In questa intervista, Marcelo Freixo, candidato del Partido Socialismo e Liberdade (PSOL) nelle recenti elezioni comunali a Rio de Janeiro, spiega come è stata possibile una forte crescita, fino al risultato finale del 41%, partendo da una posizione difficile, con solo 11 secondi di televisione a disposizione nel primo turno, e il peso su tutti della bancarotta morale di quella che era stata maggiore forza della sinistra, il PT, che aveva governato a lungo insieme ai protagonisti di questa ascesa della destra, come appunto Marcelo Crivella, che era stato ministro nel governo di Dilma Rousseff. (nota introduttiva di Antonio Moscato dal cui blog abbiamo ripreso la traduzione di questa intervista. Red).
Qual è il tuo bilancio della campagna per le elezioni municipali qui, a Rio de Janeiro?
È stata una campagna molto bella, molto forte: l’abbiamo definita un fiore nel letame, perché la sinistra brasiliana sta attraversando una crisi molto grave. Siamo alla fine, molto acuta, di un ciclo dell’era del Partito dei lavoratori (PT, Partido dos Trabalhadores), che non dipende esclusivamente dal golpe [la destituzione di Dilma], ma anche dagli errori commessi dal PT durante il suo governo. Questa crisi riguarda la sinistra nel suo complesso, e non solo la parte che è stata al governo. Siamo nel pieno di una crisi di tutto ciò che si identifica o si avvicina alla sinistra, in qualunque sua accezione.
La sinistra ha pagato un prezzo molto alto in queste elezioni municipali. Le elezioni comunali sono molto importanti: in Brasile abbiamo più di cinquemila municipi e, in un contesto sempre più urbano, le elezioni nelle città hanno una notevole rilevanza nella politica nazionale. Qui a Rio de Janeiro ci siamo alleati con il Partito comunista brasiliano (PCB, Partido Comunista Brasileiro) e con i movimenti sociali: Movimento dei lavoratori senza tetto (Movimento dos Trabalhadores Sem Teto), Movimento dei lavoratori rurali senza terra (Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra), [movimento giovanile] Levante…
Comunque, e nonostante tutto, Rio de Janeiro ha una caratteristica molto particolare: è stata l’unica grande città nella quale la sinistra è arrivata al secondo turno.
Esattamente.
Ci deve però essere un motivo per cui la sinistra qui è riuscita a presentarsi come un’alternativa, cosa che non è avvenuta in altre località…
Nelle altre grandi città sono state realizzate campagne elettorali abbastanza buone, ma senza che si riuscisse ad arrivare al secondo turno. Ritengo che ciò che ha differenziato la sinistra di Rio de Janeiro da quella delle altre grandi città sia stato il fatto che qui abbiamo svolto un lavoro di base molto approfondito e che abbiamo realizzato una alleanza della sinistra. Non si è trattato di un’alleanza concepita in termini di partiti politici al fine di avere più spazio in televisione, ma di un’alleanza di sinistra basata sui movimenti sociali a partire da un programma.
Abbiamo discusso un anno e mezzo su Se a cidade fosse nossa [Se la città fosse nostra], così avevamo chiamato il nostro programma di governo. Alla discussione di questo programma hanno partecipato oltre cinquemila persone. Il programma è stato discusso in tutte le favelas, in tutti i quartieri, in ogni categoria sociale: è stato un programma ampiamente dibattuto e democratico. Ne è derivato un lavoro di base molto robusto, che io credo la sinistra brasiliana abbia ormai dimenticato. Ritengo che la governabilità petista [del PT] abbia in qualche modo ostacolato molto il lavoro di base: si ragionava molto più in termini di strategia elettorale, da realizzare con grandi partiti mediante accordi di vertice, che non di lavoro di base.
Qui a Rio abbiamo fatto l’opposto: abbiamo fatto un lavoro di base e credo che questo ci abbia permesso – nonostante il poco spazio che abbiamo avuto in televisione (al primo turno ci hanno assegnato solo 11 secondi) – di battere il Partito del movimento democratico brasiliano (PMDB, Partido do Movimento Democrático Brasileiro): ottenemmo il 18 % dei voti e arrivammo al secondo turno con una forza militante molto grande. Nel secondo turno, raddoppiammo i voti, arrivando al 40 %, che però non bastarono per sconfiggere [Marcelo] Crivella, l’altro candidato.
In effetti, nel secondo turno tu ti scontrasti con il sistema di governo, perché Crivella è stato ministro di un governo del PT, è vescovo della Igreja Universal do Reino de Deus [1] ed è uno dei rappresentanti di quella certa destra che… Come caratterizzeresti, come descriveresti, questa destra?
