di Matteo Pronzini*
Negli ultimi giorni, la vicenda del contratto collettivo di lavoro (CCL) della vendita (sottoscritto qualche mese fa) è ritornata d’attualità in merito alle procedure e alle condizioni per una sua dichiarazione di obbligatorietà generale.
In particolare hanno creato dibattito le dichiarazioni della commissione paritetica (CP) creata nel quadro della stipulazione del CCL e dei risultati da essa ottenuti nell’ambito del censimento delle aziende dei commerci attivi in Ticino.
Secondo la CP i commerci attivi in Ticino sarebbero circa 1’600 per un totale di 1’100 datori di lavoro (alcuni datori di lavoro posseggono più negozi), un numero nettamente inferiore a quello risultante da un’inchiesta precedente che indicava in 2’200 il numero dei negozi occupanti circa 12’000 dipendenti.
Questo sorprendente dato (che segnala una diminuzione di quasi il 30% del numero di negozi) ha, giustamente, suscitato le critiche del sindacato Unia (che, come noto, non è firmatario del CCL) che ritiene poco affidabile questo dato e considera che esso sia stato in qualche modo “accomodato” onde consentire di raggiungere più facilmente uno dei quorum previsti per la dichiarazione di obbligatorietà generale.
Non vi sono infatti dubbi che le parti contraenti abbiano un interesse a rendere più facili ed accessibili le condizione per la dichiarazione di obbligatorietà generale, cosa di per sé sostenibile, in particolare qualora questa richiesta vedesse coinvolto e consenziente tutto lo spettro delle organizzazioni dei lavoratori.
Questa vicenda vede, in realtà, la stipulazione del CCL come semplice mezzo di scambio, oltretutto gratuito. La stipulazione del CCL e la sua dichiarazione di obbligatorietà generale sono infatti condizioni necessarie affinché la nuova legge sugli orari di apertura dei negozi, favorevole in particolare alla grande distribuzione, possa entrare in vigore. E la grande distribuzione, anima di tutta l’operazione, potrà beneficiarvi gratuitamente poiché condizioni di lavoro e di salario previste nel CCL sono inferiori a quelle della grande distribuzione.
Secondo le disposizioni della Legge federale concernente il conferimento del carattere obbligatorio generale al contratto collettivo di lavoro spetta al Cantone (ad un organo da esso designato) dichiarare di obbligatorietà generale il CCL della vendita nella misura in cui adempisse a tutte le condizioni previste dalla legge, in particolare i diversi quorum (tasso di sindacalizzazione, maggioranza di imprenditori che sottoscrivano il CCL, etc.).
Ma, oltre alla grande distribuzione, anche il Cantone è interessato a che questo CCL venga decretato di obbligatorietà generale. Senza questo passaggio la legge summenzionata resterebbe lettera morta. Il cantone è quindi parte interessata; di conseguenza potrebbero non esserci i presupposti affinché l’analisi e la verifica delle condizioni per la dichiarazione di obbligatorietà generale vengano svolte con la dovuta imparzialità.
Situazione alla quale sicuramente fa riferimento la stessa legge federale summenzionata, la quale prevede, al suo articolo 11, la consultazione di periti: “L’autorità competente domanda, prima di decidere, il parere di periti indipendenti, eccetto che ciò appaia senz’altro superfluo. Essa può istituire una commissione permanente di periti, in parti, in particolare per accertare se le condizioni previste nell’articolo 2 numeri 1 e 2 sono adempiute”. L’art. 2 è proprio quello relativo al conseguimento dei diversi quorum.
Alla luce di queste considerazioni e vista la particolare situazione chiedo al Consiglio di Stato:
1. Non ritiene opportuno che l’organismo che affronterà la richiesta di dichiarazione di obbligatorietà generale del contratto cantonale della vendita, con riferimento all’art. 11 della Legge federale, faccia capo a periti indipendenti?
2. Non ritiene che questa valutazione debba investire tutte le condizioni previste dagli art. 1 e 2 della Legge federale, in particolare il fatto che i negozi che sono già firmatari di un proprio CCL (in particolare la grande distribuzione – COOP, Migros, etc.) possano essere considerati come sottoposti al CCL visto che, la loro non è un’adesione al CCL, ma una semplice dichiarazione di adesione nella misura in cui nei loro CCL aziendali rispetterebbero “condizioni equivalenti”?
Interrogazione del Deputato MPS Matteo Pronzini al Consiglio di Stato del 16 febbraio 2017.