone in ogni singolo giorno, diventate rifugiate in cerca di asilo, o rifugiate interne, principalmente a causa dei conflitti militari.
I quattro anni di guerra civile in Siria hanno creato 11,6 milioni di rifugiati, dando alla Siria lo sfortunato onore di essere il primo paese fonte di rifugiati. La Turchia, che confina con la Siria a nord, ospita la più grande popolazione di rifugiati del mondo, con circa 2 milioni di rifugiati nei suoi confini. A causa della continuata occupazione della Palestina da parte di Israele, si valuta ci siano 5 milioni di rifugiati palestinesi registrati da una specifica agenzia delle N.U.[4], l’UNRWA, in Cisgiordania, Gaza, Giordania, Siria e Libano.
Se la militarizzazione e la persecuzione sono tipicamente viste come le principali forze di migrazione, anche le forze della violenza economica, il cambiamento climatico e la violenza di genere sono tutte cause di spostamento. La privatizzazione forzata e la neoliberalizzazione dell’agricoltura di sussistenza hanno causato la perdita di terre rurali per milioni di persone, particolarmente donne coltivatrici, in Asia, Africa, e Sud e Centro America.
Il rapporto delle N.U. non tratta gli spostamenti dovuti agli interessi delle multinazionali e agli accordi di libero scambio, ma uno studio recente dell’International Consortium of Investigative Journalists e dell’Huffington Post ha rilevato che nell’ultimo decennio, progetti finanziati dalla Banca Mondiale hanno causato lo spostamento in senso fisico o economico di 3,4 milioni di persone, cacciandole dalle loro case, prendendo le loro terre o danneggiando le loro condizioni di vita.
Se la militarizzazione e la persecuzione sono tipicamente viste come le principali forze di migrazione, anche le forze della violenza economica, il cambiamento climatico e la violenza di genere sono cause di spostamento.
In base alle statistiche dell’American Association for the Advancement of Science, entro l’anno 2020 ci saranno 50 milioni di rifugiati per il clima.[5] Il giorno dopo il rapporto delle N.U. sui trasferimenti forzati, Papa Francesco ha pubblicato la sua enciclica sul cambiamento climatico, nella quale mette in evidenza la connessione tra il clima, il capitalismo, e le crisi della migrazione. Egli scrive:
“Molti poveri vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni connessi al riscaldamento, e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema,come l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali….. E’ tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa. Purtroppo c’è una generale indifferenza di fronte a queste tragedie, che accadono tuttora in diverse parti del mondo”.
Militarizzazione delle Frontiere
“hai spezzato l’oceano
a metà per venire qui.
solo per trovare il niente che vuole te”
Nayyirah Waheed
Contrariamente al mito popolare della benevolenza del Primo Mondo verso i rifugiati, l’86 per cento dei rifugiati si trovano in realtà nei paesi del Sud globale. Tuttavia, alcune delle più rigide politiche di controllo delle frontiere – ispirate da paure razziali di lunga data verso i migranti bruni e neri – sono attuate da paesi del Nord globale.
I centri di detenzione dei migranti sono i luoghi più visibili delle politiche di controllo delle frontiere, con i detenuti migranti che formano una delle popolazioni carcerarie in più rapida crescita nel mondo occidentale. In Canada, un immigrato che era detenuto in un centro di massima sicurezza, è morto l’11 giugno in un ospedale locale dopo essere stato contenuto dagli agenti. Dal 2000, in Canada ci sono state almeno 11 morti documentate in centri di detenzione per immigrati.[6] Questa settimana in Arizona, oltre 200 migranti detenuti nel Centro di Detenzione di Eloy hanno lanciato uno sciopero della fame in risposta alla morte di José de Jesus Deniz-Sahagun, che era stato picchiato dalle guardie. Negli USA, 106 persone sono morte nei centri di detenzione per immigrati dal 2003, e dal 1998 più di 6.000 migranti sono morti nel tentativo di attraversare il confine USA‒ Messico
Il geografo Reece Jones documenta come tre soli paesi, inclusi gli USA e Israele, hanno costruito più di 3.500 miglia [oltre 5.000 Km] di muri sulle loro frontiere. Si stima che metà dei rifugiati siano bambini e che una parte di questi – circa 50.000 – bambini che viaggiavano come minori non accompagnati, principalmente da Honduras, Guatemala, e San Salvador, sono stati arrestati alla frontiera USA – Messico l’anno scorso.
