La giurisprudenza del Tribunale federale dà atto che, in tema di punibilità dei media, le norme del diritto penale vanno interpretate alla luce delle diposizioni del diritto superiore, vale a dire della Costituzione federale e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU[1]). In quest’ambito, va prestato particolare riguardo alla libertà dei media (art. 17 Cost. e art. 10 CEDU) e all’importante ruolo che la stampa riveste nell’ottica della democrazia.
L’esigenza di un’interpretazione delle norme penali conforme ai diritti dell’uomo discende anche dalla giurisprudenza della Corte europea (Corte EDU), la quale valuta le sentenze di condanna dei tribunali penali nazionali con particolare rigore, laddove le stesse limitino la libera attività dei media.
Il testo dell’art. 10 CEDU (libertà d’espressione) recita:
1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce che gli Stati sottopongano a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.
2. L’esercizio di queste libertà, comportando doveri e responsabilità, può essere sottoposto a determinate formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge e costituenti misure necessarie in una società democratica, per la sicurezza nazionale, l’integrità territoriale o l’ordine pubblico, la prevenzione dei reati, la protezione della salute e della morale, la protezione della reputazione o dei diritti altrui, o per impedire la divulgazione di informazioni confidenziali o per garantire l’autorità e la imparzialità del potere giudiziario.
I principi generali che sottendono alla valutazione e all’apprezzamento circa la legittimità (necessità) di una limitazione dell’esercizio della libertà di espressione ex art. 10 CEDU – riaffermati a più riprese dalla Corte EDU a partire dalla sentenza Handyside contro Regno Unito del 7 dicembre 1976 – sono stati di recente riassunti nella sentenza Morice contro Francia del 23 aprile 2015.
Sono i seguenti.
1.
La libertà d’espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali della società democratica, una delle condizioni primordiali del suo progresso, nonché dello sviluppo e della realizzazione sul piano personale di ciascun individuo. Nel rispetto dei suoi doveri e delle sue responsabilità, la stampa è tenuta ad esternare informazioni e idee su tutte le questioni di interesse pubblico e generale, comprese quelle che fanno riferimento all’amministrazione della giustizia.
Sotto riserva del paragrafo 2 dell’art. 10 CEDU, la libertà d’espressione non vale soltanto per le “informazioni” o le “idee” accolte con favore o considerate come inoffensive o indifferenti, bensì anche per quelle che urtano, scioccano o inquietano: così vogliono il pluralismo, la tolleranza e lo spirito d’apertura, senza i quali non esiste “società democratica”. Così come consacrata all’art. 10, la libertà d’espressione è assortita di eccezioni, le quali vanno tuttavia ammesse con prudenza e rigore. In tal senso, la necessità di una restrizione deve essere dimostrata in maniera convincente.
2.
L’aggettivo “necessario” ai sensi dell’art. 10 § 2 CEDU implica un “bisogno sociale imperioso”. Gli Stati contraenti beneficiano di un certo margine di apprezzamento nel giudicare dell’esistenza di un simile bisogno, margine di apprezzamento che è tuttavia soggetto al vaglio europeo, sia relativamente alla legge, sia relativamente alle decisioni che la applicano. Ciò a prescindere dal fatto che le dette decisioni emanino da una giurisdizione indipendente. La Corte europea è dunque competente a statuire in ultima istanza sulla questione a sapere se una “restrizione” è conciliabile con la libertà d’espressione garantita e tutelata dall’art. 10. In tema di limitazione della libertà di stampa, il margine di apprezzamento delle autorità nazionali è di conseguenza circoscritto dall’interesse della società democratica tutta di permettere alla stampa di ricoprire il suo ruolo indispensabile di “cane da guardia”.
3.
Nell’esercizio della sua attività di controllo, la Corte non ha affatto il compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne competenti, bensì quello di verificare, nell’ottica dell’art. 10 CEDU, le decisioni che queste hanno emanato in virtù del potere di apprezzamento che loro compete. Ciò non significa che la Corte debba limitarsi ad esaminare se lo Stato resistente ha fatto uso del suo potere in buona fede, con riguardo ed in modo ragionevole. La Corte deve invece considerare l’ingerenza litigiosa alla luce dell’insieme delle circostanze del caso concreto per determinare se la stessa era “proporzionata allo scopo legittimo perseguito” e se i motivi invocati dalle autorità nazionali per giustificarla appaiano “pertinenti e sufficienti” (..). Nell’ambito di tale esercizio, la Corte deve convincersi che le autorità nazionali hanno applicato delle regole conformi ai principi consacrati all’art. 10, e ciò basandosi inoltre su un apprezzamento accettabile dei fatti pertinenti (…).
