Tempo di lettura: 5 minuti

di Matteo Pronzini*

I recenti fatti di cronaca che hanno coinvolto la Argo 1 SA, a cui è stata affidata la sorveglianza delle strutture aperte per richiedenti l’asilo di Peccia e Camorino, sollevano interrogativi in merito all’accompagnamento di cui disponevano i richiedenti in queste strutture.

Uno dei dipendenti della Argo è stato arrestato con le accuse di usura, sequestro di persona, atti di violenza nei confronti di almeno un richiedente l’asilo, oltre che di varie infrazioni nel pagamento dei salari. Stando agli organi di stampa la violenza sarebbe avvenuta circa un mese fa e la vittima sarebbe minorenne.

Non è chiaro perché richiedenti l’asilo minorenni siano stati ospitati a Camorino e Peccia quando esistono strutture apposite gestite dalla Croce Rossa ticinese che operano su mandato del Cantone.
“Abbiamo deciso di orientarci verso i foyer – ha dichiarato la responsabile del Servizio richiedenti l’asilo Carmela Fiorini a proposito dell’apertura del centro di Arbedo-Castione (Quotidiano, Rsi, 04.01.2017) – dove il fatto di poter condividere con altri ragazzi che hanno avuto un vissuto simile la propria esperienza di vita può dare dei risultati di integrazione maggiori”. Come ha ricordato di recente anche il DSS, ai richiedenti l’asilo minorenni non accompagnati al beneficio della protezione dell’asilo viene concesso di rimanere sul territorio a tempo indeterminato, ed è per questo che è importante fare i modo che si integrino, in particolare dando loro la possibilità di inserirsi in una scuola.

Chiedo pertanto al Lodevole Consiglio di Stato:

1. A chi è stato affidato il mandato dell’accompagnamento sociale dei richiedenti l’asilo nelle strutture di Camorino e Peccia?
a. Quali figure professionali sono/erano presenti in loco e per quante ore la settimana?
b. A chi si possono rivolgere i richiedenti in caso di problemi?

2. A quando risale il caso di violenza ai danni di un richiedente?
a. Quando è stato denunciato e da chi?
b. Il dipendente accusato è stato allontanato in attesa che le accuse venissero verificate?
c. Sono stati segnalati altri casi di maltrattamenti a Peccia e Camorino?

3. Quanti richiedenti l’asilo minorenni non accompagnati sono stati ospitati a Camorino e Peccia?
a. Perché non sono stati ospitati nelle apposite strutture della Croce Rossa?
b. I minorenni non accompagnati ospitati a Camorino e Peccia hanno avuto accesso all’istruzione durante il loro soggiorno?

4. Nel febbraio del 2016 i media hanno riportato che una quindicina di richiedenti l’asilo eritrei si era messo in marcia dal Piano di Peccia (Lavizzara) verso Bellinzona, con l’intento di protestare per il sentimento di isolamento. L’episodio è stato confermato dal sindaco di Lavizzara Michele Rotanzi che avrebbe dichiarato: «Queste persone volevano andare a Bellinzona per lamentarsi. Eppure si trovano in un bel posto, non in un bunker». In quell’occasione qualcuno che si occupava dell’accompagnamento ha interrogato i richiedenti in questione per capire le loro rimostranze?
a. Erano unicamente legate al clima come riportato dai media?
b. Chi li ha fermati e riportati a Peccia? Sono state espresse lamentele sul comportamento di uno o più agenti della Argo 1 SA?
c. C’era una persona di riferimento al quale i richiedenti potevano rivolgersi in loco o per telefono per le loro rimostranze?
d. L’hanno fatto?
e. Corrisponde al vero che nel gruppo che è partito a piedi diretto a Bellinzona vi erano anche 4 minorenni non accompagnati?

5. Secondo alcune testimonianze rilasciate al portale tio.ch1) anche alcuni abitanti di Lavizzara si erano accorti dei modi “poco ortodossi” del dipendente della Argo accusato di violenze. Secondo quanto riportato, l’uomo avrebbe usato più volte frasi spregiative nei confronti dei migranti. “Una volta li aveva lasciati per due ore sotto la stecca del sole, senza alcun motivo”, ha raccontato un testimone al portale. Pare inoltre che l’uomo ora agli arresti non distribuisse a tutti i richiedenti la somma di 3 franchi al giorno per spese personali e spostamenti come da disposizioni. Un altro testimone ha dichiarato: «Che io sappia, alcuni strani comportamenti di (…) erano già stati segnalati da alcuni cittadini alle autorità cantonali».
Sono giunte segnalazioni alle autorità comunali e cantonali in merito al comportamento del dipendente della Argo 1? Se sì, sono state verificate?

6. Nel febbraio del 2016 l’etnologopedista Francine Rosenbaum aveva pubblicato una lettera aperta intitolata “Dov’è Elyas? La sua Odissea non è finita !”2) in cui chiedeva che fine avesse fatto un richiedente l’asilo minorenne non accompagnato inviato a Peccia. Quale tipo di accompagnamento ha ricevuto il ragazzo a Peccia e quali misure sono state adottate per favorire la sua integrazione?
a. Chi ha deciso il trasferimento?
b. Durante il suo soggiorno ha potuto continuare a frequentare una scuola?
c. Trasferire un ragazzo che si da alla fuga in una struttura aperta è stato benefico? Dove si trova ora Elyas ed eventualmente da quali altre strutture è passato?

