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aaaaamostro40 a 60 per il No. Già gli exit poll bocciano Renzi. Prime cifre nelle dirette tv alla chiusura dei seggi, partecipazione alta, voto degli italiani all’estero forse irrilevante sul risultato.

Arrestato il “Mostro” di Firenze: il No ha vinto dopo tre mesi di occupazione di ogni spazio mediatico da parte del governo che avrebbe speso dieci milioni di euro per la propaganda per il Sì arruolando nomi insospettabili del cinema e dello spettacolo a favore della “riforma”.

L’affluenza sfiora il 70%. I giovani avrebbero votato per il No, gli anziani, over 54, in maggioranza per il Sì. Ovunque il no sarebbe in vantaggio, nelle isole più che al nord est. Solo Trentino, Emilia e Toscana (feudi della “ditta”) vedrebbero in testa il Sì. La retorica del cambiamento non avrebbe sfondato tra le giovani generazioni condannate dalla crisi e dalle politiche liberiste del Pd. Votano Sì solo i più anziani, più esposti ai messaggi televisivi. Alle 23.30 i primi exit poll ponderati aumentano la forbice: 60 a 40 per il No, pochi minuti dopo il divario cresce di un altro punto. Renzi parlerà a mezzanotte,per dimettersi. Polito, dallo studio di Vespa, gli consiglia di farlo. In studio, per conto del Pd, l’onorevole Fiano che, nel suo collegio elettorale, fa dibattiti contro l’invadenza e la violenza di Casapound e Forza Nuova, ma a Roma sostiene una legge elettorale come la legge Acerbo e lo smantellamento della Costituzione antifascista nel senso indicato da Jp Morgan.

Si interpellano gli editorialisti del Sole24ore per capire la grande finanza cosa ordinerà al Pd, se formare un governo tecnico, come ha suggerito l’Economist, o continuare a governare fino alla riforma della legge elettorale. Che sarà fatta apposta per impedire che Grillo soffi il posto al Pd a Palazzo Chigi. A scaldarsi, ai bordi del campo, ci sarebbero Padoan, in primis, ma anche Del Rio, l’eterno Franceschini e Cantone. Travaglio è sicuro: dopo Renzi un suo clone. Vespa suggerisce al premier di non mollare.

Prudente silenzio in casa cinque stelle dopo i primi exit poll fino al messaggio di Grillo: «E’ cominciato il trenino!». Anche quando vince, il cervello dell’ex comico non si avvia, twitta con la pancia. Martedì la direzione del Pd, in cui Renzi potrebbe rassegnare le dimissioni anche dalla guida della “ditta”. La prossima telenovela sarà il regolamento dei conti nel partito che, più di ogni altro, ha spinto l’acceleratore del neoliberismo in Italia. In più occasioni Renzi aveva promesso di lasciare la vita politica se fosse stato bocciato al referendum sulla deformazione costituzionale. Renzi è in ritardo ma twitta “Arrivo, viva l’Italia, grazie a tutti!”.

Renzi parlerà alle 00.19: «E’ stata una grande festa della democrazia – mastica con “amarezza, tristezza, delusione” di fronte alle telecamere – viva l’Italia che partecipa. Ai leader del fronte del No il mio augurio. Questo voto consegna loro oneri e onori. Agli amici del Sì che hanno condiviso la campagna emozionante e il sogno di questa riforma: ci abbiamo provato ma non siamo riusciti a convincere, volevamo vincere, non partecipare. Ho perso io -li rassicura – e me ne assumo le responsabilità». Lunghi minuti di luoghi comuni, frasi fatte, retorica fino all’annuncio finale: «Non sono riuscito a portarvi alla vittoria, non faccio finta di nulla fischiettando, andiamo via senza rimorsi. L’esperienza del mio governo finisce qui. La poltrona che salta è la mia». Seguono le rivendicazioni di ogni misfatto di mille giorni di governo difficili da smaltire, velenosi come lo sblocca Italia, il Jobs act, la buona scuola, l’Expo. Ringrazia la bandiera, la moglie, i figli, l’esercito, i carabinieri e la polizia con la consueta sopravvalutazione del proprio ego che ha contraddistinto i suoi mille giorni. Domani salirà al Colle. D’Alema gli concede l’onore delle armi.

Gongolano Salvini, Berlusconi, Meloni e la Carfagna che, comunque, pronuncia in tv proposizioni incredibilmente più sensate, dal punto di vista costituzionale, di quelle elaborate in questi mesi da Boschi, coautrice con Renzi della famigerata controriforma. Paradosso italiano. Un centinaio di attivisti del Coordinamento per il No sociale urla sotto Palazzo Chigi: «A casa, a casa!!!». Per chi ha davvero a cuore la Costituzione, l’applicazione dei suoi punti più progressivi, la lotta comincia adesso e con pochissimi alleati viste le scorie che questa campagna ha disseminato a partire dagli accordi firmati dalla Cgil per il contratto del pubblico impiego e dei metalmeccanici. Il risultato, in buona parte, dovrà essere iscritto all’onda lunga del Brexit e della deriva populista che interessa buona parte dell’Europa ma potrebbe non essere irresistibile se ci fosse una ripresa di parola e di protagonismo da parte del movimento operaio, vecchio e nuovo.
Tutto ciò al termine di una campagna elettorale nervosa, nevrastenica, isterica. Fino all’ultimo. I rappresentanti indicati dal No non sono stati ammessi a Castelnuovo di Porto, dove si spoglia il voto dall’estero, perché non risultavano consegnate le relative designazioni. In realtà le designazioni erano state regolarmente fatte, ma, i nominativi erano finiti, guarda caso, nell’elenco dei rappresentanti del sì. Un errore che ha impedito per ben due ore ai rappresentanti del No di esercitare le proprie funzioni di garanzia e controllo, così i seggi del voto degli italiani all’estero hanno iniziato le operazioni senza la presenza dei rappresentanti dei promotori per il No. In aperta violazione della legge. Come molti altri momenti di questa campagna.

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