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aaaafidelonuDopo una lunga malattia che lo ha costretto a ritirarsi dal potere nel luglio 2006, Fidel Castro è morto il 25 novembre 2016. In passato, Castro è sopravvissuto a molti tentativi da parte degli Stati Uniti di rovesciare il suo governo e di eliminarlo fisicamente, compresi la sponsorizzazione d’invasioni, l’organizzazione di numerosi tentativi d’assassinio e di attacchi terroristici. Ha esercitato il potere supremo a Cuba per più di 47 anni.

Allo stesso modo, dopo avere lasciato le più alte funzioni, ha continuato a essere politicamente impegnato per molti anni, a incontrare numerose personalità straniere e a scrivere le sue Reflexiones nella stampa del Partito comunista cubano.

Fidel era uno dei figli di Lina Ruz e dell’immigrato galiziano Ángel Castro, diventato il ricco proprietario di una piantagione di canna da zucchero sull’isola. Fidel ha fatto i suoi studi in un liceo gesuita [“colégio Dolores”, poi “colégio Belén”], considerato una delle migliori istituzioni scolastiche di Cuba. Entrato nel 1945 all’Università de La Havana, alla facoltà di Diritto, ha cominciato la sua vita politica collaborando con uno dei molti gruppi politici attivi con forme simili a quelli delle bande [l’allusione è agli scontri fisici, persino armati] all’università. Nel 1947, in qualità di militante universitario, Fidel Castro ha tentato d’invadere la Repubblica Dominicana per provocare un sollevamento contro il dittatore Trujillo [al potere dal 1930 al 1938, poi dal 1942 al 1952]. Nel 1948, ha partecipato al “Bogotazo”, il sollevamento generalizzato che ha scosso la capitale colombiana dopo l’assassinio [il 9 aprile 1948] del dirigente del Partito liberale colombiano [in conflitto con il Partito conservatore], Jorge Eliécer Gaitán [“avvenimenti” che aprono il periodo chiamato della “violencia” durato decenni]. Il carattere disorganizzato e caotico di queste imprese fallimentari ha giocato un ruolo importante nella formazione delle idee di Fidel Castro riguardo la disciplina politica e la soppressione delle opinioni dissidenti e delle frazioni in seno al movimento rivoluzionario.
Ha in seguito raggiunto un partito che conduceva vere campagne politiche, il partito Ortodoxo [Partito Ortodosso] diretto dal carismatico senatore Eduardo “Eddy” Chibás. Castro si è presentato come candidato alla Camera dei rappresentanti. L’Ortodoxo era un partito che difendeva riforme democratiche e progressiste. Si opponeva senza ambiguità al comunismo e si concentrava sull’eliminazione della corruzione politica generalizzata sull’isola. È stato nella sezione giovanile di questo partito che Fidel Castro ha maggiormente reclutato quando si è orientato verso la lotta armata contro la dittatura militare appena affermatsi, quella del generale in pensione Fulgencio Batista.
Batista prese il potere con un colpo di Stato il 10 marzo 1952, per impedire le elezioni che avrebbero dovuto avere luogo – e che era sicuro di perdere– il 1° giugno dello stesso anno. Verso la fine del 1956, un po’ più di due anni prima del rovesciamento di Batista, il Movimento 26 luglio di Castro, così denominato in riferimento alla data del fallimento dell’attacco armato nel 1953 [attacco alla caserma Moncada a Santiago di Cuba il 26 luglio 1953 che fu una sconfitta cocente e con molti prigionieri giustiziati, o torturati…], aveva cominciato ad apparire come il polo egemonico dell’opposizione alla dittatura [Castro fu liberato nel maggio del 1955].
L’ascesa del Movimento 26 luglio è stata resa possibile, in parte, dal crollo dei partiti politici più vecchi di Cuba, compreso il partito Ortodosso, e dal fallimento dei sollevamenti guidati da altre organizzazioni. Ma la sua egemonia tra i ranghi rivoluzionari era anche il risultato delle capacità politiche di Castro. Egli era un militante politico rivoluzionario, vecchio maestro nell’uso degli elementi chiave dell’ideologia democratica dominante nell’opposizione a Batista per attirare e allargare il sostegno di tutte le classi sociali cubane. È in questa prospettiva che approvò, a più riprese, prima della vittoria del movimento rivoluzionario nel 1959, la Costituzione progressista e democratica del 1940, molto popolare. In tal modo, senza diminuire la combattività politica, riuscì a smorzare il radicalismo sociale del suo discorso in occasione del processo della Moncada, il cui titolo ne marcherà la storia: “La Storia mi assolverà”[1].
Fidel Castro era anche un tattico consumato che coglieva istantaneamente le questioni chiave del momento e agiva di conseguenza. Per esempio, dopo essere stato liberato dalla prigione e rifugiato in Messico nel 1955, aveva inventato lo slogan “nel 1956, saremo martiri o uomini liberi”. Sapeva che con questo impegno, doveva rientrare a Cuba in quell’anno, anche se non era militarmente pronto, o correre il rischio immenso di perdere la propria credibilità. Tuttavia, ritenne necessario distinguere il suo gruppo dai suoi concorrenti armati e rilanciare la coscienza politica popolare, in particolare tra i giovani, una coscienza erosa dalla disillusione. Mantenne il suo impegno di sbarcare a Cuba con altri 81 uomini a bordo del Granma all’inizio di dicembre del 1956, cosa che aumentò considerevolmente aumentato il suo prestigio.

