Tempo di lettura: 5 minuti

aaaaaaapedroConsummatum est. Dopo che, mercoledì [28 settembre], con il fischio di inizio di Felipe González e le dimissioni del settore affine a Susana Díaz dalla Commissione esecutiva federale, era iniziata l’offensiva generale, PRISA in testa [1], contro il segretario generale del PSOE, era difficile pensare che il settore capeggiato da Pedro Sánchez fosse capace di resistere alla pressione cui era sottoposto nella riunione del Comitato federale. E, effettivamente, alla fine ha dovuto arrendersi dopo una votazione palese nella quale la sua proposta di convocare un Congresso è stata respinta con 137 voti contro 105.

Si conclude così, provvisoriamente, il momento più critico del conflitto in seno a questo partito, ma resta irrisolto il problema sulla posizione che il suo gruppo parlamentare dovrà assumere nel prevedibile voto di investitura di Rajoy come presidente del governo prima della scadenza del 31 ottobre. Sappiamo qual è l’intenzione della parte vincitrice, ma sembra che ancora non l’esprima con sufficiente chiarezza per timore del rigetto cui potrebbe andare incontro in una parte importante della militanza. Affideranno a un referendum la decisione finale? Vi sarà una pressione in questo senso da parte dei settori militanti del partito?
Tra mercoledì e oggi [1° ottobre] abbiamo assistito a una “guerra fratricida” nel corso della quale, a parte il ruolo giocato da Felipe González [2], non sono mancati episodi vergognosi – come, per esempio, l’autoattribuzione di “unica autorità” da parte della presidente della Mesa del Comitato federale – e si è fatto ricorso, da entrambe le parti, a metodi di soluzione del conflitto per nulla democratici. Il tutto, non dimentichiamolo, per una questione tattica, che però ha senza alcun dubbio una portata più ampia, perché ciò che sta sullo sfondo di tutto è il come affrontare la crisi di regime: contribuire a risolverla permettendo al PP di Rajoy di governare o, al contrario, tentando di formare un “governo alternativo” capace di convertire all’esigenza della “governabilità” Unidos Podemos e anche un settore dell’indipendentismo catalano?
Oggi risulta del tutto evidente che quando nel precedente Comitato federale i presidenti dei governi regionali [autonómicos] appoggiarono il tentativo di Sánchez di un “governo alternativo” in realtà speravano (fatta eccezione per la presidente delle Baleari) in suo rapido fallimento per poter così poi passare a negoziare con il PP una possibile astensione nell’investitura di Rajoy. Era, insomma, un “All’inizio, no a Rajoy”, che ci ricorda quello impiegato da Felipe González con la NATO, per poi convertirsi in un fervente atlantista. A tutto ciò s’è aggiunto il timore di una terza elezione [in un anno] dopo che quelle galega e basca avevano confermato il declino [del partito], anche se nessun argomento di peso è stato avanzato per attribuirne a Sánchez la responsabilità.
A partire da adesso questo partito entra in una nuova fase, in uno dei momenti più critici della sua storia, paragonabile solo alle crisi attraversate alla fine del 1935 o nel 1979, anche se queste si manifestarono su contrapposizioni del tutto diverse [3]. Comunque, ciò che questo conflitto ha ormai reso manifesto è che la crisi della versione spagnola di una socialdemocrazia europea, anch’essa alla deriva, sta conducendola a una perdita ormai irreversibile della sua centralità, del suo ruolo chiave all’interno di questo regime e, in definitiva, della sua capacità di essere alternativa di governo. Ora, sì, è tramontato definitivamente il bipartitismo ed entriamo in una nuova fase di ricomposizione del sistema partitico, nella quale Podemos e le “confluenze” possono avere un ruolo fondamentale per costruire – a partire dalla responsabilizzazione popolare e, ci auguriamo, con quei settori del PSOE che condividono questo obiettivo – una ferma opposizione al PP e al blocco di potere che lo sostiene.
La resistenza (non estranea ai propri interessi particolari) opposta dalla frazione più istituzionalizzata del PSOE al nuovo ciclo che si è aperto con il 15 maggio 2011 e con l’ascesa elettorale di Podemos, nonostante l’appoggio ricevuto da questa formazione in varie Comunità autonome per poter governare sembra che continuerà a caratterizzare il comportamento di questo partito. Si sono incaponiti nel continuare a guardare più a destra che a sinistra, prima valorizzando Ciudadanos come “forza del cambio” e poi temendo di opporsi al PP su questioni centrali come le politiche d’austeritò della troika. Atteggiamenti simili hanno avuto di fronte alla richiesta del referendum da parte di una maggioranza sovranista catalana: la loro fedeltà a un nazionalismo spagnolo escludente e a una lettura fondamentalista della Costituzione li ha ancor più indeboliti in Catalogna e in Euskadi e li sta riducendo a essere un partito del “Sud”, trincerato nelle sue roccheforti andalusa ed estremegna.
Non potendo essere ormai un’alternativa di governo senza stabilire alleanze alla sua destra o alla sua sinistra, con una base elettorale in declino tanto per motivi sociali (la classe media è in via di restrizione) quanto per la sua incapacità di attrarre le nuove generazioni e coloro che già riconoscono apertamente la realtà plurinazionale dentro questo Stato, il PSOE sta attraversando una nuova mutazione: se già da tempo era un partito che aveva abbandonato quelli che erano stati i tratti d’identità originari della socialdemocrazia, ora si trova senza un progetto alternativo alla destra neoliberale e con in più la necessità di ricostruire, da una opposizione subalterna al PP, una coalizione dominante e una leadership in grado di curare le ferite ricevute nel corso di questa intensa settimana di “guerra” condotta sino a estremi mai visti prima.