È difficile. Crivella è uno dei proprietari di Rede Record, la più importante catena televisiva dopo Rede Globo. È, assieme a Edir Macedo, di cui è nipote, uno dei principali dirigenti della Igreja Universal. È senatore, è stato ministro con Dilma, e al secondo turno ha ottenuto l’appoggio del Partito della socialdemocrazia brasiliana (PSDB, Partido da Socialdemocracia Brasileira), dei Tucanos [2] e cioè del Partito socialdemocratico (PSD, Partido Social Democrático), di tutto il ventaglio della destra, compresi quelli del PMDB e di Anthony Garotinho [ex governatore di Rio de Janeiro]. L’appoggio insomma di tutte le foze conservatrici.
Quanto all’Igreja Universal, essa sviluppa un intenso lavoro di base. Noi potemmo contare su un forte sostegno da parte delle religioni d’origine africana, da parte di cattolici – vari sacerdoti cattolici hanno fatto campagna per noi, in rottura con le direttive dell’arcivescovo – ma più dell’85 % degli evangelici ha votato per Crivella. Qui c’è una sfida per la sinistra: competere con questo campo evangelico, con questo suo lavoro di base, soprattutto negli ambienti più poveri della città. La Igreja Universal lavora sulla base di una utopia – un’altra utopia, non la nostra -, e pertanto penso che dobbiamo prestarle maggiore attenzione.
Comunque, la nostra è stata una campagna elettorale bellissima, che ha coinvolto diversi ambienti, molti giovani di vari quartieri: la zona Nord e la zona Ovest, fra le più povere di Rio de Janeiro, sono state quelle dove più siamo aumentati. Siamo aumentati nel voto popolare, e questo è l’importante.
Cos’è che occorre per vincere quando si ha di fronte un leader populista, carismatico, religioso, che sviluppa un discorso che non si pone immediatamente sul piano politico perché si rifà alla religione? Come si può sconfiggere il fondamentalismo religioso?
C’è stato un continuo crescendo. Nella prima settimana della campagna elettorale, pensavamo di aver perso: di fatto, non credevamo di arrivare al secondo turno. Comprendemmo che saremmo arrivati al secondo turno solo alla vigilia della conclusione. Non c’eravamo preparati prima per il secondo turno, e all’improvviso ci trovammo a disposizione dieci minuti di televisione e dovevamo trovare altro denaro… Impiegammo una settimana per prepararci al secondo turno, ed è in questa settimana che fummo oggetto di molti attacchi da parte delle reti sociali legate a Crivella. Attaccati in modo molto meschino, con menzogne, nelle reti e nel whatsapp, sui cellulari: una campagna molto sporca, molto meschina, organizzata dagli alleati di Crivella.
Tardammo molto nel rispondere a questa campagna, non sapevamo bene come rispondere a questi attacchi barbari, con accuse di aver rapporti col traffico di droga, per fare un esempio. Abbiamo dovuto rivolgerci ai tribunali, ma così perdemmo una settimana di campagna, che credo sia stata decisiva: credo che con un’altra settimana a disposizione saremmo arrivati quasi a raggiungerlo [Crivella].
In ogni modo, ricavammo alcuni insegnamenti da questo lavoro di base, dalle discussioni con i settori evangelici, dall’organizzazione della campagna elettorale, che deve migliorare. Incontrammo molte difficoltà nell’organizzare la campagna, poiché c’era molto squilibrio: Crivella spese dieci milioni [di real: circa 2.700.000 euro], la sua fu una campagna ricca, con molte risorse, con molti alleati; noi non avevamo altrettanto, né mai l’avremo, ed è per questo che dobbiamo organizzarci meglio.
Comunque abbiamo conseguito più successi che insuccessi e siamo arrivati al 40 %, quasi a un milione e duecentomila voti. Abbiamo rafforzato l’idea che la sinistra non è morta, che esiste un’altra sinistra, che c’è un altro modo di essere di sinistra. C’è stato un finanziamento collettivo della campagna, abbiamo avuto quattordicimila sottoscrittori in tutto il Brasile: un finanziamento collettivo per un programma collettivo, un altro modo di fare politica in un momento di crisi della sinistra.
La sinistra brasiliana attraversa un periodo di crisi dopo il golpe di palazzo, la sconfitta di Dilma e il governo Temer, che molto presto s’è dimostrato aggressivo dal punto di vista economico e sociale, ma che dispone della maggioranza in parlamento e può pertanto approvare praticamente tutto quel che vuole. Come vedi i prossimi due anni e che peso può avere la campagna di Rio de Janeiro nella formazione di un nuovo polo politico di sinistra, nella trasformazione della sinistra?
Questo ciclo di destra in Brasile era più o meno inevitabile: stiamo assistendo a una ascesa della destra che era già in atto. È un colpo molto duro, violento, per la democrazia brasiliana: un colpo che sta cercando di stabilizzarsi, quanto meno a medio termine. In questi giorni stanno tentando di approvare una PEC [Proposta de emenda constitucional: Proposta di riforma costituzionale] che congela tutti gli investimenti per i prossimi vent’anni, soprattutto nel servizio sanitario e nell’istruzione. Una misura durissima.