 

Dopo la vittoria
La sconfitta assoluta che le forze della guerriglia dirette da Fidel Castro inflissero all’esercito di Batista [una guerriglia sostenuta socialmente grazie alla proclamazione, dalla Sierra Maestra, della Legge di riforma agraria e, anche, da un tentativo di sciopero urbano, nell’aprile del 1958, sciopero che non fu rilanciato dal PC (Partito socialista popolare), cosa che condusse al suo fallimento] aprirono la strada alla trasformazione di una rivoluzione politica democratica interclassista in una rivoluzione sociale. Nei primi due anni dopo la rivoluzione, Fidel Castro rafforzò il suo appoggio popolare di massa con una redistribuzione radicale della ricchezza che si è trasformata più tardi in una nazionalizzazione dell’economia, includendo anche i più piccoli stabilimenti artigianali e commerciali.
Questa economia altamente burocratica ha realizzato risultati assai mediocri, fortemente aggravate dal blocco economico criminale che gli Stati Uniti hanno imposto a Cuba dagli anni ’60. È stato il massiccio aiuto sovietico ricevuto da Cuba che ha permesso al regime di mantenere un livello di vita che ha garantito la soddisfazione dei bisogni più elementari della popolazione, in particolare negli ambiti dell’educazione e della salute. Il rinnovamento di un antimperialismo popolare – che era stato dormiente sull’isola dagli anni ’30– è stato altrettanto importante per rafforzare il sostegno popolare al regime di Castro.
Il governo di Fidel Castro ha canalizzato il sostegno popolare nel senso di una mobilitazione popolare. Questo è stato il contributo più significativo del governo cubano nei confronti della tradizione “comunista” (stalinista) internazionale. Ma pur incoraggiando la partecipazione popolare, Fidel ha impedito un effettivo controllo democratico e ha conservato, per quanto ha potuto, un comando politico personale.
Sotto la sua direzione, lo Stato-partito unico cubano è stato messo in atto fin dagli anni ’60 ed è stato legalmente sancito dalla Costituzione adottata nel 1976. Il Partito comunista dirigente usa le “organizzazioni di massa” come cinghie di trasmissione degli “orientamenti” del partito. Quando le “organizzazioni di massa” sono state create nel 1960, tutte le organizzazioni indipendenti esistenti, che avrebbero potuto rivaleggiare con le istituzioni ufficiali, sono state eliminate. Queste ultime comprendevano: le “società di colore” (“sociedades de color”) che, per molto tempo, erano state il fondamento della vita sociale organizzata dei neri a Cuba, di numerose organizzazione di donne che avevano esercitato principalmente attività di aiuto sociale; e i sindacati, che sono stati incorporati alla macchina dello Stato dopo una purga completa di tutte le opinioni divergenti.
Il controllo personale di Fidel Castro dal vertice è stato una fonte importante d’irrazionalità e di spreco economico. Il bilancio globale dei suoi interventi personali negli affari economici è assolutamente negativo. Questi sono andati dalla campagna economicamente disastrosa per la raccolta di zucchero di 10 milioni di tonnellate nel 1970 [la “zafra de los 10 millione de toneladas” proclamata durante il discorso di Castro del 27 ottobre 1969 nel teatro Chaplin a La Havana] –che non solo non ha raggiunto gli obiettivi annunciati, ma ha destabilizzato fortemente il resto dell’economia – fino all’incoerenza economica e alla microgestione intrusiva della sua “Battaglia delle idee”, lanciata poco tempo prima che lasciasse la direzione e passasse il potere a suo fratello Raúl [2].

