Il dibattito politico nelle settimane successive la votazione del 25 settembre 2016 sull’iniziativa popolare denominata “Prima i nostri” (e anche in quelle precedenti) si è concentrato soprattutto sul fatto che molte delle proposte contenute nell’iniziativa UDC non sono di fatto realizzabili, poiché oggetto di regolamentazione a livello legislativo superiore o perché in contrasto con accordi internazionali.
Molte delle osservazioni fatte sono sicuramente vere. Ad esempio, è evidente che la cosiddetta “preferenza cantonale o nazionale” sia oggettivamente in contraddizione con gli Accordi Bilaterali e con la parità di trattamento tra cittadini UE e cittadini residenti in Svizzera, nonché con il principio della cosiddetta libera circolazione.
L’MPS si è opposto a questa iniziativa (così come al controprogetto). Nella sua opposizione non ha tanto messo l’accento su questi aspetti di “fattibilità” o “compatibilità”, ma, soprattutto, su questioni di carattere politico e di principio: riteniamo che la cosiddetta “priorità cantonale o nazionale” sia una rivendicazione sostanzialmente xenofoba (non a caso il padre di questo orientamento è stato il capo del Front National francese Jean Marie Le Pen con il suo “Les Français d’abord”), tesa a dividere i lavoratori e le lavoratrici su base etnica, nazionale e regionale: una configurazione molto amata dal padronato che, grazie a questa divisione dei salariati, vede frustrata sin dall’inizio qualsiasi possibilità di un’azione unitaria dei salariati per contrastare il dumping salariale e sociale la cui responsabilità, val la pena ricordarlo, è da imputare al padronato e alle sue scelte quotidiane.
D’altronde questo orientamento di divisione è del tutto complementare a quello che rappresenta la cosiddetta libera circolazione nella versione affermatasi negli ultimi anni in tutta Europa: e cioè la messa in concorrenza dei lavoratori su un mercato del lavoro più ampio, con sempre meno regole e protezioni, con l’obiettivo di diminuire i costi di produzione e di mantenere o aumentare il tasso di profitto. È questo, d’altronde, il risultato concreto al quale si è assistito in parecchi paesi dell’Unione europea.
È vero che quasi tutte le modifiche costituzionali approvate lo scorso 25 settembre sono di difficile, per non dire impossibile,applicazione nel quadro dell’attuale ordinamento giuridico. Una trasformazione in legge (ad esempio del principio della precedenza ai lavoratori indigeni) potrebbe essere facilmente contestata in sede giudiziaria. Un lavoratore proveniente dalla UE che, in un concorso pubblico, vedesse rifiutata la propria candidatura solo per ragioni legate alla sua nazionalità, potrebbe facilmente far valere le proprie ragioni in sede giudiziaria.
I motivi di fondo per i quali, tuttavia, le modifiche costituzionali appaiono di difficile applicazione sono di natura strettamente politica. Prendiamo ad esempio il nuovo art. 14 lett. J della Costituzione cantonale. Esso stabilisce che il Cantone provvede affinché “nessun cittadino del suo territorio venga licenziato…”. Ora, non solo il diritto svizzero, purtroppo aggiungiamo noi, non permette di revocare, impedire e annullare alcun licenziamento di tipo economico (solo in alcuni casi legati a discriminazioni particolari); ma quasi tutto il fronte politico che ha condotto la campagna in vista del 25 settembre, fautori dell’iniziativa o del controprogetto, concorda sul principio che la “priorità ai nostri” non potrebbe sfociare su una proposta di legge che restringesse in qualche modo la libertà economica del padronato.
Infatti sia il fronte sostenitore dell’iniziativa (UDC, Lega) sia quello favorevole al controprogetto (PPD, PLRT) si guardano bene, e parliamo del livello nazionale dove sarebbe possibile operare in questa direzione, dal formulare simili proposte.
In realtà a nessuno di loro interessa combattere il dumping; a loro interessa difendere una bandiera che permetta di guadagnare il massimo di consensi elettorali, puntando sulla crescente disperazione sociale di chi non trova un lavoro per sé o per i propri figli, di chi si vede scartato dopo anni dal proprio posto di lavoro per far posto a nuova forza-lavoro pagata meno, di chi, pur mantenendo il posto di lavoro, deve accettare salari sempre più bassi.
