Qual è la differenza fra “lulismo” e “petismo”? [1]
Usiamo il concetto di lulismo, del professore André Singer [2], per riferirci a un riformismo debole che non realizza trasformazioni strutturali ma una integrazione delle classi popolari mediante il consumo, ciò che non comporta un progresso nel senso della cittadinanza. Per me il petismo si distingue dal lulismo in quanto si colloca più a sinistra della figura di Lula: ma su questo giudizio non tutti gli autori del libro concordano.
Voi segnalate le contraddizioni, i punti forti e quelli deboli del lulismo. In cosa consistono, essenzialmente?
I punti forti del lulismo consisterebbero in un ventaglio di provvedimenti sociali a favore delle classi più sfavorite, come – fra gli altri – la Bolsa Família [3], le quote per i neri nelle università, l’espansione dell’università pubblica, il credito rurale per i piccoli contadini. Questi provvedimenti sono stati particolarmente efficaci nel corso del secondo governo di Lula e nel primo di Dilma Roussef: su ciò non vi sono dubbi. Il punto più debole invece è stato credere nella formula magica: dare ai poveri senza togliere ai ricchi. Non vi fu uno scontro con le élite, e ancor meno con il capitalismo. Va però detto che questo non riguardò solo il Brasile, ma tutti i governi definiti progressisti dell’America latina. Tutti hanno commesso lo stesso errore del lulismo: quello di puntare su un modello neo-sviluppista, basato sull’estrattivismo, sul colonialismo interno, sulla dilapidazione delle risorse naturali e sulla violenza nei confronti delle comunità tradizionali.
Nel suo contributo a libro [4] lei parla della riforma agraria in corso e si dice sicura che Lula verrà ricordato come «il presidente amico degli accaparratori di terra».
Lo ha affermato il [geografo e] professore Ariovaldo Umbelino de Oliveira, e io sono completamente d’accordo con lui. Durante l’epoca di Lula in Amazzonia sono state legalizzate le usurpazioni di terre da parte dei latifondisti: si è legalizzata l’illegalità. Durante il lulismo non vi è stata riforma agraria. Al contrario: è aumentata la concentrazione [di terre]. Inoltre, nel 2009, Lula ha dato via libera all’impiego dei transgenici: oggi siamo il maggior consumatore di agrotossici al mondo. Pertanto, ciò che constatiamo è che questo governo progressista sostiene ufficialmente il modello egemonico dell’agroindustria. È vero che c’era un contesto internazionale favorevole alla vendita di materie prime per via dell’aumento della demanda da parte della Cina: ma si avrebbe potuto fare una politica non esclusivamente centrata sull’estrattivismo. Ma il problema di fondo è che la sinistra brasiliana è sviluppista. In Brasile, il PT non è una sinistra critica della modernizzazione capitalista, e pertanto il nuovo compito della sinistra è quello di cominciare a pensare in altri termini.
Pensa che la sinistra brasiliana debba prendere le distanze dal lulismo per ricostruirsi?
Oggi la figura di Lula danneggia la sinistra se questa vuole riorganizzarsi. Lula ha una visione caudillista della politica, è un caudillo del PT. Basta vedere come né lui né il suo partito abbiano impedito l’emergere di altri leader. Coloro che si profilarono come possibili alternative sono ora in carcere. Il PT è un partito burocratizzato, e ha avuto uno sviluppo simile a quello dei partiti socialdemocratici europei. In questo senso, non credo possa rappresentare una soluzione di sinistra in America latina. Allo stesso tempo, però, non possiamo nasconderci il fatto che la sconfitta del PT si ripercuote sulla sinistra tutta. Qui sta una delle grandi contraddizioni, perché questo partito continua a essere, simbolicamente, il grande raccoglitore della sinistra in Brasile. Se si sgretola, sembra non esservi più una vera alternativa di sinistra, quanto meno in termini elettorali. La sfida per la sinistra è quella di ripensarsi senza continuare a preoccuparsi delle prossime elezioni, ma occupandosi di quello di cui la gente ha bisogno.
Oltre che della questione agraria, nel libro si parla molto di uno dei maggiori risultati del lulismo: l’incremento dei giovani laureati. Tuttavia, al tempo stesso, si ricorda che [nel settore universitario] si sono anche irrobustite iniziative private di dubbia qualità.
I programmi per consentire ai giovani di poter accedere all’università si sono rivelati un’arma a doppio taglio, perché hanno favorito istituti privati di pessima qualità. Lula si è sempre giustificato dicendo che se non si fosse fatto così l’accesso delle classi popolari all’università sarebbe andato alle calende greche. Nonostante sia stato favorito quel tipo di università, non si può non riconoscere che per molti giovani laureati si sono aperti nuovi orizzonti. Ricordo bene un articolo di Regina Magalhães, docente in una di queste università, in cui diceva come i suoi alunni di sociologia avessero cominciato a capire di vivere in una cosa che si chiamava “società” e di non essere individui isolati: avevano cominciato a stabilire nuovi rapporti e a sviluppare un pensiero più critico, dal quale prima erano esclusi.
