di Alberto Acosta*
Oggi** si vota in Ecuador. Un voto atteso anche in altri paesi del continente, e che commenteremo appena saranno noti i risultati. Ma è utile sapere che la scelta non è tra due opzioni radicalmente diverse, per il lento ma costante spostamento di Correa dalle posizioni originarie. Abbiamo scelto perciò un testo equilibrato e amaro di Alberto Acosta, che era stato l’ispiratore dei primi atti del governo di Correa e della Costituzione della “rivoluzione cittadina”. Sarà utile per comprendere un eventuale arretramento dei consensi, ma anche la portata non rivoluzionaria di una tenuta di un governo ormai molto lontano dal suo esordio. (Antonio Moscato)
Prima di concludere i suoi dieci anni di incarico, il presidente Rafael Correa ha concluso il ciclo, operando una svolta completa. Iniziò orientando la sua bussola in direzione contraria a quella allora predominante. I suoi primi passi, in coerenza con le sue dichiarazioni, furono post-neoliberisti, ma per strada mutò indirizzo.
Ha cancellato a poco a poco le sue origini “progressiste” – da non confondere semplicisticamente con socialiste. A poco a poco le sue misure si sono andate sintonizzando con impostazioni nel più puro stile “fondomonetarista”. E ora si identifica con visioni e pratiche neoliberiste, in seguito alla firma dell’ Accordo multilaterale con l’Unione Europea: né più né meno che il Trattato di libero scambio commerciale (TLC).
Ricordiamo brevemente gli avvii della gestione del governo di Correa. In linea con il piano di governo di “Alianza País” [Alleanza Paese] 2007-2011, elaborato nel 2006, Correa si impegnò a porre fine alla “sottomissione” dell’Ecuador a organismi come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Si sbarrarono le porte alle privatizzazioni. Accogliendo un’idea emersa dalla società civile si effettuò l’audit del debito pubblico, con il risultato di ridurne in maniera sostanziale l’interesse e renderne trasparente la gestione avvenuta nel corso dei 30 anni precedenti. Con l’iniziativa Yasuní-Itt [Vedi Correa e la foresta amazzonica: inquietanti conferme] – avviata parecchio tempo prima, sempre a partire dalla società civile – si propose la transizione verso un’economia non petrolifera; vale a dire: cominciare a trasformare l’impianto produttivo discostandosi dalla logica di un’economia basata sull’esportazione di materie prime. Si costruì anche un’interessante impostazione per partecipare ai negoziati commerciali con l’Unione Europea senza accettare la logica del Trattato di libero commercio.
Nell’Assemblea Costituente di Montecristi, in cui passò gran parte del processo proposto nel 2006, si ottennero anche rilevanti acquisizioni: ad esempio, impedire la flessibilizzazione neoliberista del lavoro; smantellare il mercato al ribasso delle concessioni minerarie; rafforzare la funzione dello Stato nell’economia. Su quest’ultimo tema qualche passo avanti lo si è fatto.
Certamente, i dieci anni di governo hanno chiuso con lo schema impostato agli inizi. Correa divenne semplicemente la guida di un processo che, cominciato allontanandosi dal neoliberismo, dopo un lungo e confuso percorso è semplicemente ritornato al punto di partenza, usando allo scopo la forza dello stesso Stato costruita in questo decennio. Perciò oggi potremmo forse dire che viviamo una sorta di “neoliberismo transgenico”, un neoliberismo ibrido che, senza smantellare lo Stato (e anche grazie al suo aiuto), cerca di rianimare l’accumulazione capitalistica con dure politiche neoliberiste, riadattate alla situazione attuale.
Di più, Correa, ormai da anni trasformato nel caudillo del XXI secolo, guida una “restaurazione conservatrice” che colpisce gli stessi strati sociali che agli inizi lo sostennero per farlo pervenire al potere. Il tutto, senza disinnescare il suo discorso “progressista”…
Estrattivista – Questo presidente ha realizzato i sogni neoliberisti mai raggiunti dai precedenti governi: imporre l’estrazione di minerali su grande scala. E lo ha fatto come lo fa qualsiasi governo neoliberista, dispiegando tutta una serie di violenze che si traducono in persecuzione, criminalizzazione e perfino assassinio dei dirigenti ostili all’estrazione dei minerali.