 

Manipolazione e repressione
Una delle maggiori caratteristiche del regno di 47 anni di Fidel Castro è stata la continua manipolazione del sostegno popolare. Ciò è stato particolarmente evidente durante i primi due anni della rivoluzione (1959-1960), nel corso dei quali non ha mai rivelato, anche ai suoi sostenitori, dove avesse intenzione di andare politicamente.
La censura sistematica che il suo governo ha introdotto a partire dal 1960 è intrinseca alla politica manipolatrice del suo regime. Tutto questo è continuato con Raúl Castro. I mass media, conformemente con gli “orientamenti” del Dipartimento ideologico del Partito comunista cubano, pubblicano solo le notizie che rispondono ai bisogni politici del governo. La censura colpisce particolarmente la radio e la televisione, sotto l’egida dell’Istituto Cubano di Radio e Televisione (ICRT), istituzione disprezzata da molti artisti e intellettuali per le sue pratiche di censura e arbitrio nell’informazione.
L’assenza sistematica di trasparenza nelle operazioni del governo cubano ha continuato sotto il regno di Raúl Castro. Un esempio chiaro si trova nella brutale destituzione, nel 2009, di due dirigenti politici di primo piano, il ministro degli Affari esteri Felipe Pérez Roque [3] e il vicepresidente Carlos Lage [4], senza una spiegazione completa di questa decisione da parte del governo. Da allora, è stato prodotto un video che espone in dettaglio la versione del governo riguardo questo avvenimento. Tuttavia, esso è stato mostrato solo ad auditori selezionati di dirigenti e quadri del Partito comunista cubano.
La censura e la mancanza di trasparenza si sono talvolta trasformati in vere e proprie menzogne, come nel caso dei ripetuti rifiuti da parte di Fidel Castro di riconoscere i maltrattamenti fisici nelle carceri cubane, malgrado la loro esistenza ben documentata da diverse organizzazioni indipendenti in difesa dei diritti umani.
Fidel Castro ha creato un sistema politico che non esita a usare la repressione, e non solo contro i nemici di classe, per consolidare il suo potere. È un sistema che ha ricorso a metodi polizieschi e amministrativi per regolare i conflitti politici. Questo sistema ha usato il sistema giudiziario in modo arbitrario per soffocare la dissidenza e l’opposizione politiche. Tra le leggi che ha invocato per raggiungere quest’obiettivo, si possono citare quelle che puniscono la propaganda nemica, il disprezzo per l’autorità (desacato: l’oltraggio), la ribellione, gli atti contro la sicurezza dello Stato, la stampa clandestina di documenti, la diffusione di notizie false, la pericolosità sociale precriminale, le associazioni illecite, la resistenza e la diffamazione. Nel 2006, Fidel Castro ha ammesso che per un certo periodo ci fossero 15’000 prigionieri politici a Cuba, benché nel 1967 avesse evocato la cifra di 20’000.

 