Nonostante la cattiva qualità di alcune università, si può dire che hanno prodotto una certa mobilità sociale?
Senza dubbio. Il contributo di Ruy Braga [5] lo spiega molto bene quando ci parla di quelle donne giovanissime che lavorano mezza giornata in un call-center di televendite e la sera vanno in queste università private. Nonostante l’orribile livello di queste università, la giovane che le frequenta non farà più la domestica come sua madre. Può anche darsi che il salario che percepisce con le televendite o o in altri impieghi successivi sia eguale o più basso di quello della domestica, ma simbolicamente si tratta di un’enorme ascesa sociale.
Quando si parla della Bolsa Família, si sottolinea il fatto che non vi sono stati mutamenti strutturali e che non ha contribuito a porre un termine alla criminalizzazione della povertà.
Per l’autore del saggio, Carlos Alberto Bello [6], uno dei punti più deboli della Bolsa Família è il fatto di non far parte della Costituzione, e cioè di non essere stata istituzionalizzata come un diritto, ma di ridursi a una misura che dipende dalla buona volontà del governo di turno. Inoltre, Bello critica il fatto che l’integrazione delle classi popolari si sia rivelata precaria e spoliticizzata, ottenuta solo attraverso l’accesso ai consumi, senza proporre un’idea di cittadinanza e di diritti. In questo senso, sottolinea come la società brasiliana continui a criminalizzare la povertà, come se di essa fossero responsabili i poveri stessi. Resta dominante l’idea che il povero sia pigro e che non lavori perché non lo vuole. E il peggio è che non essendoci stato un impegno per una politicizzazione, sono i poveri stessi che fanno propria questa idea di sé. Non credo quindi che si possa sperare, data la svolta a destra in atto nel Paese, che le classi popolari possano uscire dalla propria passività politica.
E infatti si è visto come siano state le classi popolari ad appoggiare la destra in una città come São Paulo, il cui neoeletto sindaco esalta la meritocrazia.
Anche questo ha a che fare con la spoliticizzazione. Curiosamente, sono proprio le persone che hanno tratto benefici dalle politiche pubbliche – per esempio con le borse di studio per l’università – a credere di dovere l’ascesa sociale ai propri meriti, senza metterla in relazione con le politiche sviluppate nel Paese. E una volta convintesi di dover tutto al proprio merito e constatato di avere ora un maggiore accesso al consumo, non si sentono più povere e pertanto non vogliono più votare per il PT, “il” partito associato ai poveri. Preferiscono votare per partiti di destra, che associano ai ricchi o alla classe media. Il lulismo si trova ora di fronte a questo paradosso proprio per non aver voluto puntare su una integrazione sociale più politicizzata, come quella che aveva praticata, assieme alla Chiesa cattolica, al tempo della fondazione del partito. Il PT ha trascurato questo tipo di educazione e di contatto con la base e con la realtà sociale.
Secondo lei quand’è che il lulismo ha perso il contatto con la sua base?
Chi ha studiato il PT sin dalla sua nascita avverte un cambiamento già negli anni Ottanta, quando comincia a conquistare sindaci. A partire da allora il PT è andato allontanandosi dalla sua base e il suo apparato è andato concentrandosi esclusivamente sul momento elettorale: fatto che lo ha costretto a fare sempre più concessioni in vista della conquista del potere esecutivo. È in questo periodo che il PT s’è trasformato in quello che è oggi: un partito elettoralista, che si preoccupa solo di vincere nelle elezioni.
Crede che nel PT sia in corso un processo di autocritica?
Dopo quel che è successo nell’ultimo anno, tutti si strappano i capelli. Può darsi che alla base del partito ci si stia interrogando sulla possibilità d’aver commesso errori, ma di sicuro questo non vale per l’apparato. Ne è una prova evidente il fatto che intendono candidare Lula alle elezioni presidenziali del 2018, come se questa fosse la soluzione di tutti i problemi, l’unico modo di salvare il partito.
E riuscirà Lula a candidarsi nel 2018?
Mi sembra che sia quel che vogliono tanto lui come l’apparato del partito, ma sarà una cosa molto difficile, perché le élite brasiliane si uniranno tra loro per impedire che accada, e se necessario lo faranno finire in carcere. Il PT ha funzionato come un fornitore di servizi per le élite del Paese, che gli hanno permesso di governare quando ciò faceva loro comodo. Quando però hanno capito che l’operazione Lava Jato [7] si avvicinava troppo a loro e che Dilma non faceva nulla per impedirlo, decisero che era il momento di tornare loro al governo. Il Brasile è un Paese profondamente retrogrado, nel quale le élite non hanno mai smesso di governare. Per un certo periodo di tempo hanno permesso che si praticasse quel riformismo debole di cui parla Singer, ma poi anche questo è sembrato troppo.