Correa è riuscito a fare storia capeggiando l’iniziativa Yasuní-Itt. Ma non è vero. Quest’iniziativa risultò così grande che alla fine Correa cedette alle pressioni delle società petrolifere e concesse l’autorizzazione allo sfruttamento del greggio nell’Itt. Permise anche di estendere il confine petrolifero nel Centro-Sud amazonico, in contrasto con l’impegno assunto da Alianza País nel 2006, volto a promuovere la moratoria petrolifera.
Questo governante sostiene le monocolture e gli agro-combustibili, una cosa che è l’opposto esatto di una strategia basata sulla sovranità alimentare. Ha anche respinto le richieste di riforma agraria dei contadini e degli indigeni, violando il mandato costituzionale. Consente inoltre che entrino in Ecuador sementi e si effettuino coltivazioni transgeniche – vietate dalla Costituzione-. Così, cedendo alle pressioni del TLC con l’Unione Europea, promuove l’approvazione di una legge in materia di semi che andrebbe a vantaggio di chi controlla le produzioni transgeniche, l’ormai nota “legge Monsanto”.
Fondomonetarista – Prima che scendessero i prezzi del petrolio nel 2014, Correa ritornò al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale. Ricercava il beneplacito del Fondo per piazzare buoni sul mercato finanziario internazionale. E, da allora, accelera l’indebitamento a condizioni sempre più onerose: alti tassi d’interesse e scadenze brevi, con inclusa la consegna dell’oro della riserva alla Goldman Sachs. Anziché essere un leader antisistema, Correa dovrà passare alla storia come il governante che ha contratto il maggior debito pubblico, e non in maniera trasparente. Lo si ricorderà anche come uno dei facilitatori affinché si imponga con forza soprattutto l’imperialismo cinese.
Privatizzatore – Correa registra nel proprio patrimonio la consegna di campi petroliferi ad imprese straniere (campo Auca a Schlumberger, campo Sacha a Halliburton), una cosa che Correa definiva, nel 2005, un “tradimento della Patria”. Potremmo anche aggiungere all’elenco la concessione per mezzo secolo – senza gara d’appalto – del Porto di Posorja a un’impresa del Dubai, e di Puerto Bolívar a una turca, in entrambi i casi con la compartecipazione di grandi gruppi imprenditoriali nazionali, ad esempio il gruppo Nobis. Altri dei gruppi che hanno guadagnato con il correismo (direttamente o indirettamente) sono Eljuri, Pronaca, La Favorita, fino alle principali imprese telefoniche Claro e Movistar e alle banche (ricordiamo che lo stesso Correa ha richiamato il fatto che nel suo governo le banche hanno ricavato i maggiori utili della loro storia).
Promuove le alleanze pubblico-private, che sono sostanzialmente un eufemismo per non chiamarle privatizzazioni. Citiamo, ad esempio, la privatizzazione di centrali idroelettriche costruite dallo Stato, la messa in vendita di distributori di benzina pubblici, l’alienazione del Banco del Pacifico e persino la privatizzazione dei programmi di alimentazione scolastica.
Vi sono altri processi di privatizzazione. meno noti ma non per questo meno rischiosi per l’interesse del paese. Ad esempio, la privatizzazione della Sanità attraverso convenzioni con cliniche e ospedali privati, che hanno anche comportato sovrapprezzi enormi che stanno ora emergendo. Si registrano tendenze privatizzatrici nell’ambito stesso dell’Istruzione.
