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aaabeznauL’industria nucleare civile è frequentemente animata dalla controversia che verte sui suoi rischi e, regolarmente, attraversata da notizie apparentemente contraddittorie. Alcuni l’abbandonano, mentre altri si lanciano nella costruzione di nuove centrali. La catastrofe nucleare di Fukushima nel 2011 ha rilanciato il dibattito. L’immagine, trita e ritrita, del bravo allievo tedesco che “esce” dal nucleare sembra in contraddizione con la costruzione da parte della Russia di una centrale nucleare in Bielorussia -a cinquanta chilometri da Vilnius, a Astravets (1).

Il Summit sulla sicurezza nucleare di Washington martella sulla posta in gioco dell’atomo (2). Le istallazioni in Belgio inquietano i loro vicini olandesi e tedeschi. Gli esempi sono pletorici, da Fessenheim al reattore Angra 3 in Brasile (3) ed entrano in forte risonanza con la denuncia depositata da Ginevra, contro la centrale nucleare di Bugey.
Questo nuovo episodio giudiziario è l’occasione per fare una panoramica sul nucleare in Svizzera. Presenteremo, dapprima, il parco delle centrali nucleari svizzere. Lo inseriremo poi in una prospettiva storica per meglio affrontare la questione del mix energetico attuale, e i suoi possibili sviluppi futuri, in una prospettiva europea.

 

“La Svizzera denuncia la Francia”

Al di là della formula, ad effetto, di cosa si tratta? La città di Ginevra, il Canton Ginevra e quattro cittadini elvetici hanno, il 3 marzo 2016, sporto denuncia contro ignoti. La centrale francese di Bugey, a 70 km da Ginevra, è accusata di “messa in pericolo altrui” e di “inquinamento delle acque” del Rodano. L’inchiesta è nelle mani dell’Ufficio centrale per la lotta contro i danni ambientale e la lesione della salute pubblica francese (OCLAESP). Un’ informativa emanante dall’Autorità di sicurezza nucleare (ASN), del 2011 e ripresa nel 2015, rende conto di fughe da un reattore della centrale nucleare di Bugey. La denuncia ginevrina si basa su questi rapporti. Può servire alcuni interessi, come quelli promossi dalle campagne per l’uscita dal nucleare a livello europeo, o, non così lontanamente, gli interessi di coloro che sono incaricati di negoziare i prezzi d’acquisto della corrente presso le centrali nucleari francesi acquistata dalla Svizzera. I contratti di approvvigionamento hanno delle date di scadenza e le dighe svizzere, a monte del Reno, hanno un impatto sul suo deflusso, il cui controllo è una delle componenti della sicurezza nucleare.

 

Ulteriori elementi che posso entrare in gioco.

Ginevra fa causa: ma non ci sono delle centrali nucleari anche in Svizzera? Nel 2015, la presenza di centinaia di “buchi” sul contenitore del reattore più vecchio della centrale di Beznau, che data del 1969, è stata denunciata nella stampa svizzera (4). Il sito è sulla frontiera tedesca e, visto le dimensioni della Confederazione elvetica, a volo d’uccello, alla stessa distanza dalla Francia di Bugey da Ginevra.
Una breve panoramica sulle centrali elvetiche ci permette di fare un quadro della situazione che solleva parecchi interrogativi., I cinque reattori della quattro centrali svizzere sono tra i più vecchi al mondo, messi in servizio tra il 1969 e il 1984. Ognuna beneficia di un’autorizzazione di sfruttamento senza limitazione nel tempo. Così la durata di sfruttamento delle tre più vecchie, secondo i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA) nel 2012, è di più di 40 anni, a fronte di una media mondiale di 28 anni.
Nel movimento europeo di uscita dal nucleare, iniziato nel 2011, dopo la catastrofe di Fukushima, il Consiglio federale e il Parlamento svizzero hanno deciso l’uscita progressiva dal nucleare. Non si tratta comunque di un divieto e la ricerca continua. È per il momento un annuncio ad effetto. La durata non limitata delle centrali resta immutata, anche se, nel 2013, la chiusura del sito di Mühleberg è stata annunciata per il 2019. La data del 2034 viene avanzata per l’uscita definitiva dal nucleare, vale a dire 50 anni di sfruttamento per delle centrali previste per 30 anni. L’argomento invocato è che la durata dello sfruttamento è in funzione della sicurezza delle istallazioni. L’autorità di sorveglianza svizzera, l’Istituto federale della sicurezza nucleare (IFSN) non è responsabile della sicurezza delle istallazioni, è l’utilizzatore ad esserlo. 44 incidenti sono stati notificati dall’IFSN dal 2000 al 2009, a Beznau I e II (1969 e 1972), e 17 a Mühleberg (1972). Questa centrale ad acqua bollente, la più vecchia del mondo, è la stessa di Fukushima, un modello dell’americana General Electric. I tre precedenti reattori sono raffreddati con l’acqua dei fiumi, l’Aar e il Reno. I due seguenti con delle torri aerorefrigeranti. Inoltre, 22 incidenti a Gösgen (1979) e 38 a Leibstadt (1984) sono stati notificati. Il primo incidente di sufficiente ampiezza per essere qualificato come un incidente è avvenuto nel 1969, a Lucens, in seguito alla fusione parziale del cuore del reattore di ricerca.