Nel libro sostenete che il lulismo ha favorito la pacificazione sociale.
Sì, e alcuni di noi, collocati più a sinistra, dicevano che si trattava della pace dei cimiteri. A un certo punto, tra cellulari e televisori al plasma, tutti erano come entrati in letargo: tutto sembrava andar bene, poiché tutti potevano avere accesso a beni di consumo che si potevano pagare in 20 rate. Un’ingannevole illusione. Varie ricerche provano che le diseguaglianze continuavano a esserci; che l’occupazione, anche se era cresciuta, era di tipo precario; che l’assistenza sanitaria, pur essendo un po’ migliorata, continuava a non essere buona. Noi che ci collocavamo alla sinistra del PT fummo disprezzati, ci davano del menagramo, e pareva che dall’orizzonte fosse sparita la lotta di classe. Sappiamo bene però che questa non sparisce mai: era infatti come racchiusa in una pentola a pressione, pronta a saltare per aria.
E furono le manifestazioni del giugno 2013 a costituire l’esplosione che rese improvvisamente patenti le contraddizioni del lulismo?
Il giugno 2013 è stata una frattura improvvisa: alla vigilia sembrava che tutto andasse bene e il giorno dopo nessuno era più soddisfatto. Sì, potremmo dire che fu in questa occasione che venne a galla buona parte delle contraddizioni del lulismo e della spoliticizzazione di cui parlavamo prima. Lula e Dilma avevano sì fatto investimenti nelle università e in borse di studio per accedervi, ma le persone scendevano egualmente in piazza per esigere un’istruzione di qualità. E lo stesso avveniva per quanto riguardava la sanità. Molti di quei giovani manifestanti avevano tratto benefici dalle politiche luliste: ma non ne erano consapevoli e volevano di più. Il governo di Dilma e il PT ne furono completamente paralizzati: non riuscirono a capire quel che accadeva. E credo non lo abbiano capito nemmeno ora.
Si può però dire che il lulismo ha rappresentato un prima e un dopo rispetto ai governi precedenti?
Per quanto riguarda la politica economica mi sembrerebbe esagerato dire ha rappresentato un prima e un dopo. Basterebbe solo ricordare la famosa Lettera ai brasiliani scritta da Lula quando arrivò al potere, dove risultava evidente che avrebbe continuato a stare dalla parte dei mercati finanziari. In fatto di macroeconomia mantenne una politica non molto diversa da quella del suo predecessore Fernando Henrique Cardoso. È invece vero che sviluppò una politica sociale più profonda di quelle dei precedenti governi. Il suo fu modello neo-sviluppista alimentato dalle risorse naturali e dall’agroindustria, ma che permise una ridistribuzione della ricchezza che a sua volta generò una importantissima ascesa sociale, soprattutto fra chi si trovava immerso nella miseria. Se sul piano politico non si può certo dire che si trattò di un fatto rivoluzionario, credo sia corretto dire che sul piano simbolico vi fu un prima e un dopo. La possibilità per un metalmeccanico di arrivare alla presidenza in un Paese tanto inegualitario ed elitista come il Brasile è stato un fatto importantissimo per le classi popolari. D’altra parte, questo fatto cruciale finì anche per oscurare i conflitti reali e la latente lotta di classe: un po’ come se non ci fosse più niente da fare d’altro, perché tutto era già cambiato. Ma poiché non vi erano stati mutamenti strutturali, siamo rapidamente tornati al passato. Abbiamo fatto un passo avanti e due indietro.
* Ha insegnato presso il Dipartimento di Filosofia della Universidade Estadual Paulista (Unesp), di São Paulo. Ha pubblicato, tra l’altro, Rosa Luxemburg, os dilemas da ação revolucionária (Editora Unesp, São Paulo 2003) e A revolução alemã (1918-1923) (Editora Unesp, São Paulo 2005). Assieme a André Singer (vedi Nota 2) ha coordinato l’antologia As contradições do lulismo. A que ponto chegamos? Boitempo, São Paulo 2016, la cui pubblicazione ha dato spunto a questa intervista.
** Giornalista free-lance, collaboratrice di «Brecha» e di varie testate brasiliane e spagnole.
Note del traduttore
[1] “Lulismo”: da Lula da Silva; “petismo”: da pété, pronuncia di PT, acronimo di Partido dos Trabalhadores.
