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di Léon Crémieux*

Si sapeva che il 2017 sarebbe stato focalizzato a livello politico sulla preparazione dell’elezione presidenziale. È vero per più ragioni, ma questa focalizzazione, mediatica all’eccesso, rivela anche la crisi generale dei partiti istituzionali e delle istituzioni nel complesso e l’abisso che separa i notabili del PS e di LR (Les Républicaines) da quelle e quelli che dovrebbero rappresentare. Anche la sua dinamica rischia, probabilmente, di sfuggire al rituale del soffocamento del movimento sociale.

La caduta consecutiva di François Hollande e Manuel Valls è la prima manifestazione di questa crisi. Che il presidente uscente sia nell’incapacità di rappresentarsi e che il primo ministro abbandoni le primarie a favore di un candidato legato alla fronda (Benoît Hamon) è il vero bilancio di questo quinquennio per il PS: essere riuscito a sprofondarlo nella più profonda crisi dalla sua creazione.
Sul fronte dell’UMP (ribattezzato LR), il quadro non è più brillante. Mentre l’elettorato reazionario si è spostato in massa per eliminare Sarkozy ed eleggere un Mastro Lindo (François Fillon) che gioca sul tradizionalismo cattolico e l’onestà, la rivelazione (attraverso il Canard Enchaîné) di un’appropriazione indebita di fondi pubblici di 900’000 euro lordi, di due impieghi fittizi nella Revue des deux mondes (controllata dal miliardario Marc Ladreit de Lacharrière, vicino a Fillon), dell’impiego lautamente pagato dei suoi figli studenti (dapprima presentati come avvocati), dei suoi quindici conti bancari (da quello che sappiamo ad oggi…) ha appena compromesso pesantemente la presenza di Fillon al secondo turno delle presidenziali; ha inoltre messo in questione il mantenimento della sua candidatura.

•”L’affaire Pénélope Fillon” è rivelatore soprattutto di due cose:
1° Il loro mondo non è il nostro! I dirigenti politici considerano nella maggior parte dei casi che le casse dello Stato siano a loro disposizione e che possano usare i soldi pubblici come usano le loro auto di rappresentanza. Gli stessi che sono fautori o sostengono tutti gli attacchi sociali contro le lavoratrici e i lavoratori, tagliando tutti i sistemi di redistribuzione, giustificando tutti i licenziamenti e insorgendo contro le indennità per i disoccupati, lasciando nella miseria sempre più famiglie popolari, considerano normale servirsi generosamente nelle casse. Comportamento di classe di una plutocrazia che si stupisce anche che le si chieda di rendere conto. Fillon e i suoi amici non sentono nemmeno il bisogno di giustificare una remunerazione equivalente a più di 40 anni di salari di uno smicard (lavoratore a salario minimo intercategoriale -SMIC- ndt.) per qualcuno che avrebbe “aiutato” e “sostenuto moralmente” suo marito. Senza parlare dei 100’000 euro per qualche riga di critica letteraria… Questo livello non li colpisce, perché vivono in un mondo completamente staccato dall’immensa maggioranza della popolazione.
2° Notiamo, d’altronde, che dopo le rivelazioni del Canard e gli articoli di Mediapart, i responsabili politici evitano accuratamente qualsiasi linciaggio, malgrado ciò di cui si lagna François Fillon. Poiché, queste “rivelazioni” fanno luce, al di là del fatto che piove sul bagnato, sul funzionamento di un sistema politico che incoraggia questi versamenti finanziari. I deputati beneficiano di una remunerazione scandalosa e di 10’000 euro al mese a loro disposizione per i loro collaboratori. I senatori di destra attingono da anni a un salvadanaio, conosciuto da tutti.
Questi sistemi, nepotistici o meno, favoriscono tutti gli eletti del Parlamento. Fino a Nicolas Dupont-Aignan (di Debout la France) e al Front national (FN), silenzioso quanto gli altri, con Jean-Marie Le Pen che afferma anche il suo sostegno a Fillon. Il Front national ha una procedura aperta nei suoi confronti, il Parlamento europeo esige il rimborso di 300’000 euro che sarebbero serviti a pagare dei permanenti del FN. Più del 20% dei deputati (di tutti i gruppi) impiegano come assistenti membri della loro famiglia, per funzioni reali o no.
Ciò rafforza le esigenze democratiche elementari: la soppressione del Senato, assemblea di notabili eletta da notabili e l’abolizione di una remunerazione dei deputati al livello di 12’000 euro mensili (senza contare i 9’561 euro in dotazione per i collaboratori).