 

Qualche riferimento storico: dalla bomba a Fukushima

Quando avviene, nel 1969, a Lucens, nel canton Vaud, l’incidente al reattore sperimentale è da una ventina d’anni che la Confederazione elvetica si è lanciata nello sviluppo del nucleare civile e militare. Nel 1957, nel canton Argovia, a Würenlingen, nasce un centro di ricerca attorno al reattore dell’Istituto Paul-Scherrer di Villigen (PSI). Il reattore Diorit degli anni 1950 non è ancora stato smantellato. Saphir data del 1960. È stato spento nel 1993, e autorizzato, nel 2000, a essere smantellato. Proteus, è stato usato dal 1968 al 2011. E si attende ancora il suo smantellamento.
A partire dai bombardamenti atomici americani su Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945, le autorità civili e militari svizzere prendono coscienza dell’importanza strategica del loro futuro posizionamento nei confronti dell’energia nucleare. L’incidente del 1969 mette fine all’ambizione di controllare una tecnologia nazionale. Durante la Guerra fredda degli anni 1950-1960, la Svizzera lancia un programma militare di ricerche nucleari: “Il Consiglio federale ha discusso di questo tema nel 1955 e ha concluso che, malgrado il carattere immorale della bomba nucleare, potrebbe essere un mezzo adatto ai bisogni della difesa nazionale” (Christian Bühlmann, 2007)(5). Delle consultazioni popolari sono state organizzate all’epoca, e furono rifiutati tutti i tentativi di porre delle limitazioni allo sviluppo di ricerche che miravano a dotarsi della bomba. Malgrado ciò, questa prospettiva fu abbandonata alla fine degli anni 1960.
Gli Stati Uniti lanciarono una grande campagna di seduzione ad alto profilo strategico, fornendo a basso costo dei reattori per uso civile in modo da rendere dipendente il cliente dalle loro forniture in combustibile e manutenzione. Inoltre, si trattava di diffondere la loro tecnologia con i reattori ad acqua pressurizzata di Westinghouse e i reattori ad acqua bollente di General Electric. E fu ancora più vantaggioso per gli Stati Uniti che fornendo le centrali chiavi in mano, limitate all’utilizzo civile, la dimensione militare veniva, de facto, esclusa. Così l’industria svizzera ha distolto gli investimenti necessari allo sviluppo di una propria tecnologia nel settore.
Nel 1969, la Svizzera ha così firmato il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) che la collocava sotto la dipendenza e la protezione degli Stati Uniti. La consultazione popolare diretta è in Svizzera un pilastro del “contratto sociale”. Sulla questione del nucleare, dal 1969 al 2011, la maggioranza ha tendenzialmente votato per delle limitazioni, ma senza mai vietare o abbandonare il nucleare. Ancora una volta, la contraddizione sembra evidente. Esiste ancora un reattore di ricerca al Politecnico federale di Losanna (EPFL), Crocus, che partecipa al programma europeo di ricerca sulla fusione nucleare. Il laboratorio di Spiez lavora sulla protezione della popolazione contro i rischi chimici, biologici e legati alle armi nucleari; la sua dimensione militare è dunque importante e necessita di un’istallazione nucleare.
Nel 1990, una moratoria ha vietato la costruzione di nuove centrali nucleari per dieci anni, ma ha rifiutato l’abbandono di questa tecnologia. Nel 2003, è stata rifiutata una nuova moratoria e l’abbandono del nucleare. Nel 2011, dopo la catastrofe di Fukushima, i progetti di costruzione di nuove centrali sono stati sospesi e l’uscita definitiva dal nucleare è stata votata. La questione della modifica della politica energetica svizzera si pone dunque per il futuro, oltre a quella del destino dei siti nuclearizzati.
Alle centrali e ai laboratori dobbiamo aggiungere i siti legati al trattamento e al deposito delle scorie che, dopo la moratoria di 10 anni votata dal Parlamento nel 2006, non sono più inviati in Francia e Germania. Il territorio ospita dei depositi intermedi e due siti sotterranei di ricerca. Il PSI sfrutta il deposito federale intermedio di Würenlingen, al quale bisogna aggiungere quello vicino di Zwilag.
È la Nagra (Società cooperativa nazionale per lo stoccaggio di rifiuti radioattivi) che è incaricata della creazione di depositi per lo stoccaggio definitivo all’interno di strati geologici profondi. Per fare ciò, procede a delle sperimentazioni sotterranee al Grimsel dal 1983 e partecipa, con altre potenze europee, tra cui la Francia, al laboratorio del Mont Terri (dove nessun rifiuto nucleare deve essere stoccato).
La storia dei rapporti con il nucleare militare emerge talvolta nella forma di affari finanziari. Se, almeno ufficialmente, l’industria dell’armamento svizzero si concentra sulle arme convenzionali, gli investimenti e le relazioni con i fabbricanti esteri non datano di oggi. Citeremo, ancora una volta (6), lo storico Peter Hug, che, nel suo rapporto pubblico (il PNR42+), scrive: ” Sulzer AG e VAT Haag hanno fornito delle componenti importanti per l’arricchimento dell’uranio sudafricano: queste componenti permisero di preparare il materiale necessario alla fabbricazione di sei bombe atomiche prodotte dal Sudafrica” e “con le sue esportazioni di capitali e l’acquisto di oro sudafricano hanno sostenuto in termini di efficacia economica il regime dell’apartheid”. Più di recente, è stato dimostrato che la piazza finanziaria svizzera (Banca centrale e banche cantonali, banche private, fondi pensione,…) sono un importante partner per gli investimenti dell’industria militare nucleare di Francia e Stati Uniti (7).

