di Sofia Ferrari
Dopo un lungo dibattito, alla fine il Parlamento federale ha adottato la cosiddetta riforma previdenza vecchiaia 2020 (PV2020), presentata quasi due anni fa dal consigliere federale Berset e oggetto di numerose proposte, controproposte, accordi e disaccordi oggetto di discussioni per lunghi mesi.
La sceneggiata prima di tutto…
Come ci si poteva attendere, e nella più pura tradizione elvetica, il dibattito è stato presentato come uno scontro “muro contro muro”; da un lato i “difensori” dei pensionati, dall’altro i rappresentanti di coloro che difendono gli interessi del padronato. E non sorprende, come sempre, che alla fine abbia prevalso una soluzione che rappresenta di sicuro un passo indietro per i salariati (futuri pensionati); una soluzione che, tuttavia, viene presentata come un “buon” compromesso da una parte come un “pessimo” compromesso dall’altra. Ma la formula del “compromesso” serve soprattutto a una parte della destra per far passare l’idea che abbia concesso qualcosa; e alla sinistra socialiberale per vendere l’idea che quello accettato è, come sempre, “il male minore”, altrimenti ci si potrebbe attendere ben peggio…
Già li vediamo accusare gli oppositori del “compromesso” di fare il gioco della destra. E mentre lanciano queste accuse difendere questo progetto assieme a Dadò, Lombardi, Quadri e Pantani…
Tutti, o quasi, d’accordo
In realtà, ed è per questo che parliamo di sceneggiata, la discussione non ha mai affrontato i temi di fondo: e cioè per quale ragione si dovesse procedere di fatto ad una diminuzione delle prestazioni, sia di quelle AVS (attraverso l’aumento dell’età AVS per le donne da 64 a 65 anni) sia di quelle del secondo pilastro (LPP) attraverso la diminuzione del tasso di conversione dal 6,8% al 6%.
Ora, al di là di generici e per nulla dimostrati allarmi (ricorrenti), la necessità di questi peggioramenti non è praticamente mai entrata nel vivo del dibattito. Molto presto tutti si sono accodati all’idea che questi mutamenti fossero necessari per salvare il “sistema pensionistico”.
Tanto per fare un esempio: tutti ormai concordano sull’idea che questi mutamenti siano necessari per rispondere alle cosiddette “sfide demografiche”, in particolare all’aumento della speranza di vita e quindi della vita da pensionati dei salariati.
Naturalmente nessuno ricorda che l’attuale sistema dei tre pilastri, ed in particolare il secondo pilastro, venne creato (due generazioni fa) con l’idea che avrebbe permesso proprio di dare una risposta efficace al problema dell’invecchiamento della popolazione.
In altre parole ai salariati l’alternativa proposta è chiara: o accettate il peggioramento della vostra condizione di pensionati, salvando così il “sistema”, oppure il sistema “esploderà” e saranno dolori ancora più grandi. Non è lasciata, evidentemente, la possibilità di riflettere a modifiche in profondità del sistema, ad esempio con un rafforzamento reale del primo pilastro, un cambiamento che possa garantire pensioni che permettano di vivere bene.
Pensioni, cioè salario
Per affrontare in modo adeguato la discussione su qualsiasi riforma delle pensioni vi è un aspetto che non va dimenticato: le pensioni altro non sono che salario. Differito, certo, ma sempre salario. E, altro dato da non dimenticare, il salario altro non è che una parte della remunerazione del lavoro prestato: l’altra parte appropriata dal datore di lavoro sotto forma di profitto. Possiamo quindi affermare, e ricordare, che tutto quanto si trasforma nei cosiddetti “oneri sociali” altro non è che ricchezza prodotta dal contributo del lavoratore al processo di produzione e di distribuzione (il suo lavoro). Anche la cosiddetta “parte padronale” degli oneri sociali è prodotta dal contributo dei lavoratori al processo complessivo di creazione di ricchezza. In questo senso dobbiamo quindi ricordare che l'”offensiva” padronale sulle pensioni, che investe da anni la Svizzera così come altri paesi capitalistici, rientra nell’offensiva più generale sui costi di produzione, tesa a mantenere e aumentare il tasso di profitto. Una discussione sulle pensioni, in questa come in altre fasi storiche, deve quindi essere sempre ricondotta non ad una discussione generica di “politica sociale”, ma al confronto di fondo tra capitale e lavoro all’interno del capitalismo.