• A meno di tre mesi dalle Presidenziali, i Repubblicani non hanno altra scelta se non alzare le spalle, “resistere”, cercando di soffocare lo scandalo, temendo di essere costretti a organizzare nuove primarie che rischierebbero di essere catastrofiche. È d’altronde evidente che nessuno degli avversari diretti di Fillon getterà benzina sul fuoco, perché è tutto il funzionamento del sistema parlamentare della Va Repubblica a essere messo in questione da una pratica formalmente legale. Questa collusione è però minata dalla continuazione della procedura giudiziaria e dalla pressione delle rivelazioni mediatiche del Canard [1].

• La crisi del PS è ormai aperta. Le primarie della sinistra traducono un elettorato chiaramente tagliato in due, con l’ago della bilancia che pende nettamente verso Benoît Hamon con il voto dei giovani, degli operai e salariati e degli elettori ecologisti e del Front de gauche. Un voto anti Valls, che è sanzione contro le leggi Macron, El Khomri, il ritiro della nazionalità e lo Stato d’urgenza. Dall’altro lato, però, tanto il piazzamento del voto per Valls, quanto le reazioni dopo lunedì 30 gennaio mostrano bene che il crollo politico all’interno della socialdemocrazia è ormai in corso. Hamon rappresenta, all’interno del PS, la corrente della mozione B che aveva fatto meno del 30% in occasione dell’ultimo congresso di Bourget nel 2015, una resistenza che ha polarizzato la speranza di mantenere il PS nella sinistra socialdemocratica tradizionale, né più, né meno. Concretamente, la scelta di Hamon marca, per i suoi elettori, il rifiuto dell’orientamento Hollande-Valls, l’orientamento social-liberale assunto dall’essenziale dell’apparato, che vuole evolvere verso la costruzione di una forza repubblicana-democratica a immagine del Partito democratico di Matteo Renzi. Questa resistenza dell’elettorato del PS può evidentemente essere paragonata al voto per Jeremy Corbyn nel Labour o alla polarizzazione di Sanders in occasione delle primarie del Partito democratico negli Stati Uniti.
Di nuovo, ancora più che in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, la musica è più forte delle parole. Certo, B. Hamon accentua la reticenza sul prolungamento dello Stato d’urgenza, sul rifiuto del NDDL (aeroporto di Notre-Dame- des-Landes), sulla chiusura delle centrali nucleari, sul controllo degli OGM, sul miglioramento dell’RSA per i giovani, sul rifiuto di stigmatizzare i musulmani e sul divieto del velo. Così facendo, sorvola su tutta una serie di esigenze sociali e democratiche che attraversano le classi popolari. In questo, d’altronde, il profilo di Hamon raggiunge quello di Mélenchon (… velo a parte!), anche se quest’ultimo è più repubblicano e gioca sul profilo dell'”uomo della provvidenza”. Vedremo cosa ne sarà di questa coabitazione elettorale contraddittoria di cui Mélenchon dovrebbe patire, soprattutto se il PCF gli fa pagare la sua arroganza con l’obbligo, dettato dalla France insoumise (FI) al PCF, di passare sotto le sue forche caudine.