 

L’elettricità in Svizzera: quale mix energetico?

L’elettricità di origine nucleare è essenziale per le scelte che sottostanno sia al mix elettrico svizzero che al suo funzionamento in seno al mercato europeo dell’elettricità. Al di là delle piccole variazioni stagionali e annuali, secondo le cifre di Swisselectric (l’organizzazione delle imprese della rete di interconnessione elettrica svizzera e dei principali produttori), la ripartizione è la seguente: il nucleare assicura in media il 36% della produzione, il 58% viene dall’idroelettrico e il restante 5% dalle centrali termiche tradizionali e dalle energie dette rinnovabili o verdi (biomassa, solare, eolico). Secondo la rete di attivisti Uscire dal nucleare, questa elettricità assicura solo il 9% del consumo nazionale.
Produrre elettricità non significa che l’obiettivo principale sia quello di assicurare la forniture ai consumatori, o almeno, alle economie domestiche svizzere. Il modello economico in campo si basa sulla sovraccapacità della produzione europea, il trasferimento di corrente da un paese all’altro passando attraverso un paese terzo (dalla Svizzera transita circa il 10% della corrente europea), e la variazione giornaliera, stagionale e annuale del corso dell’elettricità. La Svizzera fa parte del plotone di testa dei paesi importatori di corrente: importa per il suo consumo ed esporta la sua produzione. La contraddizione è solo apparente. Comporre il proprio mix energetico significa dunque, per gli attori svizzeri del settore, assicurare la soddisfazione del consumo interno riuscendo del contempo a praticare un’intensa speculazione su scala del mercato europeo.
Uscire dal nucleare deve costringere a modificare il mix senza compromettere la loro capacità di speculazione, a maggior ragione grazie al fatto che il prezzo dell’elettricità tende al ribasso. Attualmente, le centrali nucleari assicurano una produzione costante annuale, per una forchetta compresa tra i 4 e i 6 centesimi al kilowattora (KWh). In estate, la sovrapproduzione è molto elevata, anche questa elettricità viene esportata. In inverno è il contrario, la Svizzera importa corrente a buon mercato proveniente dalla sovrapproduzione delle centrali nucleari francesi di Bugey e Fessenheim. Su scala più ampia, in base alle ore della giornata, la speculazione verte sulle ore “morte” o le ore di punta. Infatti, la Svizzera importa della corrente a poco costo durante il periodo estivo, “immagazzinandola” nelle dighe, per poi liberarla secondo la domanda giornaliera o stagionale. Si importa quindi corrente di notte e si pompa dalle valli l’acqua verso i bacini idroelettrici per esservi immagazzinata sotto forma di riserve d’acqua ad alto tenore speculativo. L’indomani, soprattutto all’ora di pranzo o la sera, si aprono le chiuse e le turbine permettono di produrre corrente poco cara che potrà essere riesportata a un prezzo superiore.
Il nucleare serve dunque per garantire un flusso continuo, di base, si parla di fonte di riserva, di regolazione, mentre l’idroelettrico serve per la negoziazione. Il kilowattora idroelettrico (Kwh) costa circa 6.5 cts. Un’economia domestica svizzera acquista la sua elettricità in una forchetta che oscilla tra i 18 e i 28 cts l’ora. Il prezzo della corrente varia. Nei periodi di punta, nel 2008, poteva essere di 11 cts il Kwh, poi passare a 15 cts nel 2010, per poi scendere ai 6 cts nel 2014. I valori medi non sono forzatamente i più interessanti da rilevare, al contrario, sono gli scarti, che cambiano ogni giorno, ad essere pertinenti. Il mercato giornaliero dell’elettricità tra la Francia, l’Austria e la Germania è l’Expex Spot (8).

