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aaagianniHai passato gran parte della tua vita a batterti per i diritti dei salariati, della classe cioè alla quale tu appartieni. Dal tuo punto di vista puoi dunque fare un bilancio di come questa lotta si sia modificata negli ultimi trenta-quaranta anni, in particolare in un paese come la Svizzera caratterizzato per la sua estrema stabilità politica e sociale. Cosa puoi dirci?

Dal mio modesto punto di vista, semplificando di molto la risposta, oserei dire che i veri protagonisti del cambiamento, in questi ultimi decenni gli artefici della “rivoluzione” nel mondo del lavoro sono stati (e lo sono tuttora) il padronato e i sostenitori delle politiche neoliberiste. Insomma, questi ultimi, diligentemente determinati nella “missione” di demolire le conquiste sociali, sindacali, la classe operaia e le famiglie dei ceti sociali medio-bassi. Hanno condotto quindi una loro attiva lotta di classe! Sempre all’attacco, con passo celere, mentre purtroppo, chi sostiene e professa una politica sociale (sindacati, ecc.), salvo qualche sporadica eccezione, si è trovato costantemente ad inseguire con affanno, con fiato corto, con passo fiacco e imbarazzante pragmatismo. Per nulla all’altezza dei loro (o meglio, dei nostri) rivali sempre affamati di nuove e per noi dolorose conquiste!
Dunque, per i propugnatori delle politiche a difesa delle salariate e dei salariati, il bilancio, è d’altronde sotto gli occhi di tutti, è impietosamente in rosso!
Qualcuno, non riuscendo proprio ad elaborare un minimo di autocritica, per abbellire il bilancio e facendo ignobilmente ricorso alla politica del “meno peggio”- scordandosi dunque di tutti coloro che ne sono usciti dolorosamente sconfitti – si ostina a sostenere che non si poteva far di meglio che seguire la via del male minore. In altre parole dovremmo, secondo costoro essere anche contenti, pensare che, dopo tutto, ci è andata bene, abbiamo avuto, scusate l’espressione, anche un po’ di culo a continuare ad avere, ad esempio, un lavoro…

 

Nella tua azione hai assistito anche al declino del ruolo delle organizzazioni sindacali, della volontà delle loro direzioni (e anche della loro capacità) di costruire una resistenza alle politiche padronali – a dominante neoliberale – che si sono sviluppate negli ultimi decenni. Come hai vissuto questa evoluzione sindacale dalla tua postazione di militante operaio?

L’essenziale l’ho già detto prima. Aggiungo che per creare, suoi luoghi di lavoro, le condizioni ideali per dar vita ad una resistenza degna di un confronto critico e ad armi pari con la controparte padronale, sarebbe stato e sarebbe prima di tutto necessario fare “tabula rasa” di tutti quei meccanismi o strumenti di ricatto e pressione (attraverso la precarietà, ecc.) che il padronato ha a disposizione per istillare, nei dipendenti, la “paura”, l’incertezza; “blindando” ogni possibilità d’azione che possa partire autonomamente dalla base, dai lavoratori.
Invece, grazie a questi meccanismi, alla fine ai salariati non resta che delegare il tutto alle burocrazie sindacali. Insomma, affidarsi a coloro che, il più delle volte, decidono su questioni sulle quali a decidere avrebbero dovuto essere i lavoratori. Una situazione questa che , se ad esempio penso alla Officina, facilita ancor più il compito della direzione aziendale, la quale si trova ad aver a che fare con interlocutori (i dirigenti sindacali) ben individualizzabili e ideologicamente collocabili, pragmatici e dello stesso livello “gerarchico”, molto lontani quindi dalla realtà quotidiana nella quale vivono le lavoratrici e i lavoratori. Viene dunque a mancare ciò che si è vissuto a partire con lo sciopero del 2008, cioè l’azione propulsiva collettiva, la forza delle scelte comuni, ratificate nelle assemblee, lo spirito d’improvvisazione (uscire dagli standard), sentirsi partecipe e, quindi, protagonisti, nel bene e nel male, delle proprie scelte. Insomma, andare, senza se e senza ma, fino in fondo, al raggiungimento degli obiettivi collettivamente prefissati !

 

L’esperienza della lotta dell’Officina è stata sicuramente un punto di svolta nella tua vita. Essa ha, in un certo senso, coronato un lavoro durato almeno due decenni, passato tra sconfitte e parziali vittorie. Pensi che l’esperienza della lotta alle Officine possa, in qualche misura, essere ancora oggi un punto di riferimento per le lotte future? Quali sono stati i punti forti di questa esperienza di lotta che ritieni abbiano un carattere, diciamo così, “universale” e che si ritrova in molte altre lotte passate, presenti e future?
Per lo meno la lotta dei lavoratori dell’Officina dovrebbe mettere tutti d’accordo, anche i più critici, sul fatto che è possibile opporsi, con efficacia, ai piani di ristrutturazione aziendali. Si è dimostrato che lo sciopero è un mezzo più che democratico per impedire che scellerate scelte aziendali siano rese operative con conseguenze sociali devastanti. Come viene messo in luce nella domanda, è una resistenza interna alle Officine che è in atto da quando, e sono più di vent’anni, si è costituito autonomamente un nucleo di lavoratori sorretto da uno spiccato, e oserei dire coraggioso, senso critico, sia nei riguardi delle scelte aziendali che di quelle dei sindacati di categoria. Un lavoro costante e paziente, caratterizzato anche da molte delusioni e sconfitte – prezzo purtroppo da pagare per chi sceglie d’agire controcorrente – improntato sulla buona fede, a tutela di sacrosanti principi non negoziabili, come lo sono i diritti sindacali e, sopra tutto, la dignità dei lavoratori.
In conclusione, direi proprio di sì! Con qualche adattamento alle specifiche contingenze, credo modestamente che sia più che possibile, anzi necessario, poter riprodurre queste esperienze di lotta e renderle quindi universali. Questo non solo per l’importanza dei risultati materiali ottenuti, ma, soprattutto, per il come è stato possibile raggiungerli. Mettendo quindi coerentemente in pratica una politica sindacale che tenga conto di tutto quanto concretamente “sperimentato”, con pregi e difetti, nella lotta delle Officine, che ha visto coinvolti “in primis” quali artefici le lavoratori, ma che ha avuto anche la capacità di contagiare e, quindi di far leva, la sensibilità dei cittadini e delle istituzioni di un’intera regione e non solo. Una lotta che, secondo me, necessiterebbe quindi di maggior attenzione, approfondimento e rispetto da parte di chi si professa “paladino” della difesa delle salariate e dei salariati.