L’elettorato italiano ha sanzionato con un chiaro No le pretese plebiscitarie di Matteo Renzi, nonostante l’unanime martellante sostegno dei mass media della Tv e della stampa, di tutto l’associazionismo padronale, del mondo della finanza, di quasi tutti gli opinion makers. Le cittadine e i cittadini italiani, nella loro larga maggioranza, hanno respinto al mittente i ricatti e la politica della paura, lo spettro del “salto nel buio”.
La legge costituzionale, con cui il governo Renzi-Boschi pretendeva di riformare 47 articoli della costituzione italiana, viene sonoramente bocciata. Una modifica della costituzione in senso autoritario che un governo imposto dal presidente Napolitano ha fatto approvare da un parlamento illegittimo, per disegnare delle istituzioni più docili alle politiche neoliberali.
E, infatti, il risultato del referendum è soprattutto la più chiara e netta testimonianza della verticale crisi di consenso nei confronti della politica antisociale del governo. La grande percentuale di partecipazione al voto (poco meno del 70%, che arriva comunque al 65,5 con i voti provenienti dall’estero), nettamente la più alta nelle consultazioni referendarie degli ultimi venti anni, il risultato del No (quasi il 60%, poco meno di 20 milioni di elettrici ed elettori), significativamente simile a quella del referendum sul divorzio del 1974, omogeneamente prevalente in tutte le regioni (tranne che nel Sud Tirolo e, anche se di strettissima misura, nell’Emilia Romagna e in Toscana), segnano la condanna dell’elettorato nei confronti di tutto l’operato del governo e un rigetto del suo massimo dirigente. D’altronde, il Sì raccoglie una percentuale sostanzialmente pari alle percentuali elettorali del PD e dei suoi alleati di governo.
Il “fronte del No” raccoglie un successo che evidentemente non è in grado di gestire. La destra resta divisa e, per fortuna, ancora priva di una chiara leadership, il Movimento 5 stelle sembra non disporre di nessuna chiara strategia e programma, se della sua affermazione elettorale, la “sinistra” PD, con tutta probabilità, verrà risucchiata nella battaglia interna che si apre nel partito di fronte alla sconfitta, la sinistra “radicale” resta nelle forti ambiguità politiche che la discussione che si riaccende nel PD non potrà che amplificare. La Cgil, che nonostante la timidezza del suo No viene premiata dai risultati referendari, ha deciso di arrendersi alle pretese padronali firmando un pessimo contratto dei metalmeccanici e un’intesa che condiziona al ribasso la trattativa sul pubblico impiego.
La politica governativa paga il prezzo dell’esuberanza del suo capo, che, anche per l’esposizione personale con cui ha condotto la campagna per il Sì, non ha potuto che rassegnare le proprie dimissioni.
Ma alle dimissioni del governo Renzi deve seguire lo scioglimento del parlamento e l’immediata indizione di nuove elezioni. Il parlamento, già illegittimo come la legge sulla base della quale è stato eletto, dopo questo referendum risulta totalmente non rappresentativo e lontano dalla volontà popolare. Le nuove elezioni devono essere indette al più presto, sulla base della legge elettorale proporzionale indicata dalla Corte costituzionale nella sua sentenza del 2014.
Ma, soprattutto, la vittoria democratica nel referendum e le dimissioni del governo devono divenire l’occasione per una ripresa della mobilitazione sociale e delle lotte nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università, nei territori, per la difesa dei diritti, per la difesa dell’ambiente, per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
*Dichiarazione dell’Esecutivo nazionale di Sinistra Anticapitalista