 

Integrazione europea e rimessa in causa di un modello

La Svizzera è integrata all’Unione europea attraverso le sue attività di compra-vendita di elettricità e il suo territorio, dove transita fisicamente la corrente. Essere collegati alla rete e al mercato: ecco la posizione elvetica. Si tratterebbe, nella prossima fase, di liberalizzare totalmente il mercato dell’elettricità e partecipare pienamente al “Market coupling” “europeo. Quest’ultima espressione definisce la fusione del mercato della corrente con quello del suo trasporto nell’Unione europea (il regolamento europeo sul Market coupling è entrato in vigore il 1° luglio 2015 ed è realizzato a tappe dal 2008) (9). La preoccupazione proviene sovente dalla limitazione degli investimenti in infrastruttura a favore delle integrazioni che permettono di captare una redditività massima, con la situazione esistente.
È in questa logica che la fine delle centrali nucleari e l’entrata delle produzioni verdi, intermittenti, sul mercato, sono valutate. Un’integrazione accelerata nel mercato europeo permetterebbe alla Svizzera di utilizzare gli input e gli output associati per compensare le mancanze (o possibili problemi di competitività) del suo mix che potrebbe fare fatica a lottare contro le iniezioni a basso prezzo del rinnovabile e del CO2 poco caro. Per assicurare una produzione continua di corrente, la capacità di riserva, bisogna trovare una soluzione, come quella avanzata di costruire delle centrali combinate a gas. Il presso basso delle emissioni di CO2 rende competitive le centrali a carbone (che producono il 45% dell’elettricità in Germania), l’industria elettrica Alpiq ne sfrutta in Repubblica Ceca.
Nel contempo, le produzioni rinnovabili dovrebbero svilupparsi (la Germania le sovvenziona in parallelo alla sua produzione di carbone, fatto che le rende competitive). Stagionali, impatteranno la volatilità del prezzo in concorrenza con le chiuse idroelettriche svizzere (una “batteria” per il mercato europeo) e giocando la carta della sovraccapacità. Sono dunque una variabile potenziale di rimessa in causa delle logiche del mercato e del mix.
Far vivere il sistema su scala europeo permette di smussare gli angoli su scala locale e regionale o, d’altro canto, di supplire all’insufficienza di investimenti durevoli su scala favorendo chi sviluppa il trading. Il gestore delle reti di trasporto svizzero Swissgrid deve, in questa logica, essere proattivo per integrare il “super grid” europeo in costruzione, facendo attenzione al fatto che il piccolo territorio svizzero non sia aggirato dalla scelta dei tracciati motivati dalle nuove amicizie energetiche che le vecchie potenze tessono con i loro partner europei più a est o a nord (10).
La liberalizzazione del mercato dell’elettricità in Svizzera, sostenuta da potenti lobby nazionali ed europee, segue, in leggero décalage, il processo in corso nell’Unione europea (11). Le direttive europee 96/92 del 19 dicembre 1996 e 2003/54 dl 26 giugno 2003, aprono alla liberalizzazione progressiva del mercato elettrico nell’UE, per diventare totale nel 2007. Nel 2002, un primo tentativo, la legge sul mercato dell’elettricità (LME), viene rifiutata dal popolo svizzero. Nel 2007, le assemblee rappresentative svizzere hanno votato la legge sull’approvvigionamento elettrico (LApEl) che riprende il precedente progetto, ma in due tappe. La prima, nel 2009, si applica ai grandi consumatori, le imprese che acquistano più di 100 megawattora (Mwh) l’anno. La catastrofe di Fukushima e la biforcazione politica che ne seguirà interromperà la seconda fase, quella dell’accesso al mercato delle economie domestiche. Quest’ultima tappa è, nel 2014, proposta per il 2018 (12). I promotori di quest’opzione di “governance” hanno una forte visibilità, come il think tank Avenir suisse (13), un plasmatore di opinioni di primo livello (Key option leader) o ancora Swiss economics (14).
L’opinione degli scettici è, da parte sua, meno veicolata, e le analogie fatte con altri settori sono dichiarate irricevibili. Pertanto, un po’ di politica comparata con il caso della liberalizzazione della ferrovia può servire una riflessione oggettiva. Anche in questo campo c’è una distinzione tra le infrastrutture della rete e quelle delle macchine. Anche in questo caso l’esperienza europea è ancora in corso. Allo stesso modo la Svizzera è un corridoio tra l’Europa del Nord e quella del Sud. E infine, non dimentichiamo che le locomotive sono alimentate con l’elettricità (15).