L’MPS ha combattuto l’iniziativa “Prima i nostri” per le ragioni che abbiamo evocato qui sopra. Ma con la sua iniziativa “Basta con il dumping salariale” aveva delineato una strada, certo parziale, che poteva tuttavia rappresentare un primo passo per porre sotto controllo (e poi combattere) il dumping salariale in questo Cantone. La nostra iniziativa, lo abbiamo detto, si poneva come una sorta di controprogetto politico indiretto a quella dell’UDC. E, pur ammettendo che è stata sconfitta dal controprogetto, non si può dimenticare che le istanze in essa contenuta sono state comunque approvate dal 45% dei votanti. E che, non fosse per questo dato, si tratta di rivendicazioni legittime.
Vogliamo continuare la nostra battaglia e, per farlo, rilanciamo la logica che ha ispirato le nostre proposte, partendo da alcuni spazi che le modifiche costituzionali approvate il 25 settembre offrono.Con la convinzione che si tratta di proposte tutte realizzabili poiché non lesive del diritto superiore.
Saranno anche un banco di prova per tutti coloro, a cominciare dagli iniziativisti di “Prima i nostri”, che affermano di voler combattere il dumping.
Monitorare i licenziamenti
Il nuovo articolo 14 lett J della Costituzione cantonale, approvato il 25 settembre, afferma che il Cantone provvede affinché “nessun cittadino del suo territorio venga licenziato a seguito di una decisione discriminatoria di sostituzione della manodopera indigena con quella straniera (effetto di sostituzione) oppure debba accettare sensibili riduzioni di salario a causa dell’afflusso indiscriminato della manodopera estera (dumping salariale)”.
Ora, per poter anche solo immaginare di intervenire su quelli che vengono qui definiti licenziamenti di “sostituzione” appare necessario, preventivamente, prenderne conoscenza. Se questo venisse fatto, sarebbe poi possibile costruire una strategia che, anche muovendosi nell’ambito delle compatibilità fissate dalle leggi (impossibilità di revocare un licenziamento), potrebbe comunque avviare una politica di intervento e di pressione sulle aziende che si rendessero “colpevoli” di questo modo di procedere. Una strategia di controllo dei licenziamenti potrebbe facilmente costituire un deterrente contro i licenziamenti sostitutivi, cioè fatti con l’obiettivo di abbassare i livelli salariali(dumping salariale).
Per poter prendere conoscenza del fenomeno si tratterebbe di mettere in atto misure che permettano di monitorare i cosiddetti effetti di sostituzione e i fenomeni di dumping salariale. E il Cantone ha tutti gli strumenti giuridici per effettuare questo intervento.
Per poter mettere in pratica questi obiettivi è quindi necessario, come detto, che il Cantone metta a punto, preliminarmente, un sistema che permetta di monitorare la presenza di questi fenomeni. Fondamentale, da questo punto di vista, si tratta di conoscere l’evoluzione del mercato del lavoro e degli eventi individuali che su questo mercato avvengono (licenziamenti e assunzioni: a questo fa specifico riferimento il testo costituzionale).
Sulla base di questi dati, sarà poi necessario un lavoro di affinamento per verificare che effettivamente non via sia un effetto di sostituzione il cui obiettivo è di sostituire un lavoratore con un altro ad un salario inferiore (dumping). In particolare il lavoro di affinamento è richiesto da un’altra modifica costituzionale approvata lo scorso 25 settembre. Si tratta dell’art. 14 lett. b laddove si richiede che “sul mercato del lavoro venga privilegiato a pari qualifiche professionali chi vive sul suo territorio per rapporto a chi proviene dall’estero (attuazione del principio di preferenza agli Svizzeri)”.
Come affermato in precedenza noi non condividiamo le finalità di questo articolo, in particolare poiché esso introduce un concezione del diritto al lavoro (che significa diritto al salario e all’esistenza in una società sostanzialmente di salariati) fondata su criteri razziali o territoriali. Un vero e proprio veleno che divide i salariati e ne paralizza la capacità di rispondere, in modo unitario, alle politiche padronali, tese a ridurre, nel complesso e per tutti, i salari dei propri dipendenti. Inoltre, la priorità ai lavoratori indigeni, come è acquisito dalla giurisprudenza e come abbiamo ripetuto, contraddice gli accordi internazionali firmati dalla Svizzera e, come tale, appare non applicabile.
Ma non vi sono dubbi che l’esigenza di verificare le “pari qualifiche professionali” possa essere realizzata senza ledere nessun diritto superiore; questo comporta una conoscenza ed un monitoraggio del mercato del lavoro estremamente importante che, ancora una volta, potrebbe avere un ruolo di deterrente e stroncare il diffondersi di simili pratiche tutte tese alla realizzazione del dumping salariale.
