Esageriamo, certo, ma se non proprio l’ultimo, Soares è stato sicuramente uno degli ultimi grandi dirigenti della socialdemocrazia, non solo portoghese, se per socialdemocrazia intendiamo quella corrente storica del movimento operaio che ha fatto del riformismo la sua bandiera e la sua giustificazione, e non l’attuale e variopinta compagnia che si fregia ancora di questo titolo, ma che da tempo ha come bandiera e giustificazione il controriformismo filocapitalistico.
Qui non si farà certo l’elogio della socialdemocrazia d’altri tempi, non solo perché s’è macchiata di non pochi crimini e misfatti, ma soprattutto perché è morta, né può essere risuscitata, né potrebbe tornare utile. Le condizioni storiche, economiche e sociali che ne avevano assicurato, quanto meno in terra europea, l’affermazione e i successi, non esistono infatti più.
Se dunque ci occupiamo di Mário Soares è per segnalare in qualche modo questa contraddizione (la fine della socialdemocrazia e il permanere sulla scena politica del suo fantasma) che Soares ha pienamente incarnato e rappresentato, ma con una dignità – gli va riconosciuta – e una certa capacità autocritica piuttosto rare. Questa contradditorietà della figura di Soares la si può plasticamente rilevare nei rituali “elogi funebri” che gli sono stati recitati dalle tre componenti della sinistra portoghese.
Il Partido Socialista, il partito che lui aveva fondato e portato al successo, gli dedica ovviamente pagine e pagine, ma nel tracciarne il percorso politico si sofferma soprattutto sulla sua figura di dirigente e statista, evitando di accennare anche solo di passaggio alle ultime fasi della sua esistenza, quando rivede il giudizio dato sulla Troika, quando si indigna per la sorte riservata alla Grecia, quando si oppone alla guerra contro l’Iraq, quando scopre la tematica ambientalista (in particolare il problema dell’acqua), quando guarda con una qualche simpatia a Porto Alegre. Tutte cose che non ne fanno un “rivoluzionario”, ovviamente: ne fanno un socialdemocratico conseguente, d’altri tempi, rispetto ai social-liberali camuffati da socialdemocratici, ossequienti nei confronti della Troika, pronti a strangolare la Grecia e a bombardare l’Iraq (come il di lui più “moderno” Tony Blair).
Alla presbiopia del PS si affianca, anche se con tutt’altra musica, quella del Partido Comunista Português, che nello scarno comunicato sulla sua scomparsa impiega quattro delle dodici righe a lamentarne il ruolo avuto negli anni Settanta e Ottanta: «[…] Ricordando il suo passato di antifascista, il PCP registra le profonde e note divergenze che contraddistinsero i rapporti fra il PCP e il Dott. Mário Soares, in particolare per il suo ruolo centrale nella lotta al corso emancipatore della Rivoluzione d’Aprile [1974] e alle sue conquiste, sovranità nazionale compresa». Qui la presbiopia consiste nel restare fermi a un giudizio storico sul passato – che si può anche condividere, a patto di rimettere in discussione anche il ruolo avutovi dal PCP, e senza fare sconti nemmeno alla sinistra rivoluzionaria d’allora -, senza prestare la minima attenzione alla sofferta, incerta, anche timida, evoluzione successiva del personaggio. Evoluzione che non cancella il passato né attenua le responsabilità, certo, ma che comunque andrebbe rilevata e valutata positivamente.
Più equilibrato, senza miopie o presbiopie, il giudizio del Bloco de Esquerda, che riportiamo qui di seguito.
Mário Soares è stato uno dei maggiori protagonisti della politica portoghese e ha segnato il secolo XX. È stato combattente anticoloniale e antifascista, prigioniero politico ed esiliato. È stato un costituente e uno dei fondatori del regime costituzionale del 1976, ministro nei governi provvisori, primo ministro e presidente della Repubblica. Socialista, repubblicano e laico, come si è definito lui stesso, è stato il più impegnato artefice dell’ingresso del Portogallo nell’Unione europea.
Nel corso della sua vita, Mário Soares è stato tanto contraddittorio quanto determinato nelle lotte che ha intrapreso. Ha lasciato il suo segno in tutti i momenti decisivi della vita del Paese, a volte in conflitto con le forze di sinistra, altre volte in alleanza con loro. In tempi più recenti s’è opposto all’invasione dell’Iraq e alle guerre nel Medio Oriente, e si è eretto in difesa della Costituzione della Repubblica portoghese contro le nuove regolamentazioni sociali imposte dalla Troika. Si era anche opposto alle politiche austeritarie del governo PSD-CDS e aveva salutato positivamente i mutamenti [il governo PS, con l’appoggio esterno di Bloco, PCP e Verdi] sopravvenuti in seguito alle elezioni del 2015. […]
Non di uno dei “nostri” dunque si parla, ma di un uomo che, pur avendo rappresentato per gran parte della sua vita l’alternativa riformista, aveva dovuto constatarne il fallimento e aveva cominciato – tardi, ma comunque cominciato – a prenderne le distanze e a guardare oltre: verso coloro che per decenni aveva contrastato politicamente.