 

A chi appartengono le centrali nucleari?

Ci piacerebbe attirare l’attenzione del lettore sul fatto che questa “liberalizzazione” non rima, in questo caso, semplicemente con “privatizzazione”; dato che il settore è già in mani private e non è perché il pubblico è azionista maggioritario che i dividendi si ripercuotono sulla fattura dei cittadine o sulla manutenzione delle centrali. Nel caso particolare del nucleare svizzero, è utile costatare che i proprietari e sfruttatori delle centrali nucleari (e idroelettriche, termiche e dei parchi rinnovabili) sono degli interessi pubblici e privati, attraverso delle imprese completamente pubbliche o di partenariato.
L’organo di consulenza in comunicazione Swissnuclear anima la politica discorsiva degli sfruttatori del nucleare. Insiste nei suoi testi sulla proprietà esclusivamente “pubblica” delle istallazioni, per convincere il cittadino che gli appartengono, e, per estensione, che i loro interessi sono comuni. È in parte vero, attraverso l’intermediazione di una moltitudine di strutture federali, cantonali e locali, ma solo in parte. Nel 1983, Etienne Poltier ci spiegava che 1300 imprese (raggruppate di fatto nel girone delle “Six Majors”) producono e distribuiscono la corrente secondo la ripartizione seguente: 48.9% del finanziamento è assicurato direttamente dai poteri pubblici; 35.4% dalle imprese elettriche stesse, sapendo che appartengono ai poteri pubblici e il 15.7% dal privato. L’autore sviluppa nella sua pubblicazione le realtà giuridiche molto istruttive dell'”economia mista” che riassume così: “a causa della complessità della struttura del mercato dell’elettricità, non è possibile dedurre da queste cifre un’influenza preponderante del settore pubblico” (16). Nulla ci permette di affermare che la situazione sia differente oggi. Al contrario, dopo qualche fusione e acquisizione , l’Ufficio federale dell’energia (UFEN) recensisce 700 imprese nel 2016 (400 fanno parte dell’Associazione delle imprese elettriche svizzere AES). Le Majors sono sempre lì (Alpiq, Axpo, FMB, CKW, EGL) e il privato ha aumentato il capitale, che si è complicato ulteriormente.
Liberalizzazione totale o meno, le centrali di Gösgen e Leibstad sono co-sfruttate da pubblico e privato. Il leader svizzero del settore è il gruppo Alpiq, detenuto da EOS (pubblico), il Consortium degli azionisti di minoranza svizzeri di Atel, e EDF (25%). Uno degli azionisti di EOS sono i Servizi industriali di Ginevra, un’impresa pubblica appartenente al Cantone, alla Città e ai comuni ginevrini. Vale a dire che, quelli che hanno fatto causa alla centrale di Bugey, a torto o a ragione, non è qui il punto, sono gli sfruttatori delle centrali nucleari svizzere, sono partner di EDF e partecipano al mercato globale dell’elettricità, di cui un aspetto è di funzionare con degli acquisti di corrente di Bugey. Alcuni cadranno dal pero quando emergeranno queste apparenti contraddizioni. La centrale di Beznau è detenuta dal gruppo pubblico Axpo che divide con Alpiq le due precedenti. Quella di Mühleberg integra nel suo azionariato una quota di almeno un 20% di privato molto anonimo e il tedesco E.ON e il canton Berna attraverso la sua partecipazione maggioritaria in BKW FMB Energie SA che possiede la centrale.
Speriamo infine che questo contributo, partito da un apparente fatto di cronaca giudiziaria, poco noto, abbia permesso di intravvedere che non lo è forzatamente. Concluderemo ricordando che gli interessi del Paese (detto sovrano) non si limitano alle sue strutture funzionali e ai suoi attori economici, essenziali ovviamente, ma che non devono sostituirsi alla figura del cittadino, così cara alla democrazia semi-diretta svizzera, abituata all’uso del referendum (17).