• All’apparato del PS e ai suoi eletti si pone ormai un grosso problema. Soprattutto con le peripezie di Fillon, Emannuel Macron (En Marche) sembra in grado di qualificarsi per il secondo turno. Da una parte, Hamon ha tutto l’interesse ad affermare una campagna identitaria di sinistra, intaccando l’elettorato di Mélenchon ed ecologista, smarcandosi dal bilancio Hollande-Valls. Dall’altra, però, la sua candidatura non solo è in rottura con l’orientamento della maggioranza del PS, ma inoltre non è qualificata per il secondo turno in nessun sondaggio. Prende dunque in contropiede a doppio titolo l’apparato e la maggioranza degli eletti. Soprattutto alla luce del fatto che la logica presidenziale, instaurata dal 2002, fa delle presidenziali la rampa di lancio per le legislative. In generale, il gruppo PS (295 deputati) rischia di conoscere la sorte che ebbe nel 2002, dopo la cacciata di Lionel Jospin e la rielezione di Chiraq: 141 deputati. In pratica, la scomparsa di un deputato su due!
Un certo numero di deputati PS stanno disertando per Macron, che chiude lentamente le passerelle, pur avendo la sua campagna strutturata da diversi notabili del PS come Richard Ferrand (deputato nel Finistère) e Gérard Collomb (sindaco di Lione dal 2001 e presidente della metropoli di Lione dal 2015). Il polo riformatore (Gilles Savary, deputato della Gironda…) chiama a mettersi da parte nel partito e alcuni di loro si uniranno alla campagna di Macron. Questa scelta, tuttavia, difficilmente può essere quella dell’apparato del partito e dei suoi principali dirigenti. Il PS è una struttura, un partito che non può fondersi nella campagna di Macron, così come questa è costruita. Inoltre, il rigetto del candidato legittimamente emerso dalle primarie da parte della direzione sarebbe un fattore di esplosione totale.
Il centro del partito, navigherà dunque tra questi scogli e cercherà di sanare la spaccatura: cercherà di pesare sulla campagna di Hamon, di conciliare il sostegno agli ultimi mesi del governo Cazeneuve e il “sostegno” al candidato del partito, di calmare la “fronda di destra”, chiudendo al contempo gli occhi su chi farà la campagna Macron per le presidenziali, cercando nello stesso momento di mantenere la mano sulle investiture per le legislative. Esercizio pericoloso il cui svolgimento sarà incerto [2].

• In tutta questa descrizione, una cosa è sicura: gli apparati e i candidati dei due partiti tradizionali della Va Repubblica, PS e LR, ex UMP, si avvicinano a questa “importante” elezione in posizione di crisi. E questa crisi, nei suoi due riflessi simmetrici, manifesta il discredito, l’usura dei partiti istituzionali, gestori di politiche di austerità. A tal punto, che tutti i candidati si autodefiniscono “fuori dal sistema”, o “antisistemici”. Fillon e Hamon hanno beneficiato, per la loro designazione, di questo rigetto degli uscenti più consumati (Sarkozy, Juppé, Valls e Montebourg).
Evidentemente, questo esprime un’assoluta impostura, perché sia Fillon che Hamon sono ex ministri (come Mélenchon), politici professionisti del sistema; gli scandali delle prebende parlamentari che colpiscono Fillon ne sono l’ultima manifestazione.
Macron ha il paradossale statuto di candidato fuori partito ed esonerato dal bilancio di Hollande, mentre è ormai il solo a portare l’essenziale del bilancio dei governi socialisti: Segretario generale aggiunto della Presidenza dal 2012, alla base del CICE (Credito d’imposta per la competitività e l’impiego) e del Patto di responsabilità (del dicembre 2013, che si riassume in “meno carichi” contro “più assunzioni”), poi Ministro dell’Economia che ha portato le due leggi più vituperate dalle classi popolari (quella che porta il suo nome e la legge El Khomri).
Marine Le Pen ha appena attraversato con difficoltà l’appuntamento delle primarie di destra e di sinistra. La candidatura Fillon le toglie il suo migliore avversario mediatico, Sarkozy, e la concorrenza sul terreno tradizionalista ultrareazionario. Allo stesso modo, anche l’assenza di un candidato socialista che porti il bilancio di Hollande destabilizza il suo profilo. Lei stessa, immersa come Fillon negli scandali, farà fatica a trarne profitto. Nondimeno, è notevole che rimanga comunque nei sondaggi, senza avere impostato la sua campagna né fatto dichiarazioni politiche da diverse settimane, sempre il principale ricettacolo di un voto di protesta reazionario, razzista, di rigetto dei partiti che hanno gestito il paese negli ultimi vent’anni. Anche se non si può escludere che anche Marine Le Pen subisca al primo turno l’usura della sua stessa candidatura, è probabile che solo una santa alleanza (intorno a Macron o a Fillon se sarà ancora candidato nelle prossime settimane) per le presidenziali e il sistema antidemocratico di elezione dei deputati impediranno al Front national di uscire vincitore dalle prossime elezioni.

