Alla fine del 2015 diverse istituzioni avevano pubblicato le liste di ciò che di peggio, secondo loro, sarebbe potuto capitare nel 2016. Riassumendo, si paventavano tre tipi di rischi, quelli che vengono definiti “cigni neri”, ovvero ciò che si ritiene improbabile possa accadere:
* la Brexit e la crisi europea,
* accidenti finanziari e degradazione dell’economia,
* elezione di Trump e crisi della globalizzazione.
Si ammetteva però che questi erano scenari estremi e poco probabili. Ora, quando abbiamo di fronte ancora un mese e mezzo per vedere che altro può accadere quest’anno, il quadro generale già non ci appare simpatico.
La Bloomberg, basandosi su pareri di importanti impresari, aveva stabilito un ranking dei peggiori incubi, realizzando un grafico che ne calcolava gli effetti.
I tre peggiori erano un attacco di Daesh [ISIS] contro gli oleodotti mediorientali – che avrebbe fatto salire il prezzo del petrolio -, la Brexit e un ciberattacco distruttivo contro il sistema bancario internazionale (ve n’erano già stati diversi contro alcune grandi banche, ma il timore era che si potesse arrivare a bloccare le piattaforme dei pagamenti internazionali e rendere noti i dati dei clienti).
L’elezione di Trump, invece, era considerata possibile solo nel caso che la Clinton si fosse ritirata. Questa elezione avrebbe prodotto grande incertezza, – che a sua volta avrebbe favorito l’industria militare -, un accordo con la Russia per spostare nel Pacifico l’asse della nuova “Guerra fredda”, con ripercussioni imprevedibili nello scenario internazionale. Ma tutto ciò era confinato nel regno dell’impossibile. Per quanto riguardava l’Unione europea, gli incubi erano rappresentati dall’uscita del Regno Unito, dall’indebolimento della Merkel e dalla marcia indietro della Banca centrale europea nella politica di espansione monetaria. In campo economico, i peggiori scenari comprendevano una debole crescita della Cina e l’accelerazione del riscaldamento climatico, con effetti devastanti in agricoltura e sull’accesso all’acqua. Altri focolai di tensione avrebbero potuto essere il Brasile, nel caso Dilma fosse stata rimossa, e il Venezuela, se la sua crisi si fosse prolungata. Come è facile constatare, gli incubi si sono materializzati.
Un’altra istituzione che rese noti i suoi incubi è stata la Economist Intelligence Unit (della rivista «The Economist»): il peggiore di questi, anche se gli si assegnava una scarsa probabilità, consisteva nell’elezione di Donald Trump, ciò che avrebbe potuto destabilizzare l’economia globale. Inoltre, l’Unione europea avrebbe potuto cominciare a fratturarsi se il Regno Unito ne fosse uscito, se la crisi dei rifugiati avesse prodotto nuove tensioni al suo interno e queste avessero indebolito la Merkel, e se la Grecia fosse stata spinta fuori dall’euro.
Di tutto ciò è già avvenuto quanto basta, e la situazione può solo peggiorare.
Primo, la crisi europea: muri contro i rifugiati e ascesa della xenofobia, avventura di Cameron nel referendum britannico, dissanguamento della Grecia. E altro è in arrivo: referendum in Italia ed elezioni austriache in dicembre, e poi elezioni francesi e tedesche nel 2017. Ognuno di questi fatti può solo accentuare [o comunque rendere più visibile] la crisi europea.
Secondo, la vittoria di Trump. Minaccia immediata: rinnegare l’Accordo di Parigi sui mutamenti climatici. Ma occhio al governo che sta profilandosi, con la pesante presenza dei pescecani di Wall Street e la risurrezione dei profeti conservatori, e attenzione a quel che sta arrivando: manna celeste per la finanza, il neoliberalismo a nozze con l’autoritarismo, come nei suoi più splendidi periodi.
Nel frattempo c’è un incubo dal quale non ci siamo ancora svegliati, ed è quello di una nuova crisi finanziaria. L’interrogativo, peraltro, non è se, ma quando arriverà. L’aumento della volatilità nei mercati finanziari e l’accumulazione del debito sono la conseguenza di una politica dissennata: la Banca centrale europea ha sparso a piene mani denaro che ha fatto salire il valore delle azioni ma non gli investimenti, poiché i tassi di interessi negativi riducevano i margini delle banche e stimolavano nuove operazioni finanziarie a rischio, delle quali la Deutsche Bank è l’esempio più noto (l’importo nozionale [notional amount] dei suoi derivati è superiore al valore nominale del PIL mondiale). In altre parole, il nostro problema sono le soluzioni del problema.
Arrivati alla fine del 2016, abbiamo dunque una crisi della domanda mondiale e zero capacità di far fronte a una recessione, perché le banche centrali non possono farci niente. Si prenda nota, per favore: il centro di questo rischio è l’Europa, che nel corso di un decennio ha collezionato un errore dopo l’altro e dovrà pagarne ora il prezzo con la “trumpificazione” della sua politica in Francia e in Germania.
*Professore universitario, militante del Bloco de Esquerda.
Titolo originale Trumpificação e tudo o que de pior podia acontecer em 2016. L’articolo è stato originalmente pubblicato l’11 novembre 2016 da blogues.publico.pt, e ripreso da esquerda.net (www.esquerda.net/opiniao/trumpificacao-e-tudo-o-que-de-pior-podia-acontecer-em-2016/45467). Si rimanda a questo sito per i grafici citati dall’autore. Traduzione dal portoghese di Cristiano Dan.