Politica estera
Per molti latinoamericani e altri popoli del terzo mondo, non è stata l’istaurazione del “comunismo” a Cuba a suscitare la loro simpatia per il dirigente cubano. Si è trattato, piuttosto, della sua concreta sfida all’impero statunitense e della sua perseveranza ostinata in questo sforzo, non solo affermando l’indipendenza cubana, ma sostenendo e anche appoggiando, all’estero, movimenti contro le classi dirigenti locali e l’impero americano.
Per questo, il governo di Fidel ha pagato un alto prezzo, sotto forma del sostegno di Washington alle invasioni militari, ai molteplici tentativi di assassinio nei suoi confronti, così come a campagne terroristiche. A questo va aggiunto un embargo duraturo ed esteso contro l’isola. Rimanere in piedi di fronte al Golia statunitense, non costituiva solo una prova per resistere con successo a una potenza di gran lunga superiore, ma si trattava di fare fronte all’arroganza e al razzismo del potente vicino del Nord. Come ha sottolineato lo storico Luis S. Pérez [5], Washington ha spesso visto i cubani come bambini a cui serviva una lezione educativa.
Tuttavia, ci sono numerose idee sbagliate nella sinistra sulla politica estera cubana, Se è vero che Fidel Castro ha mantenuto la sua opposizione all’impero americano fino al suo ultimo respiro, la sua politica estera, soprattutto dopo la fine degli anni ’60, è stata più spinta dalla difesa degli interessi dello Stato cubano così come si andavano configurando a partire dall’alleanza con l’URSS, che non in relazione al proseguimento di una rivoluzione anticapitalista in quanto tale. Siccome l’Unione sovietica considerava l’America latina come facente parte della sfera d’influenza degli Stati Uniti, essa ha esercitato una forte pressione politica ed economica su Cuba per minimizzare il suo sostegno aperto ai “movimenti di guerriglia” in America latina. Verso la fine degli anni ’60, l’URSS ha coronato questo sforzo. È per questo che negli anni ’70 Cuba si è volta verso l’Africa con un vigore che bisogna collegare al fatto che le sue iniziative politiche su quel continente erano strategicamente più compatibili con gli interessi sovietici, malgrado i loro numerosi disaccordi tattici. Questa alleanza strategica con l’URSS contribuisce a spiegare perché la politica africana di Cuba aveva implicazioni assolutamente differenti per quanto riguarda la situazione in Angola o contro l’apartheid sudafricana. Qui questa politica si situava a sinistra, mentre per il Corno d’Africa, non era il caso. In questa parte del continente, il governo di Fidel Castro ha sostenuto una sanguinosa dittatura “di sinistra” in Etiopia e ha indirettamente aiutato questo governo nei loro sforzi per reprimere l’indipendenza eritrea.
Il più importante fattore per spiegare la politica cubana in quest’ambito è che il nuovo governo etiope si era schierato con i sovietici nella Guerra fredda. Per le stesse ragioni, Fidel Castro, con grande sorpresa e delusione del popolo cubano, ha sostenuto l’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968, benché fosse chiaro che l’avversione politica di Castro per le politiche liberali di Dubcek [Alexandar Dubcek, primo segretario del PC dal gennaio 1968 all’aprile 1969] ha giocato un ruolo importante nella sua decisione di sostenere l’azione sovietica. Fidel Castro ha anche appoggiato, almeno implicitamente, l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979, anche se l’ha fatto con molta reticenza e in modo discreto, perché Cuba aveva appena preso la direzione del Movimento dei paesi non allineati, la cui grande maggioranza si opponeva con forza all’intervento sovietico.
In generale, la Cuba di Fidel Castro, anche all’inizio degli anni ’60, si è astenuta dal sostenere i movimenti rivoluzionari contro i governi che avevano buone relazioni con La Havana e che rifiutavano la politica degli Stati Uniti contro l’isola, indipendentemente dal loro colore ideologico. I casi più emblematici di un approccio alla politica estera cubana nel segno della “ragion di Stato” [il partito unico e lo Stato sono inestricabili] sono le relazioni molto amichevoli che Cuba intratteneva con il Messico del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e con la Spagna di Franco. È altrettanto interessante notare come in molti paesi dell’America latina, come il Guatemala, El Salvador e il Venezuela, il governo di Fidel Castro ha favorito alcuni movimenti di guerriglia e d’opposizione e si è opposto ad altri, a seconda del loro grado di disponibilità a sostenere la politica cubana.

 