• Tutto ciò fa emergere ulteriormente l’imperiosa necessità di costruire una reale alternativa anticapitalista, una nuova rappresentazione politica degli sfruttate/i e degli oppresse/i.
Questo bisogno si pone evidentemente per fare da contrappeso nelle fasce popolari all’attrazione del Fronte nazionale. Questo partito riesce ancora a dare uno sbocco all’esasperazione popolare in un programma xenofobo e reazionario. Questa impostura potrà essere fatta cessare solo attraverso la creazione di un rapporto di forza tra i lavoratori, le lavoratrici e gli sfruttate/i da parte di una forza politica anticapitalista, fondata sulla solidarietà di tutte/i gli sfruttate/i e sulla giustizia sociale. Allo stesso modo, la polarizzazione di Hamon dimostra anch’essa il rifiuto delle politiche neoliberali, dello Stato di polizia e dell’islamofobia, l’esigenza delle urgenze climatiche, senza tuttavia che il suo programma, anche privo di Valls, tracci la benché minima via di rimessa in discussione dell’austerità capitalista.
Infine, Mélenchon – e la sua France insoumise (FI) – non apre alcuna prospettiva in questa direzione. Giocando fino in fondo la carta dell’uomo della provvidenza, e pensando di avere il rapporto di forza mediatico che gli permette d’imporre la sottomissione alla sua autocrazia a tutti quelli che lo vogliono sostenere, ha giocato una mano azzardata. Contando su una candidatura Hollande o Valls, si è messo nel ruolo dell’anti Sarkozy, poi dell’anti Fillon, cavaliere bianco della sinistra anti austerità. Ormai destabilizzato dalla candidatura di Hamon, questo profilo da solo non può essere sufficiente. E questo è ancor più vero, visto che si sta costituendo una campagna per una candidatura unica a sinistra di Macron. È più che probabile che il PCF s’inserisca rapidamente in questa campagna, così come una parte del movimento associativo e sindacale, molto reticente nei confronti di Mélenchon, anche se molti lo considerano come il voto “utile” [3].
Questa dinamica unitaria, purtroppo, sarà costruita su un terreno esclusivamente istituzionale di meccanismi elettorali. Mettere tre mattoni sovrapposti per raggiungere Macron e Fillon (o il suo sostituto) non getta le basi della costruzione di una forza popolare anticapitalista, che raggruppi nelle aziende e nei quartieri popolari, con tutti i legami di trasversalità, quelle e quelli che combattono il sistema, che vogliono costruire una forza anticapitalista, femminista, antirazzista, anti discriminazioni, internazionalista, ecologista. Le basi politiche e i metodi della FI non permettono evidentemente di tracciare questo cammino, non più di una candidatura di salvaguardia di un PS in pericolo. Un’alleanza dei due non ovvierà ad alcuno dei loro difetti. La mania del voto utile nel quadro dell’arena elettorale e dei dadi truccati del sistema parlamentare della Va Repubblica non basterà a superare questi difetti. Noi non abbiamo bisogno di un super campione per batterci nell’arena, noi vogliamo farla finita con l’arena.

