di Lucio Finzi
Lo scorso 20 ottobre 2016 i membri del Gran Consiglio hanno ricevuto l’invito, da parte del signor Andeas Meyer, direttore generale delle FFS, a partecipare all’evento “Le FFS in Ticino ieri, oggi e domani”. Come indicato nell’email accompagnatorio “La serata, dopo l’incontro con Andreas Meyer, prevede una presentazione storica di Hanspeter Gschwend, il quale – per sottolineare lo stretto legame tra le FFS, Bellinzona e il Ticino- ha ricreato un’ambientazione di fine Ottocento in una sala della Stazione di Bellinzona appositamente allestita.”
Nel contempo, le FFS distribuiscono un po’ dappertutto un fascicolo, redatto dallo stesso Hanspeter Gschwend, intitolato “Visioni e apparizioni in Ticino”. Dopo una prefazione curata da Andreas Meyer, il racconto narra un fantastico colloquio tra tale Lukas Bergmann e Giuseppe Molo. Bergmann (il cui nome tradotto alla lettera in italiano significa “uomo del monte”) è al vertice delle Ferrovie Svizzere e giunge a Bellinzona la sera del 10 dicembre 2016, la vigilia dell’apertura della linea di base. Passeggiando sul viale stazione deserto incontra Giuseppe Molo, ossia il sindaco di Bellinzona dal 1877 al 1905, che ebbe un ruolo chiave nell’insediamento di quelle che oggi sono le Officine FFS di Bellinzona.
Lo scopo di questo teatrino, in cui si fa dialogare un attuale, visionario e lungimirante quadro delle FFS (nelle intenzioni del committente dell’opera si intende) con un sindaco defunto, è uno solo: fare “maturare” tra i ticinesi l’idea che l’Officina FFS di Bellinzona debba essere liquidata. E non si ha neppure il coraggio di dirlo a chiare lettere: si fanno parlare i morti pur di giungere ai propri fini!
Nel dialogo, proprio a Giuseppe Molo, che ci si premura di descrivere come ispirato da generose sorsate di grappa, vengono infatti messe in bocca affermazioni gravi: i ticinesi vengono dipinti come persone senza spirito di iniziativa, capaci solo di lagnarsi, con una “mentalità da questuanti” sempre in attesa che siano le élite svizzere tedesche a trovare una soluzione ai loro problemi, fornendo nuove commesse alle Officine. Una pubblicazione che alimenta una certa forma di razzismo da parte delle élite del Nord verso la popolazione del Ticino ( il Sud).
Riprendiamo alcuni significativi passaggi della pubblicazione:
“Giuseppe Molo: Guardatevi all’intorno, che cosa siamo in grado di offrire noi ai viaggiatori che giungono da Oltralpe? … E se colui che esce dalla stazione per errore va a destra, invece che a sinistra,.. dopo pochi passi tornerà sui suoi passi. Si troverà dinnanzi all’area dell’Officina con i suoi edifici industriali risalenti a un secolo e mezzo fa. La città ha subito uno sviluppo totalmente asimmetrico: a sinistra l’attrattivo centro storico, salotto cittadino, e a destra capannoni industriali, depositi e anonima periferia. Eppure esistono specifici studi a comprova che Bellinzona è colei che più di altri può profittare del nuovo collegamento ferroviario.”
Bergmann (alias Andreas Meyer) vorrebbe chiedere a Molo se è disposto a sacrificare il luogo di tanti posti di lavoro ma reprime la domanda.
“Molo: La mia gente ha spesso delle difficoltà con i partner attivi – mi permetta di prender in prestito questa da Voi testé utilizzata parola dei vostri tempi – soprattutto se giungono dalla Svizzera interna. L’attività di questi viene infatti tosto tacciata di saccenteria, arroganza, dettame, se non addirittura di sfruttamento. Talvolta a ragione, sovente a torto, come sempre quando si generalizza. Vi rammentate lo sciopero del 2008?” (…) “Allora li si rimproverò addirittura di esser dei landfogti” (…) “ben 110 anni dopo che gli ultimi landamani della Svizzera interna avevano sgombrato i loro domini”.
“Bergmann: Con la differenza che noi non dobbiamo sgombrare proprio nulla, anzi, portare posti di lavoro e investire a tale scopo – ed è appunto ciò che abbiamo fatto”
“Molo:Sono d’accordo, è proprio questa la nostra contraddizione. Vogliamo essere i padroni di noi stessi e al contempo pretendiamo che ci si venga a dare un sostegno sostanzioso…
Bergmann: Ma come possiamo allora agire noi, Svizzeri tedeschi, data questa contraddizione esistente tra orgoglio e mentalità di questuanti”
Bergmann: Prenda ad esempio il Centro di competenza mobilità sostenibile e ferroviaria qui a Bellinzona. Ben volentieri accresciamo il nostro impegno a suo favore, ma è da li che devono partire le iniziative. In confidenza, detto tra noi: è proprio ciò la mia spina nel fianco. Non trovo riscontro, niente spirito d’iniziativa, nessuna forza motrice che si potrebbe sviluppare e rafforzare congiuntamente. A nord delle Alpi ad esempio, l’acqua calda derivante dalla galleria di base viene sfruttata per la piscicoltura. Volendo anche qui si potrebbe realizzare simili progetti innovativi!”
In questa pubblicazione, di “storico” non c’è proprio niente, ma risulta piuttosto un misto di revisionismo storico, bugie e atteggiamento irrispettoso nei confronti della popolazione ticinese.