Per la verità l’MPS, con la sua iniziativa “Basta con il dumping salariale in Ticino” aveva proposto un meccanismo di notifica di tutti i contratti individuali stipulati in Ticino (e della modifica di questi contratti) che, se approvata, avrebbe fornito tutti i dati necessari per mettere in pratica gli articoli costituzionali qui richiamati, indipendentemente dal giudizio che si possa esprimere sulla loro applicabilità.
Appare tuttavia chiaro che il Cantone, se vuole veramente realizzare quanto di realizzabile c’è nel nuovo dettato costituzionale, dovrà mettere in campo misure efficaci. La proposta che segue si muove in questa direzione.
Testo dell’iniziativa parlamentare generica
In applicazione degli articoli 14 lett. b e 14 lettera j della Costituzione cantonale, si propone al Gran Consiglio di elaborare una legge che tenga conto dei seguenti principi:
1.Il datore di lavoro deve consegnare a ogni dipendente occupato, su formulario ufficiale allestito dall’Ispettorato del lavoro, un riassunto delle condizioni d’impiego che contenga le seguenti indicazioni:
• salario orario/mensile/annuale
• sesso
• grado d’occupazione
• luogo d’occupazione
• funzione e qualifica del dipendente
• inizio contratto
• contratto indeterminato o determinato
• termini di disdetta
Il formulario deve essere firmato dal datore di lavoro econtrofirmato dal dipendente.
All’entrata in vigore della presente legge i datori di lavoro dovranno consegnare a tutti i dipendenti tale formulario.
Nel caso in cui il datore di lavoro non fosse in possesso del formulario ufficiale o lo stesso non fosse controfirmato dal dipendente, valgono le indicazioni fornite dal dipendente o quelle in uso nel settore.
2. Il datore di lavoro deve comunicare all’Ispettorato del Lavoro, trasmettendo copia del formulario notificato al dipendente, i dati fondamentali relativi ai cambiamenti di contratto all’interno della sua azienda. In particolare:
– tipo di cambiamento del contratto (licenziamento, disdettada parte del lavoratore, pensionamento, etc.)
– motivi del cambiamento di contratto
– forma del contratto oggetto del cambiamento (determinato, indeterminato, a ore, ecc.)
– funzione e qualifica del dipendente
– luogo di lavoro, orario di lavoro, percentuale di occupazione, salario
– età, sesso, nazionalità e domicilio del dipendente.
Tutte le modifiche contrattuali relative a rapporti di lavoro individuali che si effettuano sul territorio cantonale devono essere notificati all’Ispettorato cantonale del Lavoro entro 15 giorni dalla loro intimazione.
3. Il datore di lavoro deve comunicare all’Ispettorato del lavoro e all’Ufficio Regionale di Collocamento (URC) tutti i posti che, per ragioni diverse (disdetta, licenziamento, pensionamento, creazione di un nuovo posto), si rendessero vacanti nella sua azienda. Tale comunicazione deve avvenire entro 15 giorni dal momento in cui si è a conoscenza del fatto.
Il datore di lavoro deve comunicare i dati principali relativi al posto vacante. In particolare:
– forma del contratto (determinato, indeterminato, a ore, ecc.)
– funzione e qualifica richiesta
– luogo di lavoro, orario di lavoro, percentuale di occupazione, salario
– eventuali requisiti preferenziali non discriminatori(esperienza, conoscenza delle lingue, etc.).
4. Il datore di lavoro deve comunicare ogni nuova assunzione all’Ispettorato del lavoro e all’Ufficio Regionale di Collocamento (URC). Nella comunicazione dovranno figurare i seguenti dati:
– tipo di posto occupato (nuovo posto, sostituzione di un lavoratore partente, etc.)
– forma del contratto (determinato, indeterminato, a ore, ecc.)
– funzione e qualifica del dipendente
– luogo di lavoro, orario di lavoro, percentuale di occupazione, salario
– età, sesso, nazionalità e domicilio del dipendente.
Le disposizioni del punto 4 sono valide anche per il personale sottoposto alla Legge federale sul collocamento e il personale a prestito (LC).
5. I datori di lavoro che infrangono le disposizioni della legge oggetto di queste prescrizioni verranno sanzionati con una multa pari al 2% della massa salariale per ogni infrazione.
Matteo Pronzini (MPS)
Bellinzona, 10 ottobre 2016