4.
Per quanto concerne il grado di tutela, in due ambiti particolari l’art. 10 § 2 CEDU non ammette praticamente restrizioni alla libertà d’espressione: quello del dibattito politico e quello dei temi di interesse generale. Di conseguenza, un livello alto di protezione della libertà di espressione, che va di pari passo con un margine di apprezzamento delle autorità nazionali particolarmente limitato, sarà di regola garantito laddove le esternazioni in esame interessano un tema di interesse generale (come ad esempio il funzionamento del potere giudiziario, persino nel caso di un processo ancora in corso). In simile contesto, è pure ammessa una certa dose di “esagerazione” o di “provocazione”. Persino una certa ostilità o gravità delle esternazioni non basta da sola a privare l’interessato del diritto ad una tutela elevata, tenuto conto del fatto che si tratta di un tema di interesse generale.
5.
La Corte distingue inoltre tra dichiarazione di fatto e giudizio di valore. La veracità di una dichiarazione di fatto può essere comprovata; per contro, un giudizio di valore non si presta per definizione ad una verifica di esattezza. L’onere della prova al riguardo è dunque impossibile da ossequiare e costituisce una lesione della libertà d’opinione in sé, elemento fondamentale del diritto garantito dall’art. 10 CEDU. Ecco perché, a fronte di un giudizio di valore, la proporzionalità dell’ingerenza nella libertà d’espressione dipende dalla “base fattuale” su cui poggia l’esternazione: solo in assenza di una base fattuale sufficiente il giudizio di valore può essere considerato eccessivo. Per distinguere tra dichiarazione di fatto e giudizio di valore, occorre tener conto delle circostanze del caso concreto e del tono generale delle esternazioni, ritenuto che delle asserzioni su soggetti di interesse generale possono essere considerate in tal senso giudizi di valore piuttosto che dichiarazioni di fatto.
6.
Infine, nell’esaminare la proporzionalità dell’ingerenza nella libertà d’espressione vanno prese in considerazione anche la natura e la severità delle sanzioni inflitte. La Corte ha infatti sottolineato che una minaccia alla libertà di espressione rischia di avere un effetto dissuasivo sull’esercizio medesimo di tale libertà. Il carattere relativamente moderato delle multe non è sufficiente a scongiurare tale rischio, che appare comunque inaccettabile. In termini generali, è legittimo che le istituzioni di uno Stato siano protette dalle autorità competenti nella loro veste di garanti dell’ordine pubblico istituzionale. La posizione dominante che queste istituzioni occupano impone però alle autorità di dar prova di riserbo e prudenza nel far ricorso alla via penale.
Per la Corte, il fatto stesso di pronunciare una condanna penale nei confronti di un operatore della stampa che ha riferito su circostanze di interesse generale (pubblico) rappresenta una delle forme più gravi di ingerenza nel diritto alla libertà di espressione. Ciò, considerato che la parte che si pretende lesa dispone comunque di altri strumenti e rimedi altrettanto efficaci, segnatamente quelli che fanno capo al diritto civile.
Alla luce di queste considerazioni chiediamo, tramite la presente interpellanza, al Consiglio di Stato:
1. L’articolo 8 cpv. 2 lett. c della Costituzione del Cantone Ticino garantisce “la libertà d’opinione, di informazione e di stampa”. Le indicazioni qui sopra richiamate sembrano segnalare che, nella vicenda che vede coinvolti i giornalisti de Il Caffè opposti alla Clinica Sant’Anna e al gruppo Genolier, questo diritto sia fortemente rimesso in discussione. Il Consiglio di Stato, che dovrebbe essere garante dell’applicazione delle leggi (e ancor più della nostra legge fondamentale), non ritiene necessario intervenire per garantire questo diritto?
2. Non trova il Consiglio di Stato preoccupante il fatto – peraltro assolutamente inedito ed anche per questa ragione ripreso da numerosi media europei – che l’intero vertice della redazione di un settimanale di grossa tiratura venga messo sotto accusa ed avviato verso un processo in relazione ad un solo fatto, cioè ad un’inchiesta giornalistica?
3. Il Consiglio di Stato non ritiene che tutto ciò sia a maggior ragione preoccupante, visto che ad oggi nulla di quanto pubblicato da Il Caffè in merito alla vicenda è stato smentito?
[1] Entrata in vigore per la Svizzera il 28 novembre 1974 (RS 0.101).
*Interpellanza del deputato MPS Matteo Pronzini del 11 gennaio 2017