Altri paesi, come quelli dell’Europa occidentale, hanno esteso le loro frontiere per creare la “Fortezza Europa”. L’UE, tra il 2007 e il 2013, ha speso circa 2,2 miliardi di US$ per fortificare le sue frontiere esterne tramite la sorveglianza navale. Tali strategie di “prevenzione tramite la dissuasione” hanno ricevuto una condanna internazionale, con Amnesty International che ha dichiarato: “Le tragedie umane che si svolgono ogni giorno alle frontiere dell’Europa non sono né inevitabili né al di là del controllo dell’UE. Gli Stati membri dell’UE devono infine cominciare a mettere le persone prima delle frontiere”.[7]
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha registrato 40.000 morti legate alla migrazione dal 2000 nel mondo. Da quell’anno, oltre 22.000 migranti hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. Nel solo 2014, più di 3.000 migranti sono morti nel Mediterraneo, mentre quest’anno, in aprile, più di 800 sono morti al largo delle coste della Libia in un devastante naufragio.
Di recente, alcuni politici europei hanno proposto azioni militari per intercettare e distruggere le barche che trasportano i migranti e i rifugiati al largo delle coste della Libia. Tali interventi erano giustificati perversamente come azioni umanitarie per colpire i trafficanti di esseri umani, definiti i moderni trafficanti di schiavi. Centinaia di docenti universitari hanno immediatamente sfidato questa retorica presunta progressista, scrivendo: “Tentare di schiacciare [il traffico di esseri umani] con la forza militare non è prendere una nobile posizione contro il male della schiavitù, o contro il ‘traffico’. È semplicemente continuare una lunga tradizione nella quale gli Stati, inclusi gli stati schiavisti del 18° e 19° secolo, usano la violenza per impedire a certi gruppi di esseri umani di muoversi liberamente”.[8]
In realtà, le politiche di militarizzazione delle frontiere rendono precari e pericolosi i viaggi dei migranti. Corpi che battono sulle spiagge e che si gonfiano nei deserti possono suscitare simpatia e discussioni internazionali su come “gestire” le morti, ma raramente suscitano il nostro senso collettivo di complicità e responsabilità per lo sfollamento e la morte dei migranti. La geografa Mary Pat Brady descrive le morti dei migranti come una specie di “pena di morte passiva”, dove “gli immigranti sono stati effettivamente incolpati delle loro morti”.
Non è una coincidenza che le morti dei migranti aumentino ogni anno, o che semplicemente ci siano. I migranti muoiono alle frontiere o nei centri di detenzione precisamente perché le frontiere militarizzate e le politiche escludenti dell’immigrazione sono intese per rendere i loro corpi, viaggi e umanità vulnerabili e sacrificabili.
* Harsha Walia (@HarshaWalia) è un’attivista e scrittrice Sud Asiatica residente in Vancouver negli unceded Indigenous Coast Salish Territories in Canada [“unceded Territories”: territori abitati dagli abitanti originari, non ceduti e non oggetto di trattati, nella provincia della British Columbia].. È impegnata da 15 anni in movimenti comunitari di base per la giustizia per i migranti, femministi, antirazzisti, solidarietà con gli Indigeni, anticapitalisti e antimperialisti.
[1] http://www.unhcr.org/556725e69.html#_ga=1.225701913.2095888809.1417795315
[2] https://vimeo.com/127986504
[3] http://www.unhcr.org/556725e69.html#_ga=1.225701913.2095888809.1417795315
[4] http://prrn.mcgill.ca/background/
[5] http://www.huffingtonpost.com/2011/02/22/environmental-refugees-50_n_826488.html
[6] http://globalnews.ca/news/1645726/canadas-unwanted-non-citizens-paid-to-leave-jailed-without-charge-die-in-secret/
[7] http://www.amnesty.ca/news/news-releases/eu-migration-policies-put-lives-and-rights-at-risk
[8] https://www.theguardian.com/world/2015/may/21/anger-eu-slave-trade-rhetoric-naval-operations-migration-mediterranean