• Per contro, la situazione apertasi in seguito alla crisi attuale è nuova, bisogna rendersene conto. Ci saranno sicuramente un gran numero di discussioni nei giorni e nelle settimane a venire, dei possibili quadri di discussione di militanti del movimento sociale e politico. Questo deve essere l’occasione, non solo di difendere le nostre idee, ma anche di portare proposte di unione, sociale e politica, di tutte quelle e di tutti quelli che combattono su tutti i fronti. Lo scandalo Fillon, la destabilizzazione del PS, tutto ciò apre degli spazi, ingrippando il meccanismo oliato dei dibattiti istituzionali, ravvivando le/i militanti del movimento sociale in un periodo abitualmente poco propizio a tutto questo. Paradossalmente, le prossime settimane possono vedere emergere di nuovo dei movimenti “dal basso” con l’esigenza di farla finita con la delega, con la burocrazia parlamentare dei dirigenti e dei partiti, che usano e abusano di privilegi continuando a gestire gli affari dei capitalisti. Anche se oggi questo si concentra sull’aspetto di una candidatura unica Mélenchon-Hamon, possiamo, noi, dare altri contenuti di fondo, partendo dalle esigenze sociali, dalle convergenze tra correnti militanti, per smettere di essere spettatori delle giostre e dei meccanismi presidenziali e prendere i nostri interessi nelle nostre mani.
Noi non dobbiamo quindi avere l’atteggiamento di dire che tutto ciò non ci riguarda, perché la nostra candidatura, con Philippe Poutou, si rivolge a un gran numero di quelle e quelli che pensano di trovare una nuova speranza, una nuova finestra istituzionale alle battaglie sociali. Noi non siamo su questo terreno e, soprattutto, portiamo una prospettiva di rottura anticapitalista che non è il terreno, né di Hamon, né di Mélenchon. Tuttavia, possiamo, almeno localmente, dare un’altra prospettiva, dibattere dell’unione su comuni esigenze sociali e democratiche. In questo, la nuova situazione può essere una bolla d’aria che mostra tutte le rotture necessarie e i cammini da intraprendere.

*Articolo redatto il 31 gennaio 2017; note redatte il 10 febbraio 2017; Léon Crémieux è militante di Sud-Solidaires e membro dell’NPA). La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Soidarietà.

[1] In seguito, François Fillon, incapace di smentire gli elementi fattuali del Canard enchaîné e di Médiapart si è impegnato, in una conferenza stampa, in una dimostrazione pro domo che, secondo i sondaggi, non ha convinto l’80% dell’opinione pubblica, persuasa che dovrebbe ritirarsi. Parallelamente, la stampa non smette di rivelare nuovi elementi sulle remunerazioni ottenute da Fillon dal gruppo assicurativo AXA, della sottovalutazione del suo patrimonio immobiliare, di altre somme percepite da sua moglie… I responsabili dei Républicaines hanno per ora, volenti o nolenti, deciso di lasciare che Fillon continui la sua campagna, mentre non smette di cadere nei sondaggi. Questo non può che evocare il conducente di un’automobile che dopo avere rotto la guarnizione della testata, continua la sua marcia.
[2] Le altre correnti del PS hanno chiaramente mostrato segnali affermando che bisogna mantenere l’unità del PS e Hamon ha dato molti segnali di distensione e nessuno di rottura con il resto del suo partito. La direzione di campagna messa in piedi attorno a Hamon deve d’altronde integrare vari responsabili della corrente Valls.
[3] Dalla parte di Yannick Jadot, candidato EELV, si è fatta la scelta di trovare un accordo di apparato con Hamon, accordo che si scontra al contempo con la resistenza delle altre correnti del PS e con il bisogno di ottenere il consenso di una consultazione interna a EELV. Dalla parte del PCF, il reale obiettivo è il mantenimento, ed eventualmente l’allargamento, del numero dei deputati (7 nell’attuale legislatura, contro i 15 del 2007), e dei buoni risultati alle legislative, base del finanziamento pubblico dei partiti politici in Francia. La “France insoumise” di Mélenchon non offre loro alcuna garanzia e la tentazione di negoziare un accordo con il PS è grande.