* Jaime Pastor è professore di Scienze politiche alla Universidad Nacional de Educación a Distancia (UNED) di Madrid e editor di Viento Sur.L’articolo è apparso su Viento Sur. La traduzione è di Cristiano Dan.

[1] PRISA è il gruppo editoriale che edita El País. Questo quotidiano, di “centrosinistra”, dopo aver condotto una intensa campagna contro Podemos, ha poi rivolto le sue batterie contro il segretario del PSOE, colpevole di non voler facilitare con l’astensione l’investitura di Rajoy. Non per amore di Rajoy, naturalmente, ma perché favorevole al progetto “centrista” di Susana Díaz, la potente “baronessa” del PSOE andaluzo. Fra i tanti attacchi rivolti a Sánchez, si è infilato qua e là anche l’insulto, fino ad arrivare (editoriale del 29 settembre) a definirlo un «insensato senza scrupoli». La Defensora de los lectores, Lola Galán, nella sua rubrica ha avuto il suo da fare per giustificare il fatto dopo aver ricevuto almeno un centinaio di lettere di lettori scandalizzati e infuriati. Non ha trovato di meglio che portare ad esempio un editoriale di qualche anno fa in cui a essere insultato era… Aznar. [Ndt]
[2] Vedi l’articolo di Roberto Montoya, F.G. y Cebrián, operación acoso y derribo a Sánchez in: http://www.vientosur.info/spip.php?article11737
[3] Nel dicembre 1935 si ebbe la drammatica rottura fra Indalecio Prieto e Francisco Largo Caballero, che paralizzò il PSOE praticamente sino all’inizio della guerra civile. Nel maggio 1979 Felipe González non ottiene che il Congresso del PSOE rinunci al marxismo. Si dimette, il partito entra in crisi e in settembre un Congresso straordinario capitola di fronte a González, lo rielegge segretario e imbocca la via socialdemocratica. [Ndt]

UN RAPIDO AGGIORNAMENTO A CURA DEL TRADUTTORE
Nonostante sia un po’ datato (in questo periodo la situazione spagnola riserva molti colpi di scena) l’articolo di Pastor è il più indicato per riprendere il discorso su questo Paese. Altri più particolareggiati (per esempio, un’intervista a Teresa Rodríguez, militante di Anticapitalistas e dirigente di Podemos Andalusia) seguiranno. Non possiamo però evitare di accennare, sia pure rapidamente, all’ultimo colpo di scena. Com’è noto, il settore che ha fatto le scarpe a Sánchez avrebbe intenzione di astenersi nell’investitura di Rajoy, per poi fare l’opposizione a un governo comunque debole, e perdipiù sottoposto proprio in questi giorni all’attenzione pubblica in seguito all’apertura del processo Gürtel, uno dei più sfacciati e ramificati casi di corruzione che coinvolga il Partido Popular. Ma avevano fatto i conti senza Rajoy. Ben conscio della propria debolezza, Rajoy ha fatto dire da un dirigente del PP che non gli basta l’astensione: vuole un impegno scritto a sostenerlo anche in alcuni passaggi fondamentali, prima di tutto l’approvazione del Bilancio. Così il PSOE s’è cacciato in trappola. Ha fatto fuori il suo segretario per poter arrivare all’astensione e poi leccarsi le ferite, senza lo spauracchio di nuove elezioni, e preparare l’assunzione della leadership della «baronessa» andalusa. E invece ora si trova di fronte a un diktat: o un accordo minimo programmatico, o nuove elezioni. In un caso o nell’altro, un suicidio. [C. D.]