È un modo di affrontare la crisi delle entrate, ma essi lo fanno tagliando la spesa nei settori più sensibili, e ciò ha in qualche modo spinto la sinistra a scendere in piazza. Un fatto positivo, quest’ultimo, ma che è anche la dimostrazione del fatto che l’indirizzo del governo federale nei prossimi anni sarà quello della recessione, di una perdita molto grave di diritti per la classe lavoratrice. Non ho il minimo dubbio che a breve scadenza ci presenteranno il conto.
Siamo di fronte a un indebolimento della sinistra, e in particolare a un forte indebolimento del PT, perché tutti i sintomi della crisi sono attribuiti alla gestione del PT. È quello che hanno fatto e fanno i media, è quello che ha fatto e fa lo stesso PMDB. Ma con il passare del tempo questa spiegazione non può stare in piedi: entro breve il conto sarà presentato al PMDB, al governo Temer. Il grande interrogativo è: cosa farà nel frattempo la sinistra, come riuscirà a riprendersi, in che modo si riorganizzerà? Perché se fra due anni la sinistra dovesse tornare a ripresentarsi nello stesso modo e commettendo gli stessi errori di oggi, non progredirebbe di molto.
Il lavoro di base, il lavoro in funzione degli interessi dei settori più poveri è fondamentale. Insisto molto su questo punto, è quello che abbiamo fatto a Rio de Janeiro: avvicinare il discorso della sinistra al discorso sui diritti umani, che qui è diverso da quello europeo, perché qui questo discorso riguarda le viscere stesse delle città. Le città sono sorte erigendo muri per proteggersi dall’esterno, questa è l’origine delle città, anche in Europa. Oggi le città brasiliane erigono mura per proteggersi da coloro che vi stanno dentro. È una contraddizione nel modello della città. Oggi le città si proteggono dalla povertà che esse stesse generano.
La sinistra brasiliana deve comprendere questa realtà: molto spesso la contraddizione fra grande capitale e lavoro non si trova più alla porta della fabbrica, ma si trova alla porta della favela, sta nella precarizzazione del lavoro, nei giovani neri e poveri che vengono uccisi, perché in Brasile è in atto un genocidio. È una realtà che la sinistra deve far propria, per quella lotta di classe di cui ha bisogno per ri-esistere. L’ho detto molte volte: più che di resistere la sinistra ha bisogno di ri-esistere. La sinistra deve riorganizzarsi ascoltando di più e parlando meno, essendo più democratica al suo interno. Penso che qui a Rio abbiamo dimostrato che questo è possibile, che è alla nostra portata.
Per finire, vedi qualche parallelismo fra la vittoria di Trump e l’emergere di fondamentalismi, idee religiose, fanatismo politico, conservatorismo di destra, liberalismo aggressivo?
Non è possibile non vedere questo parallelismo. Qui a Rio de Janeiro abbiamo visto varie caricature in cui [la statua del] Cristo Redentore abbracciava la Statua della Libertà, dicendole “Come ti capisco”, e numerose sono state le barzellette incentrate su uno scenario che non si presta certo alle risa, che è molto triste. Non credo che Trump sia stato eletto solo a causa delle barbarie che diceva, ma è però vero che non fu sconfitto nonostante le sue barbarie, e credo che questo sia un fatto importante. Ciò che sembrava uno scherzo, che suscitava il riso, s’è rivelato la realtà.
A Rio de Janeiro nessuno ha visto in Crivella un argomento di risa, come nel caso di Trump, ma si tratta comunque di qualcuno che è pericoloso, tanto pericoloso come Trump. È molto difficile prevedere cosa sarà il governo Trump, quanto lo è prevedere cosa sarà il governo Crivella o in che rapporto si porrà la Igreja Universal con la pratica di un governo, del governo di una città come Rio de Janeiro. La sinistra deve riorganizzarsi, deve ri-esistere nelle sue pratiche se vuole ritrovarsi più forte a breve termine.
* Francisco Louçã è un dirigente del Bloco de Esquerda portoghese e della IV Internazionale.
Il testo originale dell’intervista rilasciata un mese fa è comparso su «esquerda.net», il sito del Bloco de Esquerda portoghese http://www.esquerda.net/artigo/marcelo-freixo-mais-do-que-resistir-esquerda-precisa-de-re-existir/45681
Una traduzione francese, con lievi varianti, è stata pubblicata nel numero 633-634 (novembre-dicembre 2016) di «Inprecor». Traduzione dal portoghese e note di Cristiano Dan.
**Marcelo Freixo, dirigente del PSOL, dopo aver militato nel PT, è un personaggio ben noto in Brasile. Nel 2014 è stato il deputato statale eletto con il maggior numero di voti in tutto il Paese. Le sue attività contro le bande criminali armate e il traffico di armi gli hanno attirato diverse minacce di morte, alcune delle quali eseguite: nel 2006 è assassinato suo fratello Renato; nel 2015 è la volta di un membro della sua scorta. Le sue vicende hanno in parte ispirato uno dei personaggi del film Tropa de elite 2. Il nemico è un altro.