 

Questo contributo, inviato alla redazione di A l’Encontre ( dal quale la redazione di Solidarietà ha curato la traduzio in italiano) data 10 ottobre 2016, segue la realizzazione di un primo reportage in Ucraina (« Ukraine. Slavoutytch, la ville de l’après-Tchernobyl, P@ges Europe, 29 avril 2015 – La Documentation française © DIL) e poi di un secondo a Saint-Vulbas, il comune francese l’Ain che ospita la centrale nucleaire di Bugey (« Fenêtre avec vue», La Couleur des jours, n° 18, primavera 2016).

 

1. Marielle Vitureau, « Une nouvelle centrale nucléaire à l’est de l’Europe : Astravets », P@ges Europe, 8 giugno 2016 – La Documentation française © DILA
2. ttps://www.frstrategie.org/publications/notes/terrorisme-nucleaire-apres-le-sommet-de-washington-2016-09
3. http://www.cesim.fr/observatoire/fr/99/article/344
4. ttps://www.letemps.ch/suisse/ 2016/05/03/reacteur-numero-1-beznau-ne-sera-relance-fin-2016
5. Christian Bühlmann (2007). « Le développement de l’arme atomique en Suisse » – Bref tour d’horizon rédigé dans le cadre des mystères de l’UNIL 2007. https://christianbuehlmann.com/CMS/liste-de-publications/item/90-christian-buhlmann-2007-le-developpement-de-larme-atomique-en-suisse-bref-tour-dhorizon-redige-dans-le-cadre-des-mysteres-de-l-unil-2007.html
6. Alexandre Mouthon, « Suisse. Afrique. Des relations économiques aussi intenses qu’opaques », P@ges Europe, 4 marzo 2015 – La Documentation française © DILA
7.http://www.bilan.ch/argent-finances/banques-suisses-ont-finance-armes-nucleaires-66-milliards-de-dollars e http://www.lecourrier.ch/ 132355/le_gssa_en_guerre_contre_la_place_financiere
8. Ne consigliamo la consultazione al lettore.
9. http://www.bilan.ch/economie/acteurs-suisses-de-lelectricite-veulent-un-acces-marche-europeen
10.La piattaforma Swiss-Energyscope, del Politecnico Federale di Losanna, apporta, su tutte queste questioni, numerosi studi disponibili in linea. Consigliamo la consultazione del sito web ww.energyscope.ch al lettore.
11. http://www.rts.ch/info/ suisse/6207614- le-marche-suisse-de-l-electricite-sera-totalement-liberalise-en-2018.html
12. http://www.frenergie.ch/fre-bulletin/louverture-du-marche-de-lelectricite-en-suisse/
13.http://www.avenir-suisse.ch/fr/43558/ouverture-totale-du-marche-de-lenergie-les-effets-positifs-2/
14.https://www.swiss-economics.ch/publikationen/2015_Trinkner_Scherrer_FR.pdf
15. Vedi l’articolo di Julian Mischi e Valérie Solano, « Accélération de la privatisation du rail en Europe », le Monde diplomatique, n° 747, giugno 2016.
16. Etienne Poltier, « Les entreprises d’économie mixte », Librairie Droz, Genève, 1983.
17. Consigliamo vivamente la lettura del libro di Sezin Topçu, « La France du nucléaire, l’art de gouverner une technologie contestée », Seuil, Parigi, 2013.