[2] Riferimento al libro Os Sentidos do Lulismo. Reforma gradual e pacto conservador. Companhia das Letras, Rio de Janeiro 2012. Singer, professore associato nel Dipartimento di Scienza politica della Universidade de São Paulo, è stato addetto stampa della Presidenza della Repubblica durante il primo governo Lula. Ha pubblicato numerosi altri importanti saggi, fra i quali Esquerda e direita no eleitorado brasileiro (Edusp, São Paulo 2000) e O PT (Publifolha, São Paulo 2001).
[3] Borsa famiglia: programma di assistenza alle famiglie più povere, finalizzato soprattutto a garantire l’accesso all’istruzione e alla sanità. Ha avuto notevoli effetti positivi.
[4] Si riferisce al saggio Agronegócio, resistência e pragmatismo: as transformações do MST [Agroindustria, resistenza e pragmatismo: le trasformazioni del Movimento dei senza terra].
[5] Autore del saggio Terra em transe: o fim do lulismo e o retorno da luta de classes [Terra in trance: la fine del lulismo e il ritorno della lotta di classe].
[6] Autore del saggio Percepções sobre pobreza e Bolsa Família [Percezione della povertà e Borsa Famiglia].
[7] Su Lava Jato e su questo periodo della recente storia brasiliana vedi in questo sito, tra l’altro, Perry Anderson sulla crisi in Brasile [1] e Perry Anderson – La degradazione del sistema politico in Brasile [2].
Il testo originale è stato pubblicato dalla versione elettronica del settimanale uruguaiano «Brecha»:
http://brecha.com.uy/pt-funciono-prestador-servicios-las-elites/
Appendice – Si salverà il PT?
Della crisi del PT avevamo parlato a più riprese negli ultimi tempi, ad esempio in Brasile | «Più che resistere la sinistra deve ri-esistere», ma c’è un aspetto che era rimasto un po’ in ombra: nelle elezioni municipali dell’ottobre 2016 in cui solo in un caso il partito di Lula era riuscito a entrare in ballottaggio, sia pur senza successo: ebbene, in ben 1.800 municipi, il PT aveva stretto alleanze con i partiti di centrodestra che hanno sostenuto Temer in quella destituzione di Dilma Rousseff che nella definizione ufficiale è stato un “golpe”. È stata una svista, o una polemica con la linea ufficiale del partito? Nulla di tutto questo, è la riproposizione a livello locale della “tattica” praticata da Lula fin dall’inizio della sua presidenza, la ricerca di alleanze con quelli che erano inequivocabilmente avversari, ma erano sensibili ad accordi sotto banco per la spartizione delle tangenti di Petrobras o Odebrecht.
L’evidenza della continuità, e non di un cambiamento di linea, risulta da un nuovo episodio: con il pieno consenso dell’ex presidente Lula i gruppi parlamentari del PT hanno deciso di appoggiare le candidature governative per la presidenza della Camera (Rodrigo Maiadel, del partito DEM o Jovair Arantes del PTB, mentre per il senato la scelta è di votare Eunício Oliveira del PMDB).
Il leader del PT alla Camera, Carlos Zarattini, ha partecipato il 10 gennaio al lancio della candidatura di Jovair Arantes, con la speranza di conquistare spazi nelle Commissioni parlamentari e/o in altri incarichi ben remunerati.
Nonostante i precedenti, questa manovra sta provocando (meglio tardi che mai) tensioni interne. Il senatore Lindbergh Farias (PT-Río de Janeiro), per esempio, ha denunciato la manovra opportunista: “significa fare alleanza con un golpista che è stato relatore della PEC 55 (Proposta di Emendamento Costituzionale), che guida il processo di smontaggio della Costituzione e pone un tetto alle risorse da destinare ai lavoratori”, ha affermato Farias, sostenuto da pochi altri dirigenti del PT, e con poche speranze quindi di poter cambiare la linea adottata dalla maggioranza della Direzione del partito.
D’altra parte, anche quando il PT era al governo, aveva subito le pressioni di banchieri e grandi industriali, e aveva lasciato cadere le promesse elettorali del 2014, iniziando l’applicazione degli “aggiustamenti” neo liberisti che comportavano l’eliminazione dei diritti, una politica economica recessiva e gli aggressivi tagli alla spesa sociale. Era il tempo di Joaquim Levy. Così, Dilma perse l’appoggio popolare e aprì la strada all’impeachment.
Dopo, quando il “Golpe” parlamentare esplose, era troppo tardi per andare oltre le proclamazioni vuote. Un piano serio di mobilitazione popolare, un’azione concreta per evitare l’offensiva della destra golpista erano ormai impossibili, anche perché Lula puntava ancora una volta, fino alla fine, a un negoziato sottobanco con le élites. La linea attuale è dunque coerente con la traiettoria suicida della direzione del PT.
(Ricavato da un editoriale di http://esquerdaonline.com.br/ che considera la politica attuale del PT come una specie di “Sindrome di Stoccolma”. Antonio Moscato)