Recidivi…
Ma le FFS e Gschwend sono recidivi. Infatti già nel corso del 2015 le FFS avevano pubblicato un libro, il cui autore è sempre lo stesso Gschwend, dal titolo “Traversine e Traversie, l’Officina il Ticino e la ferrovia del Gottardo”. Anche in questa pubblicazione il defunto sindaco di Bellinzona Giuseppe Molo viene tirato in ballo per meschini fini.
L’epilogo di questo libro mostra in modo eloquente ciò che pensano le FFS del Ticino:
“Giuseppe Molo: Se qui c’è questa vecchia stazione, se c’è la Ferrovia, in fondo è grazie a loro, ai Tedeschi, ai Zücching per intenderci. E se oggi ci sarà la nuova stazione, se arriveranno quei nuovi sfavillanti treni a traversare le Alpi in un battibaleno, se ci saranno nuovi centri di manutenzione in tutto il territorio, da Biasca fino a Chiasso, a portare nuovo lavoro e nuove commesse alla mia amata Officina, beh, è sempre grazie a loro: ai Tedeschi…
Sempre la solita vecchia solfa: preferiamo perderci in piagnistei e litigi, invece di alzare un dito e prendere in mano la situazione, creando qualcosa di grandioso! (…)
In verità i manager, quelli che durante lo sciopero dell’Officina sono stati tanto bistrattati e demonizzati, sono quelli che dovrebbero essere dei Ticinesi. Avremmo bisogno di veri uomini d’affari, di queli che agiscono con piglio deciso, amino il rischio, abbiano grandi vedute, non mollino mai e tengano duro, e quando necessario si dimostrino testardi al limite della cocciutaggine.
Fratecolla: No, dei tipi così qui non avrebbero un solo giorno di vita, nessuna possibilità. Casomai dovrebbero venir qua, sposarsi con delle donne ticinesi, questo sì, e poi saranno forse i loro figli ad avere le caratteristiche giuste, proprio quelle che servono qui: la disciplina e l’energia dei Tedeschi, ben amalgamate con la creatività e la gioia di vivere che tanto ci contraddistinguono”.
Una prima risposta dei lavoratori
L’aspetto xenofobo di questo nuovo attacco, seppur rilevante non esaurisce il senso complessivo dell’attacco e non ne illustra l’aspetto principale. Che resta quello, e si deve ribadire con chiarezza, di arrivare, prima o poi ad una cancellazione dell’Officina.
L’obiettivo resta quello, proclamato e fissato in studi già avviati da tempo, di sviluppare a Nord della stazione di Bellinzona un comparto abitativo commerciale redditizio per le ferrovie e per altri investitori privati che, sicuramente, sarebbero attirati da questa prospettiva.
Per questo quindi diventa necessario criticare la mancanza di iniziativa, il passatismo, l’immobilismo dei lavoratori (e, per estensione, di chi abita a Bellinzona o in Ticino) che, con la loro testarda difesa di questo sito industriale, impedirebbero uno sviluppo veramente promettente e pieno di potenzialità.
Discorsi che abbiamo già sentito fare in passato e che ora ritornano, potenziati, dall’apertura del tunnel di base del Gottardo che, come dire, allargherebbe improvvisamente il mercato e renderebbe l’operazione residenzial-commerciale ancora più allettante e urgente.
I lavoratori delle Officine non si sono limitati a denunciare questo attacco . Hanno voluto concretamente ribadire la loro determinazione, attraverso una presa di posizione, la tenuta di un’assemblea e la convocazione di un presidio davanti alla stazione di Bellinzona. Un presidio che ha visto un’ottima partecipazione e la cui convocazione ha spinto Mayer (che proprio quella sera aveva convocato i gran consiglieri per spiegare loro il progetto delle FFS) a rinunciare a quell’incontro.
In realtà, da quanto si è potuto sapere, Meyer ha rinunciato anche perché, così pare, il suo invito si sarebbe trasformato in un bel flop: infatti sembrerebbe che sui 90 membri che conta il Parlamento cantonale solo una quindicina si siano annunciati per partecipare a questo “evento”.
Come continuare?
La via l’hanno tracciata gli interventi dei rappresentanti dei lavoratori dell’Officina al presidio dell’altra sera. Prima di tutto continuare a dire No, senza se e senza ma, al progetto delle FFS. E questo spiegando, anche a coloro che, ogni tanto, ritornano con delle possibili “aperture” (ad esempio quella che vorrebbe l’Officina non chiusa, ma semplicemente “spostata”), che le FFS non hanno intenzione di ricostruire un’altra Officina, come quella di Bellinzona, in un altro luogo. Lo hanno, e da tempo, escluso. Al massimo sono pronte a spezzettare alcune delle attività dell’Officina in altri siti produttivi, riducendone fortemente l’impatto occupazionale e, di fatto, distruggendo la eredità produttiva e sociale dell’Officina. Un funerale di prima classe, magari, ma sempre un funerale.
In questa prospettiva va ribadito con forza il fatto che gli accordi sottoscritti, e che si muovono in ben altra prospettiva, vanno rispettati. Accordi che sono stati sottoscritti non solo con i lavoratori dell’Officina, ma anche con il governo ticinese che, dovrebbe – il condizionale è d’obbligo a questo punto – rappresentare e curare gli interessi della popolazione ticinese.
E, soprattutto, è necessario continua con la mobilitazione all’interno e all’esterno dell’Officina. Piccole e grandi mobilitazioni, momenti di discussione e di dibattito, di protesta e di proposta: solo questa strada potrà permettere all’Officina di non soccombere.