di Gianni Mazzola
Sfogliando le prime pagine (pp. 2-3) dell’ultimo numero del 9 febbraio de “il Lavoro”, giornale dell’Organizzazione cristiano-sociale ticinese (OCST), ci si imbatte in tre articoli che parlano di politica sindacale cantonale: un articolo sulla vicenda della Südpack, un altro sul CCL della vendita, un terzo su un CCL per i dipendenti della forse futura AIM SA (Aziende industriali di Mendrisio).
I tre articoli e le posizioni che vi sono difese sono sintomatiche di un sindacalismo concertativo in crisi, impegnato soprattutto ad accompagnare, più che combattere, il dumping salariale e sociale in atto nel nostro cantone. Un sindacalismo che non parte dalla difesa degli interessi dei salariati, ma dal tentativo di gestire solo i propri interessi burocratici, preoccupato soprattutto a farsi riconoscere come partner sociale in una logica concertativa e ad incassare quote sindacali (in particolare grazie ai contributi professionali fissati nei CCL) costi quel che costi.
Nel primo articolo, il segretario regionale del Luganese, Giovanni Scolari, si lamenta dell’atteggiamento effettivamente scandaloso della Direzione della Südpack che sta tentando di sostituire il Contratto collettivo aziendale con un Regolamento aziendale. Per fare questo evidentemente l’azienda ha fatto pressione sui lavoratori. La posizione di difesa di un CCL aziendale a fronte di un Regolamento aziendale (di natura diversa e molto meno tutelante) da parte dell’OCST è sacrosanta. Ma il problema si pone invece quando cerchiamo di rispondere alla domanda: come si è arrivati a questo punto? Come si è creata una situazione di ricattabilità tale dei salariati in un’azienda dove il sindacato, apparentemente e visto che è fdovrebbe essere presente e ben radicato? Dov’era il sindacato negli ultimi anni?
Nel secondo articolo si parla invece della procedura di sottoscrizione di un CCL vincolante per tutto il settore della vendita. In questo caso, al di là del contenuto dell’articolo stesso, quello che preoccupa è la logica di ricerca ossessiva di una forma contrattuale collettiva in questo settore. Un settore dove esistono già diversi contratti collettivi (Migros, Coop, Aldi, etc.) e anche Regolamenti Aziendali (Manor) che garantiscono in genere delle condizioni di lavoro non certo spettacolari, ma che offrono a tutti i collaboratori dei salari minimi che si avvicinano o superano i 4’000.—mensili per 13 mesi. Ebbene nel CCL proposto nella vendita si parla di un salario minimo di fr. 3’200.–. La domanda che sorge spontanea è la seguente: l’istituzionalizzazione di un contratto collettivo vincolante di settore dove si presenta come “salario legale e legittimo” un salario di diverse centinaia di franchi inferiore ai salari di riferimento nei principali datori di lavoro del cantone (e nazionali) del settore che effetto avrà a termine? La risposta è chiara e si chiama dumping salariale, perché il riferimento generale del salario di una venditrice in Ticino non sarà più il salario che riceve una commessa della Coop o di Aldi, ma quello che fissato dal CCL del settore, che aspira anche ad essere decretato di obbligatorietà generale e quindi ad assurgere a statuto di disposizione di “legge”.
Nel terzo caso, quello delle AIM di Mendrisio, le cose vanno addirittura peggio. Qui siamo confrontati a dei salariati che attualmente sono dei funzionari pubblici comunali (sottostanti al Regolamento Organico Comunale) e che potrebbero perdere questo loro statuto (fondamentalmente più tutelante in quanto legge di qualsiasi CCL), a causa del tentativo di privatizzazione delle AIM, contro la quale è stato lanciato un referendum (cfr. pag. 2)
Ebbene, l’OCST, invece di difendere delle Aziende Industriali pubbliche e, soprattutto, lo statuto di dipendente pubblico comunale per i lavoratori delle AIM, si è lanciato sciaguratamente nel negoziato di un CCL con il Municipio, ancora prima che il morto fosse freddo (in realtà non è nemmeno ancora morto).
Il nostro cantone ha disperatamente bisogno del ritorno di un sindacato combattivo, presente sui luoghi di lavoro e che possa fungere da bussola per i lavoratori e le lavoratrici di questo cantone che da anni sono l’oggetto di continui attacchi padronali e delle politiche neoliberiste. Ma per fare questo deve esser anche affrontato il nodo del ruolo dei CCL che non sono, in quanto tali, strumenti di progresso per i salariati. Essi cristalizzano un rapporto di forza che può essere anche sfavorevole ai salariati. E quindi offrire condizioni pessime o peggiori di quelle precedenti.
Con l’aggravante che, fissando anche spesso, regolamentazioni di pace del lavoro, rappresentano uno strumento di freno per i salariati che volessero difendere e migliorare le proprie condizioni di salario e di lavoro.