Tempo di lettura: 4 minuti

aaaaasalariominimoAbbiamo detto, a più riprese, che il dumping salariale (così come i cosiddetti licenziamenti sostitutivi – che sono strumento concreto di dumping) non potrà essere seriamente affrontato fino a quando non si metterà al centro la questione dei salari. Fino a che il padronato sarà libero di decidere come e quanto pagare i lavoratori grazie a regolamentazioni contrattuali e legati insufficienti, è evidente che non vi sarà possibilità di combattere al tendenza, ormai incontestabile, alla diminuzione dei salari di tutti coloro che lavorano in Svizzera.

È d’altronde questo, in un’ottica competitiva, l’obiettivo che si è dato il padronato attraverso gli accordi bilaterali e la conseguente liberalizzazione ulteriore del mercato del lavoro. Una tendenza non solo legata al nostro paese, ma che riguarda tutti i paesi europei. E la Svizzera conferma quel trend in atto che vede, in particolare, la diminuzione dei livelli salariali nel settore “protetto” delle economie nazionali e regionali; un settore che è legato a quello esposto alla concorrenza internazionale. La diminuzione dei salari nel settore protetto (che spesso “organizza” le attività di supporto per il settore delle esportazioni – trasporti, comunicazioni, banche, etc.) serve a diminuire complessivamente i costi di produzione e quindi a fare in modo che il settore di esportazione possa continuare a “competere” (Nel dossier di questo numero di Solidarietà l’economista Michel Husson illustra in modo convincente questa dinamica su scale europea).
Abbiamo detto che tutti coloro che dicono di voler combattere il dumping e di evitare la sostituzione di lavoratori meglio pagati con lavoratori meno pagati sono contrari a soluzioni che realmente permettano di controllare salari e condizioni di lavoro. Sono contrari tutti i partiti borghesi, quelli tradizionali di governo o anche quelli che si presentano all'”opposizione” come UDC e Lega. I primi perché difendono organicamente gli interessi del padronato; i secondi perché, oltre a difendere gli interessi del padronato, pensano anche di sfruttare questo tema in termini di ricaduta elettorale. E ci stanno riuscendo da diverso tempo.
Per questo tutta questa bella gente si oppone all’introduzione di salari minimi legali che permettano per lo meno di vivere dignitosamente. O, perlomeno, persa la battaglia sul principio della introduzione di un salario minimo, continuano la loro azione cercando di trasformare questa sconfitta in una vittoria, difendendo l’introduzione di salari minimi che non favoriscono certo i salariati, ma, ancora una volta, aiutano il padronato stesso nella sua politica di messa in concorrenza e diminuzione dei salari.
Lo fanno grazie alla Costituzione, la loro Costituzione che essi si guardano bene dal modificare, che impedisce, ad esempio a livello cantonale, di fissare salari minimi che non siano quelli fissati dai limiti esistenziali vari (assistenza sociale, prestazioni complementari, la legge sul coordinamento delle prestazioni sociali). In sostanza per queste persone un salario non dovrebbe permettere di vivere ( magari anche bene), ma al massimo di sopravvivere. Un lavoro duro, magari di 45 ore settimanali, potrebbe essere legalmente remunerato allo stesso modo che trovarsi in assistenza sociale.
È in questa prospettiva che si muove, d’altronde, la concretizzazione dell’iniziata cantonale “salviamo il lavoro in Ticino”, accettata in votazione popolare due anni fa, e che, per certi versi , segue le orme dell’iniziativa “Prima i nostri”. Il risultato della concretizzazione di questa iniziativa, divenuta nel frattempo modifica costituzionale, è il rischio reale di avere un salario minimo legale (lordo, val la pena ricordarlo) che potrebbe oscillare, nella peggiore delle ipotesi, attorno ai 2’870 franchi mensili (per 12 mensilità: cioè poco più di 34’000 franchi annui) e nella migliore delle ipotesi uno di 3’500 franchi mensili ( per 12 mensilità: cioè circa 42’000 franchi annui).
Come vediamo non c’è da scialare. Si tratta di salari che se dovessero diventare il salario minimo legale unico applicato in Ticino aprirebbero veramente la strada al dumping salariale, un vero e proprio dumping di stato. Una via,d’altronde, già intrapresa dal Stato, attraverso la promozione di 14 contratti normali di lavoro che fissano salari minimi legali attorno ai 3’000 franchi lordi mensili.
Ora la rilevazione dei salari mediani nel 2014 (per quello che vale) indicava in 5’125 il salario mediano di lavoratori in Ticino. Questo significa che la metà dei salari pagati in Ticino sono al di sotto di questa cifra, l’altra metà al di sopra.
Naturalmente la cosa diventa ancora più interessante e preoccupante se si guardano le mediane per i salario più bassi. Scopriamo così che il salario mediano del 10% peggio pagato è di 3’402 Fr. Mensili (cioè la metà è al di sotto di questo salario); e se si prende il riferimento al 25% dei posti di lavoro meno pagati, si incontra un salario mediano di 4’051 franchi mensili.
Non vi sono dubbi che salari minimo legali come quelli sui quali si discute (e che sono gli unici permessi dalla giurisprudenza al servizio di una Costituzione al servizio delle imprese di questo paese) tenderanno inesorabilmente a spingere questi salari, già bassi, verso di loro, cioè ancora più in basso. Il rischio concreto è quindi che i lavoratori meno pagati vedranno i loro salari spinti verso il basso da un misura (il salario minimo legale) che vorrebbe proteggerli dalla diminuzione.
Certo, fissare un salario minimo legale a questi livelli potrà far giustizia di quei casi che oggi ci sono, e sono sempre più numerosi, al di sotto di questi limiti. Ma un salario minimo legale non può servire a combattere forme salariali e di lavoro schiavistico, ma a impedire che il movimento generale dei salari, di tutti i salariati, continui a scendere inevitabilmente verso il basso.