Qualcuno (purtroppo anche le organizzazioni sindacali) aveva innescato, nei mesi scorsi, una polemica contro il Governo reo di non voler presentare la nuova legge sugli stipendi solo perché essa avrebbe rappresentato un importante progresso.
A noi un simile ottimismo ci sembrava fuori posto. Ci pareva probabile, alla luce della politica degli ultimi quindici anni, che l’attuale esecutivo (ancora una volta unanime) avrebbe confermato la logica di pressione verso il basso sui salari: ed è quello che è successo.
Analizzando infatti i due documenti relativi a questa riforma della scala salari (il messaggio relativo alla Revisione totale della Legge sugli stipendi degli impiegati dello Stato e dei docenti e la proposta – in discussione con i sindacati – di inserimento delle attuali funzioni nella nuova scala) si comprende benissimo quali obiettivi voglia raggiungere il governo.
Da un lato si vuole mantenere il più ampio margine di manovra nella politica salariale, rafforzando quello già ampio, in modo da poter, anno dopo anno, decidere senza vincoli o “rigidità” la politica del personale; dall’altro si vuole avviare una riforma della scala degli stipendi che, a medio termine, permetta di diminuire in modo cospicuo i costi del personale.
Come prima, peggio di prima
Sono tre le questioni che rendono il progetto presentato assolutamente peggiore rispetto alla legge attuale. Peggioramenti che vengono, abilmente, presentati come modifiche tese a “modernizzare” la legge (vecchia di molti decenni). In realtà molto spesso si tratta di cambiamenti dovuti a modifiche legislative intervenute in altri ambiti (ad esempio cassa pensione) o di conseguenze di sentenze giudiziarie.
La prima riguarda la scomparsa totale degli automatismi in materia salariale. Pensiamo qui alla compensazione del rincaro o, ancora più preoccupante, agli scatti annuali previsti nell’ambito di ogni scala salariale. Su questo ultimo punto, ad esempio, l’attuale legge prevede il diritto annuale del dipendente allo scatto salariale. La nuova formulazione prevede che il dipendente abbia diritto”di regola” a questo scatto. Con questa nuova formulazione si vogliono evitare le discussioni del passato quando il governo doveva presentarsi davanti al Gran Consiglio per derogare a quanto previsto dalla legge.
Questo tema ci permette di collegarci ad un secondo importante peggioramento: il passaggio dagli attuali 10-15 scatti tra il minimo e il massimo di ogni scala salariale ai 24 previsti dalla nuova legge. In altre parole, per arrivare al massimo della propria carriera salariale non ci vorranno più, teoricamente, 10 o 15 anni come finora, ma ben 24.
Abbiamo detto teoricamente poiché questa carriera è legata alla condizione che gli scatti salariali siano concessi ogni anno; oppure che tutti possano avere una carriera continua, non interrotta per ragioni diverse: dalla necessità di interrompere la propria attività per ragioni professionali a quella legata ad eventi particolari come la maternità. Inoltre, è noto, la carriera comincia molto più tardi rispetto al passato.
Tutti questi elementi, uniti ad una politica salariale che non sembra voler cambiare (negli ultimi vent’anni sono quasi una decina gli anni nei quali gli scatti sono stati “congelati”) permettono di affermare senza tema di smentita che il massimo salariale della propria classe di stipendio diventerà, per la maggior parte dei salariati che cominceranno con la nuova scala, una vera e propria chimera.
Infine, ma non è certo un aspetto secondario e rientra nella logica di “dumping di Stato”, va rilevato come i salari iniziali (e i primi anni) delle prime tre scale salariali propongano salari al di sotto dei 4’000 franchi mensili (cioè meno di 52 franchi annui).
Le proposte di classificazione
Sulla base delle proposte contenute nella legge, il governo ha sottoposto alle organizzazioni sindacali un proposta di classificazione degli attuali dipendenti (suddivisi in 36 classi) nelle 20 classi che conta la nuova scala salariale.
Naturalmente nessun dipendente (e ci mancherebbe) verrà penalizzato dalla nuova classificazione. Gli attuali livelli salariali verranno mantenuti e la carriera proseguirà, fermo restando quanto abbiamo detto qui sopra in materia di scatti, dal punto in cui il dipendente verrà inserito in una delle nuove 20 classi. Ma anche qui le novità sono tutt’altro che positive.
Prima di tutto va rilevata una sistematica diminuzione dei salari iniziali per le categorie salariali medio-basse nell’ambito gerarchico. Così , tanto per ricordare esempi di cui si sono già occupati i media, avremo categorie che vedranno un salario iniziale inferiore di 10’000, 8’000, 6’000 franchi annui rispetto ai minimi previsti attualmente: le bibliotecarie, i consulenti degli uffici di collocamento, infermieri, oltre ad una serie di funzioni amministrative. In qualche caso il salario massimo, dopo la lunghissima carriera alla quale abbiamo qui sopra accennato, sarà aumentato di qualche…centinaio di franchi…all’anno.
Ma la politica del governo si adegua al dogma neoliberale non solo diminuendo i salari di chi sta in basso: l’altro aspetto inaccettabile di questo progetto è il fatto che le funzioni medio alte, diciamo quelle di tipo direttivo, si vedranno ricompensate con lauti aumenti sia nella parte iniziale che in quella finale di carriera. In questo modo gli attuali quadri dirigenti dell’amministrazione potranno pienamente approfittarne. Una sorta di salario al merito che, respinto nel referendum contro il precedente progetto di legge sugli stipendi, viene di fatto recuperato e addirittura integrato nella scala salariale normale.
La necessità di una risposta
L’impianto complessivo sia della proposta di legge che della inserzione delle attuali funzioni nella nuova scala devono essere respinti in blocco.
Da qui la necessità di una contestazione che non deve limitarsi al piano istituzionale o esercitarsi solo nelle segrete stanze dei tavoli negoziali.
Oggi più che mai è necessaria una contestazione che parta dai luoghi di lavoro e che si manifesti con azioni diverse di mobilitazione. In questa prospettiva il movimento sindacale deve abbandonare le esitazioni (e gli errori fin qui commessi: come quello di aver accettato il principio di una scala salariale con 24 scatti) e adottare misure di lotta all’altezza di una partita il cui esito rischia di peggiorare le condizioni di lavoro e di salario di migliaia di dipendenti pubblici per i prossimi decenni.