Rafforzare l’AVS, per davvero!
Un referendum contro la riforma della previdenza vecchiaia 2020 non può essere che condotto all’insegna del rafforzamento dell’AVS. Una battaglia, tra l’altro, appena condotta dal movimento sindacale e dallo stesso PSS: forze che affermavano fino a pochi mesi fa che un aumento delle rendite (di tutti e di tutte) mediamente di 200 franchi per le persone sole e di 350 per le coppie (la proposta di AVSplus) era il minimo indispensabile necessario, di fronte ad un’assicurazione come l’AVS che negli ultimi decenni non ha subito, a livello di rendite, miglioramenti significativi, anzi.
Ora appare evidente che sia le misure previste di aumento delle rendite (i famosi 70 franchi al mese – 840 franchi l’anno), sia altre misure quali l’aumento del limite della rendita massima per coniugi dal 150 al 155% del rendita massima individuale non riusciranno a “compensare” la diminuzione del tasso di conversione dal 6,8% al 6%, misura pure prevista da questa riforma. Certo, contabilmente lo potranno fare, ma se la rendita del secondo pilastro è una rendita di miseria, in nessun modo tale da formare, unitamente alla rendita AVS, quella soglia di reddito che il sistema pensionistico, persino secondo il dettato costituzionale, dovrebbe garantire.
A questo proposito Filippo Lombardi si è cimentato, in un recente dibattito televisivo, in una spiegazione che voleva essere pedagogica, illustrando l’esempio di una rendita LPP che parte da un avere di vecchiaia di 100’000 franchi. Ha spiegato Lombardi che il passaggio del tasso di conversione dal 6,8% al 6% avrebbe comportato una diminuzione di questa rendita annuale di 6’800 franchi ai 6’000 (circa il 12%): una differenza di circa 800 franchi, proprio la somma che viene compensata dall’aumento di 70 franchi mensili prevista per le future rendite AVS.
Naturalmente Lombardi si è dimenticato di sottolineare che una situazione del genere corrisponde ad una rendita mensile di 500 franchi: che, per non far morire di fame il pensionato, dovrebbe essere compensata da una rendita AVS stratosferica, ben al di là di qualsiasi rendita massima…Se poi il calcolo lo si facesse partendo da un avere di vecchia che garantisse una rendita media del 2° pilastro (per le donne è di 1’400 franchi, per gli uomini di 2’600 franchi mensili) allora vedremmo immediatamente che la “compensazione” tale non è…
In realtà questo ragionamento della compensazione va radicalmente rifiutato. Oggi il secondo pilastro dimostra tutta la sua natura truffaldina. Sono passati più di quarant’anni dalla sua accettazione e una trentina dalla sua messa in pratica: un tempo sufficiente per un giudizio storico negativo senza appello. Oggi più che mai esso continua ad essere una fonte di finanziamento per le grandi compagnie assicurative e per le banche, foriero di guadagni sui mercati dei capitali, ma il cui “reddito” in termini pensionistici tende ad azzerarsi. Un pilastro il cui destino è quello di crollare. E non saranno certo le “riforme”, avanzate da chi difende il “compromesso” approvato (in particolare con la diminuzione delle quota esente) a migliorarne le sorti. Il limite di reddito è certo abbassato, ma le rendite che matureranno da queste contribuzione rischiano di essere somme assolutamente inguardabili.
Per questa ragione il lancio di un referendum (al momento in cui scriviamo una parte del mondo sindacale sembra orientato in questa direzione) deve essere l’inizio di una campagna per un’alternativa alla falsa alternativa posta dai fautori del “compromesso” e di cui abbiamo parlato in entrata. Il No alla riforma della previdenza vecchiaia 2020 deve essere l’inizio di una lunga lotta per la costruzione, attorno al solido pilastro dell’AVS, di un vero modello di sicurezza sociale della quale questo paese comincia ad avere un urgente bisogno.