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aaaahealth care plansPer analizzare la catastrofe che ha avuto luogo l’8 novembre 2016, è utile esaminare alcuni dei principali elementi riguardanti l’elezione di Donald Trump. La prima cosa da notare è che Hillary Clinton ha davvero ottenuto più voti di Donald Trump, circa 200’000 secondo i dati disponibili di fine giornata di mercoledì 9 novembre. Se includiamo i voti per i candidati Gary Jonson (libertario) e Jill Stein (Verdi), è chiaro che le persone che hanno votato contro Trump sono di più di quelle che hanno votato per lui.

Sicuramente, però, il Collegio elettorale – questa reliquia del potere schiavista del XVIII secolo [1] – ha piazzato Trump alla Casa Bianca [con 279 grandi elettori contro i 228 per Hillary Clinton]. Per la seconda volta in occasione delle ultime cinque elezioni nazionali, il candidato che ha ricevuto la maggioranza dei voti non è diventato presidente. Ecco come funziona la “più grande democrazia del mondo”!
Nonostante non siano ancora stati presi in considerazione tutti i voti, è chiaro che il tasso di partecipazione globale è calato rispetto al 2012; allora, circa 129 milioni di persone avevano votato. Nel 2016, il totale dovrebbe avvicinarsi a 123 milioni. Di fatto, sembra che alla fine H. Clinton e D. Trump otterranno quasi lo stesso numero di suffragi che avevano ottenuto i perdenti delle elezioni presidenziali del 2008 e del 2012.
Anche se queste cifre non eliminano l’effetto del colpo sferrato l’8 novembre, esse illustrano i limiti del “mandato” cosiddetto popolare a cui Trump può appellarsi. Non solo ha perso il voto popolare, ma né lui, né la Clinton, sono riusciti a mobilitare gli elettori per andare alle urne rispetto alle recenti elezioni.
Appena 24 ore dopo aver caratterizzato Trump come razzista, misogino e ammiratore dei dittatori, i dirigenti del Partito democratico – dal presidente Obama a Bernie Sanders – hanno rilasciato dichiarazioni nelle quali hanno affermato di essere pronti a lavorare con Trump, perché, come ha proclamato Obama: “Facciamo tutti parte della stessa squadra”.
Se qualcuno avesse bisogno di una prova supplementare dell’inutilità totale del Partito democratico come partito di opposizione, ne troverebbe qui una perfetta illustrazione.
Nel 2009, dopo due tornate elettorali che hanno dato ai democratici il controllo delle due camere del legislativo e del governo, i repubblicani erano stati ridotti a 178 deputati alla Camera dei rappresentanti e a 41 senatori. Il Grand Old Party, tuttavia, ha rifiutato di votare a favore di ogni iniziativa di Obama. Al contrario, i repubblicani sono molto velocemente passati all’offensiva, in particolare opponendosi alle proposte di legge di Obama in merito all’assicurazioni malattia.
Nel nuovo congresso del 2017, la minoranza democratica disporrà di 194 deputati e 48 senatori con i due indipendenti che fanno parte del loro gruppo al Senato. Se i democratici volessero opporsi all’agenda di Trump, dunque, sarebbero messi molto meglio di quanto non lo fossero i repubblicani nel 2009.
Bisogna avere presente questo quando sentiremo i politici democratici piangere sulla loro sorte e affermare che la sola cosa da fare consiste nell’eleggere un più grande numero dei loro [in occasione delle elezioni di metà mandato].

* Lance Selfa è autore, tra gli altri, di The Democrats. A Critical History, Haymarket Books, 2008. Questo Articolo è stato pubblicato sul sito socialistworker.org il 10 novembre 2016; la traduzione è stata curata dalla redazione di Solidarietà.

[1] Il Collegio elettorale – che ha conosciuto un’evoluzione – designa i grandi elettori, i quali sono determinati secondo le leggi definite da ciascuno Stato degli Statii Uniti. L’elezione presidenziale è dunque un’elezione indiretta. Oggi, tutti gli Stati usano il voto popolare per eleggere i grandi elettori. Così, anche se i bollettini di voto portano i nomi dei candidati alla presidenza e alla vicepresidenza, i votanti eleggono, di fatto, i grandi elettori. Una volta determinati, questi grandi elettori votano per l’elezione del presidente e del vicepresidente. Un candidato deve ricevere la maggioranza assoluta dei voti del collegio elettorale (270 voti dal 1976, ossia la metà più uno dei 538 grandi elettori) per essere eletto. (Red. A l’Encontre)

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