Riformatore e repressore – Sebbene con Correa non siano stati adottati alcuni dei tipici pacchetti di riforme dei precedenti regimi neoliberisti, possiamo però aggiungere tutta una serie di misure che hanno colpito e reso più deboli i settori popolari. Conclusa la bonaccia petrolifera, si è ritornati alla vecchia pratica di approvare infimi aumenti dei salari di base unificati. Inoltre, con il pretesto del terremoto di Manabí, Correa ha aumentato l’IVA, un’imposta regressiva, ed anche recessiva ma di facile esazione, con il fine ultimo di mitigare gli effetti della crisi nel settore pubblico.
Vanno ricordate poi le riforme che hanno reintrodotto la flessibilità del lavoro, misure che erano state in gran parte soppresse dall’Assemblea Costituzionale di Montecristi.
L’elenco comprende l’approvazione dei decreti 016 e 732 sul controllo delle organizzazioni sociali e della società civile; e del decreto 813, per disciplinare il pubblico impiego ricorrendo al patteggiamento di dimissioni obbligatorie, oltre ad altre disposizioni che limitano l’organizzazione sindacale.
In sintesi, Correa ha istituito un clima di propaganda permanente e di intimidazione per sostenere e combattere le crescenti proteste popolari. Ha creato organizzazioni sociali parallele (studentesche, sindacali, indigene, ecc.) sue ed affini al governo, cercando di indebolire quelle che gli si oppongono. Ha ristretto la libertà d’espressione, incluso con processi a giornalisti critici che hanno svelato atti di corruzione del governo.
Ciliegina – Comunque, la ciliegina sulla torta è la firma dell’Accordo multilaterale con l’Unione Europea.
Ricordiamo che il governo di Correa, raccogliendo la lotta e il mandato di svariati strati sociali, si impegnò inizialmente a non lasciar passare alcun Trattato di libero commercio (TLC). Ad esempio, nel piano di governo 2007-2011, scritto nel 2006, di Alianza País si decise di “battersi contro i processi animati dai meschini interessi delle mafie corporative a detrimento della maggioranza degli ecuadoriani, come il cosiddetto (mal detto!) Trattato di libero commercio, che è una proposta di vera e propria rapina della vita stessa, in quanto preannuncia l’approfondimento del modello neoliberista e la crescente sottomissione dell’essere umano al potere monopolistico del capitale e alle multinazionali, minacciando per giunta le possibilità di un’integrazione regionale al Sud”.
All’epoca si dichiarava anche che “tramite la democrazia attiva [partecipativa] – con tutte le consulte popolari eventualmente necessarie – si affronteranno questioni cruciali quali il TLC”. Soffiano venti di cambiamento. All’orizzonte si profilava la democrazia.
Si impose il “pragmatismo”. Vinsero le mafie corporative.
Con il TLC concesso all’Unione Europea, senza entrare in ulteriori dettagli, vogliamo intendere che si rafforzerebbe la condanna dell’Ecuador come produttore ed esportatore di materie prime. Questo fiaccherebbe qualsiasi strategia di trasformazione produttiva del paese e, sicuramente, ancor più le prospettive di costruire il “buen vivir”, o sumak kawsay, (ridotto dal correismo a mero feticcio al servizio del suo processo di ricostruzione di un’egemonia).
In questo finisce la oggi (mal)definita “rivoluzione cittadina”, che ha ben presto perso l’aspetto “cittadino” e smesso di essere realmente rivoluzionaria, fin dal momento stesso in cui il processo passò a dipendere da un caudillo, vale a dire poco dopo l’inizio. Le lancette dell’orologio, cominciate a sinistra, marciano irrimediabilmente verso destra.
* Economista. Figurò tra i redattori dell’iniziale piano di governo di Alianza País e tra gli ideologi della “rivoluzione cittadina”. Fu ministro di Energia e Miniere di Correa e poi presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente, dopo essere stato il deputato più votato a quest’organo. Rinunciò nel 2008 e da allora denuncia i “tradimenti” del “correismo” rispetto ai postulati degli inizi. Di Alberto Acosta il sito Movimento operaio ha pubblicato diversi testi, facilmente rintracciabili col tasto CERCA SUL SITO.
**articolo del 7.2.2017