Renzi è una maschera di carattere. Svolge il ruolo imposto dalla posizione che occupa e la sua commedia politica non cambia verso. Aveva promesso di tenersi fuori dalla campagna elettorale per il “sì” alla modifica della carta costituzionale. Non ce l’ha fatta. E’ tornato in pista con la delicatezza argomentativa che lo caratterizza: l’arroganza di chi non eccede in coerenza ma in spregiudicatezza.
La personalizzazione della sfida elettorale è tornata così al centro della campagna referendaria. Una campagna nella quale il governo, presieduto da Renzi, il partito di governo, di cui è segretario, avranno una presenza forte, costante, invadente e opprimente, e faranno valere tutto il peso a disposizione di chi ha il potere e gode di un’informazione quasi del tutto allineata dalla parte della cosiddetta “ragione”. O con me o contro di me! La personalizzazione è nei fatti, Renzi si propone di essere ovunque, come il prezzemolo: un centinaio di comizi programmati, dibattiti televisivi a gogò. La campagna per il “sì” alla modifica della Costituzione peserà sul Partito democratico in termini di energie, uomini e soldi. Soprattutto soldi, dicono le fonti giornalistiche: il partito investirà 2,8 milioni di euro. Il solo costo del consulente di Barack Obama, Jim Messina, arruolato da Renzi per curare la immagine elettorale, ammonta a 400 mila euro.
Certo modificare la Costituzione è possibile, ma la modalità renziana incute timore a prescindere. Il titolare del potere esecutivo ha assunto il compito di cambiare, secondo i suoi desideri, lo strumento costituzionale che ha come compito quello di limitare e circoscrivere il suo potere. Il vecchio Montesquieu, che per sua fortuna non ha potuto vedere la nostra maschera di carattere, ci aveva avvisati: «chiunque abbia potere è portato ad abusarne. Perché non si possa abusare del potere occorre che il potere arresti il potere».
Se vincesse il “sì”, la combinazione tra riforma costituzionale e nuova legge elettorale produrrebbe uno spostamento dell’asse istituzionale a favore del potere esecutivo del governo. Ballottaggio, premio di maggioranza alla singola lista, voto bloccato sui capilista, consegnerebbero la Camera dei deputati nelle mani del leader del partito vincente nella competizione elettorale. Emergerebbe, come sostengono autorevoli costituzionalisti, una forma di governo incentrata su un uomo solo al comando, un’autarchia elettiva.
I propagandisti fedeli alla linea del Premier ripetono due mantra principali. La riforma è necessaria perché ce lo chiede l’Europa e per assicurare governabilità. E’ vero: l’Europa capitalistico-finanziaria vuole istituzioni statali che eseguano con disciplina i diktat che essa impone, frutto di programmi ultraliberisti in materia economico-sociale che già hanno imposto leggi e provvedimenti che vanno dall’abuso del potere esecutivo, alla riduzione sostanziale dei diritti dei lavoratori, per la valorizzazione delle pretese delle lobbies economico-finanziarie, nonché l’omologazione dell’informazione. Questa è la “governabilità”, che significa letteralmente: chi si lascia supinamente governare, l’opposto di “governo” che in democrazia indica partecipazione e consenso attivo, come ha rilevato in questi giorni Gustavo Zagrebelsky.
Dato il suo carattere, pericoloso a questo punto per le istituzioni stesse, la scesa in campo del Premier è una necessità politica unita al gusto della sfida personale nella quale trascina fedeli attoniti, perché non è facile collaborare alla pari con Renzi, lo si può solo assecondare e seguire nelle sue innumerevoli giravolte e annunci ad effetto pubblicitario. Renzi non ha una un ceto politico dirigente, neanche dentro il partito, è solo circondato da fedelissimi (si fa per dire), eletti in Parlamento quando la “ditta” era guidata da Bersani, poi opportunamente diventati renziani.