Finalmente, verrebbe voglia di gridare. Anche un consigliere di Stato, Manuele Bertoli, si accorge che esiste quello che noi da anni definiamo “dumping di Stato”. Un’espressione che aveva fatto arrabbiare, e molto, un’altra consigliera di Stato, Laura Sadis, sotto la cui direzione aveva avuto inizio la proliferazione dei Contratti Normali di Lavoro (CNL) che dovrebbero, il condizione è d’obbligo, combattere il dumping salariale. Ma che nella realtà, proprio per i loro bassi livelli salariali, di fatto favoriscono il dumping salariale.
Manuele Bertoli, su La Regione dell’altro giorno, dice cose assai vere, in particolare che questi salari sono addirittura al di sotto dei limiti assistenziali e che, anche per questo, in Ticino vi sarebbe un problema salariale.
Bertoli, ma almeno lui ha il merito di esserci arrivato – contrariamente, dobbiamo credere, ai suoi colleghi di governo , si è dunque accorto della logica perversa di CNL che introducono salari minimi legali – e sottolineamo questo termine – che ruotano attorno ai 3’000 franchi mensili (per 12 mensilità). Significa che qualsiasi datore di lavoro può offrire, pretendendo che vengano accettati e nella più tranquilla legalità, salari con i quali è difficile vivere in Ticino.
Certo Bertoli avrebbe potuto accorgersene prima. Ad esempio quando, nel maggio 2011, sollevavo il problema e chiedevo, con una mozione parlamentare, che entro la fine dell’anno si adeguassero i CNL a 4’000 franchi mensili (per 13 mensilità) e fosse considerato quello il parametro di riferimento per eventuali nuovi CNL.
Avrebbe potuto utilizzare la sua autorevolezza – lui e tutti gli altri che condividono questa posizione – per evitare che questa mia proposta restasse inevasa per quasi tre anni. Venne infatti discussa e respinta nel dicembre del 2013. Si vede che stava guastando ancora la seconda fetta di polenta. E a tale punto doveva essere anche il suo partito, Saverio Lurati presidente e Pelin Kandemir capo-gruppo, che pensò bene di non opporre nemmeno un rapporto di minoranza a quello maggioritario che si pronunciava per un secco no.
Poi, con quella originalità che da tempo ormai contraddistingue le sue proposte politiche, il PS, tre mesi dopo – esattamente nel marzo 2014 – pensò bene di riproporre praticamente la mia stessa mozione. Mozione che venne, come vi era da attendersi, respinta il 22 settembre 2015 (eh, si vede quanto conta la “forza” parlamentare!). Anche in questo caso, forse era solo alla terza fetta di polenta, il consigliere di Stato non pensò utile chiamare i suoi amici della Regione ed esternare le giuste cose che afferma ora. Magari avrebbe convinto qualcuno in più a sostenere la proposta del suo partito.
Vale la pena ricordare che a capitanare il No a quella proposta – relatore del rapporto di maggioranza – fu il primanostrista UDC Marco Chiesa, che già allora mostrava quanto lui e il suo partito ci tenessero a fermare il dumping salariale…
Ma adesso, dopo la quarta fetta, non ha più dubbi: è polenta. Cioè i CNL prevedono salari troppo bassi. Lo dice con pudore, perché non vorrebbe “pestare i piedi al collega Vitta”. Penso invece che sia proprio l’ora di cominciare a puntare i piedi, per restare nell’immagine. A dire che al di sotto di un certo limite tutti i salari fissati (nei CNL, ma anche nei contratti collettivi, così come in qualsiasi altra regolamentazione, pubblica o privata) sono un contributo allo sviluppo del dumping salariale e sociale.
Così come non lo sarà, contrariamente a quanto auspica Bertoli, la concretizzazione dell’iniziativa dei Verdi approvata in votazione popolare.
Il rischio concreto è la concretizzazione di quella iniziativa fissi un salario minimo legale che generalizzerà per tutti i settori professionali quello stesso effetto negativo che hanno i salari fissati nei CNL.
* Intervento pubblicato su La Regione.