*Interrogazione al Consiglio di Stato del Deputato MPS Matteo Pronzini del 26 febbraio 2017.

1) http://www.tio.ch/News/Ticino/Cronaca/1132803/Il-comandante-e-il-buono-attivi-anche-al-Piano-di-Peccia

2) Lettera aperta
Dov’è Elyas? La sua Odissea non è finita !
Venerdì 26 febbraio, nell’Aula Magna della Scuola di Commercio di Bellinzona, 4 allievi della 3° Media, aiutati dalle maestre Sultan Filimci e Romina Mengoni, ci hanno narrato L’Odissea di Elyas. Loro compagno di classe quindicenne giunto dall’Eritrea a Bellinzona. Ma Elyas non c’era e nessuno ha parlato del motivo della sua assenza.
I ragazzi raccontano il suo periplo lungo un anno per tentare di ritrovare suo padre disertore dall’esercito eritreo. Non avendolo riacciuffato, la polizia ha arrestato la madre di Elyas in rappresaglia, rinchiudendola in prigione dov’è tutt’ora. Con un coetaneo, Elyas riesce a fuggire dall’Eritrea. Arriva in un campo di profughi in Etiopia dove per settimane chiede invano agli altri fuggiaschi se sanno dove sia finito il padre. Va in un secondo campo, poi in un terzo dove qualcuno gli dice che il padre è fuggito in Sudan per tentare di raggiungere l’Europa.
Allora il ragazzino Elyas si aggrega a un gruppo di esuli che affrontano il deserto del Sudan fino alla capitale. Sopravvissuto a questa seconda tappa, a Khartum viene aspirato dal vortice dei passatori. Elyas ha uno zio emigrato in Israele al quale i passatori estorcono un primo riscatto per trasportarlo in Libia. In questo terzo periplo, sopravvive alla fame, alla sete e alle razzie dei predoni beduini del deserto che rapiscono gli esuli giovani per ucciderli e venderne gli organi alle cliniche occidentali. In Libia altri passatori estorcono un nuovo riscatto allo zio per farlo salire su un barcone che riesce a non affondare nel Mediterraneo prima di raggiungere la costa italiana.
Con altri minori Elyas fugge dal centro di accoglienza, incontra due autisti di bus che li trasportano fino a Roma. Non sappiamo come sopravvive a Roma nè come arriva a Milano dove altri passatori, ancora una volta, estorcono soldi allo zio per farlo arrivare a Chiasso.
Nel nostro paese, il paese dei valori umani svizzeri, Elyas passa 3 mesi rinchiuso nel centro di richiedenti asilo di Chiasso. Si viene a sapere che ha un famigliare nella Svizzera romanda ma non gli viene permesso di raggiungerlo. Viene invece trasferito all’Istituto Von Mentlen a Bellinzona dove, oltre ad essere fisicamente accudito, può andare a scuola. Per alcuni mesi, grazie al competente sostegno delle sue due insegnanti e allo spontaneo calore umano dei compagni di classe, Elyas, che parla solo il tigrigno, riesce ad acquisire sufficienti parole per abbozzare con i suoi compagni una tenue traccia della sua Odissea.
Ma ha un chiodo fisso: vuole un cellulare per comunicare via skype con le sorelle rimaste in Eritrea e vuole lavorare per rimborsare lo zio che gli ha salvato la vita. Elyas, l’adolescente sopravvissuto e traumatizzato da un mondo di adulti folli, non si fida più di nessuno, manifesta delle turbe di comportamento, non rispetta le regole dei centri e scappa per ritrovare il famigliare o qualche membro della sua comunità di origine in Svizzera.
Per queste ragioni viene punito. La punizione istituzionale, che invoca lo scopo di insegnargli i nostri valori e costringerlo a integrarsi, è di trasferirlo di centro in centro. Ora Elyas è al Piano di Peccia, in cima alla Val Lavizzara, isolato dal mondo e dalla scuola, privato anche dalla possibilità di comunicare con qualsiasi persona umanamente significativa per lui.
Questa misura, applicata in nome dei nostri valori anche ad altri minori senza nessun legame famigliare e traumatizzati da un viaggio terrificante che presentano ovvie turbe del comportamento, costituisce un inequivocabile maltrattamento istituzionale misconosciuto dalla nostra società civile. Questa misura avrà delle gravissime conseguenze patogene che sfoceranno nell’auto- e nell’eteroagressione. La mancanza di un accompagnamento psicoeducativo qualificato e intensivo è deontologicamente indegna. Come operatori dei settori psicologici, educativi, sanitari e sociali dobbiamo reagire e non doverci vergognare e poi scusare 50 anni dopo della nostra complice indifferenza!

Mendrisio, 27 febbraio 2016

Francine Rosenbaum, Etnologopedista

http://www.etnoclinica.ch