Fidel Castro rivisto in una prospettiva storica
L’instaurazione di un regime di tipo “sovietico” (URSS) a Cuba non può essere spiegato attraverso semplici generalizzazioni politiche a partire da considerazioni sul sottosviluppo, le dittature e l’imperialismo che toccano tutta l’America latina. Il fattore più importante che spiega il carattere unico dello sviluppo di Cuba è la direzione politica di Fidel Castro, che ha imposto un’importante differenza, sia nel tipo di trionfo contro il regime di Battista, sia nella determinazione della via seguita dalla rivoluzione cubana dopo il suo arrivo al potere.
A sua volta, il ruolo di Fidel Castro è stato reso possibile dalla particolare composizione socioeconomica e politica di Cuba alla fine degli anni ’50. Questa comprendeva: l’esistenza di classi sociali importanti sul piano economico, ma con una debole espressione politica – capitalisti, classi medie e operai; un esercito professionista a ben vedere di tipo mercenario la cui direzione aveva legami fragili con le classi più potenti sul piano economico, un sistema di partiti politici tradizionali molto degradato.
L’eredità di Castro è tuttavia diventata incerta dopo il crollo dell’URSS. Con Raúl Castro, il governo, in particolare dopo il sesto congresso del Partito comunista nel 2011, ha promesso importanti cambiamenti nell’economia cubana. Questi ultimi vanno nella direzione generale del modello sino-vietnamita, che combina un’apertura al mercato capitalista con una politica autoritaria.
Il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con gli Sati Uniti, annunciata nel dicembre 2014 – che Fidel Castro ha approvato controvoglia qualche tempo dopo –, dovrebbe facilitare questa strategia economica, in particolare se il Congresso americano modifica o abroga la legge Helms-Burton [un senatore repubblicano della Carolina del Nord e uno dell’Illinois], approvata nel 1996 (con il consenso del presidente Clinton). Una legge che fa del blocco americano dell’isola un obbligo che può essere revocato solo dal Congresso [6]. Ora, con la futura presidenza di Donald Trump e un Congresso repubblicano, la concretizzazione di questa strategia è meno probabile.
Nel frattempo, la corruzione e le disuguaglianze crescono e corrodono la società cubana, cosa che alimenta un sentimento generale di pessimismo e un desiderio di molti, in particolare tra i giovani, di lasciare il paese alla prima occasione.
Alla luce di una futura transizione capitalista di Stato e del ruolo che possono giocare i capitali esteri e i poteri politici come gli Stati Uniti, il Brasile, la Spagna, il Canada, la Russia e la Cina, le prospettive di sovranità nazionale cubana [7] – elemento decisivo dell’eredità di Fidel Castro– tendono a diventare assai incerte.

* Articolo pubblicato sul sito In These Times il 26 novembre 2016; traduzione a cura della redazione di Solidarietà.

[1] La fine della sua arringa è conosciuta, eccola: “termino la mia difesa, però non lo farò come fanno sempre tutti gli avvocati, chiedendo la libertà del difeso; non posso chiederla quando i miei compagni stanno soffrendo nell’Isola dei Pini una prigionia ignobile. Inviatemi insieme a loro a condividere la loro sorte, è concepibile che gli uomini che hanno onore siano morti o prigionieri in una repubblica dove è presidente un criminale e un ladro. Condannatemi. Non importa. La storia mi assolverà” (Red.).
[2] Si possono ancora leggere con interesse due opere dell’agronomo reputato René Dumont. Uno pubblicato nel 1964: Cuba. Socialismo e sviluppo. Il secondo: Cuba è socialista? pubblicato nel 1970 (Red.).
[3] Pérez Roque è stato ministro degli Affari esteri dal 1999 al 2009, prima di essere silurato e rimpiazzato dal viceministro Bruno Rodriguez Parilla. Era stato consigliere di Fidel Castro e membro del Comitato centrale del PC. È stato attaccato, indirettamente, come Lage, in un articolo di Fidel Castro (Red.).
[4] Stretto collaboratore di Castro, Lage ha giocato un ruolo importante durante il “periodo speciale” seguito alla perdita dell’aiuto “sovietico”. Ha negoziato accordi di fornitura di petrolio con il Venezuela in “cambio” dell’invio di 2000 medici cubani. Lage era membro dell’Ufficio politico del PC, vicepresidente del Consiglio di Stato e segretario esecutivo del Consiglio dei ministri. Dopo essere stato rieletto all’unanimità al suo posto di vicepresidente, Lage è stato sollevato dalle sue responsabilità a inizio marzo del 2009 e ha riconosciuto i “suoi errori” in una lettere resa pubblica. Ha rassegnato le dimissioni da tutte le sue posizioni. Avendo una formazione in pediatria, è tornato a lavorare nel settore della salute (Red.).
[5] Si vedano le sue opere: Cuba. Between Reform and Revolution (Oxford University Press) e Cuba in the American Imagination. Metaphor and the Imperial Ethos (University of North Carolina) (Red.).
[6] Questa legge obbliga il presidente statunitense in carica a non cambiare, né eliminare le regole che reggono l’embargo economico. Questa responsabilità appartiene esclusivamente al Congresso. Essa proibisce a paesi terzi di vendere agli Stati Uniti prodotti che hanno componenti cubane (del nickel, per esempio) e di commercializzare a Cuba prodotti con componenti statunitensi. Questa legge “mondializza”, di fatto, l’embargo (Red.).
[7] A queste “incertezze”, si dovrà aggiungere la situazione economica e politica più che degradata del Venezuela, a cui si aggiunge la crisi del Brasile… (Red.).