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a cura della redazione

Messi un po’ alla corda da un bilancio praticamente nullo sul piano sociale (sia dal punto di vista di quanto sono stati in grado di realizzare – certo, tenuto conto che rappresentano una minoranza di fronte agli altri partiti borghesi , ma anche dal punto di vista delle proposte avanzate, che necessitano solo un po’ di intelligenza propositiva) i rappresentanti della sinistra social-liberale bellinzonese sfoderano e brandiscono l’arma dell’aggregazione come elemento di giudizio positivo sul loro operato e, in particolare, su quello del sindaco Branda.

Ora, val la pena premettere che se l’aggregazione non ha suscitato in noi grande entusiasmo, non ha creato nemmeno ragioni di un rigetto di fondo. Pensiamo, semplicemente, che questo procedimento non rappresenti, di fatto, mutamenti qualitativi di fondo, in mancanza di svolte decisive dal punto di vista dell’impostazione politica.
Ma, al di là di questo, il quesito che ci si può porre è il seguente: il processo aggregativo è, in quanto tale, un elemento che può qualificare, o distingue o ha distinto, l’azione della sinistra (usiamo questo termine per comodità)? Il processo di aggregazione è andato in porto principalmente grazie alla sinistra? E, nel caso di Bellinzona, il processo condotto in porto ha qualche “marca” che possa identificarlo come qualcosa caratterizzato a “sinistra” o, per usare un altro termine assolutamente ormai privo di senso ma comodo, “progressista”?
Al primo quesito si può rispondere in due modi diversi. Prima di tutto si può far notare che le aggregazioni nei comuni ticinesi (ormai in atto da più anni), non sono certo, in quanto tali, appannaggio dei partiti della sinistra. L’aggregazione più importante degli ultimi anni, quella della grande Lugano, è stata condotta con il concorso di diversi partiti e ha subito l’impronta del liberale, piuttosto di destra, Giorgio Giudici. Diverse iniziative popolari si sono susseguite. Alcune sono state dichiarate irricevibili, altre, come quella appena discussa dal Gran Consiglio, saranno oggetto di ricorsi. Queste proposte, diverse anche se fondamentalmente tutte tese ad “aggregare” i comuni, provenivano da schieramenti politici diversi. Proprio ad ulteriore dimostrazione che di per sé il tema non è un elemento di differenziazione politica.
Anche quella bellinzonese non può certo essere rivendicata dal solo PS (che certamente, con il suo sindaco Mario Branda, si è speso molto per questo obiettivo). I liberali di Giubiasco, ad esempio, hanno pure messo in campo il sindaco Bersani che potrebbe rivendicare un ruolo altrettanto importante e decisivo (visti anche i rapporti di forza elettorali) per condurre in porto il progetto. E non dubitiamo che anche altri partiti rivendicheranno, se non la paternità, almeno una attiva partecipazione alla riuscita del progetto.
Si potrebbe forse aggiungere, da questo punto di vista, una riflessione che va piuttosto in un altro senso; e cioè che lo sviluppo di fenomeni aggregativi corrisponde a quella pratica dell’efficienza amministrativa che una certa vulgata neoliberale vorrebbe a tutti costi prevalesse sulle vecchie logiche partecipative. Una logica che, spinta all’estremo, arriva alle proposte, formulate anche in Ticino, di considerare gli amministratori comunali eletti alla stregua di manager e quindi andare a cercarli anche fuori dal Comune…
Assodato questo, ci si potrebbe chiedere se il progetto Bellinzonese si caratterizza per alcuni punti nei quali sia possibile riconoscere, come dire, “la mano” della sinistra; cioè se la nuova aggregazione si distingua per un tasso di “progressismo” superiore a quello di altre aggregazioni, ad esempio quella di Lugano.
Comprendendo che, in fase di aggregazione, sarebbe difficile – viste anche le diverse incognite che si presentano – ipotizzare grandi “progressi” su temi impegnativi quali, ad esempio, la politica sociale del nuovo comune, sarebbe invece ipotizzabile pensare che l’aggregazione favorisca il processo di partecipazione dei cittadini e delle cittadine, offra loro maggiori diritti dal punto di vista democratico e partecipativo. Questa sarebbe, o avrebbe potuto essere, ad esempio, una “marca” del ruolo della sinistra, delle sue idee e delle sue proposte nel processo aggregativo.
Invece, anche su questo terreno, non è stato realizzato nulla di progressista; né, ci pare di poter dire da quanto abbiamo visto e letto, è stato nemmeno proposto dalle forze progressiste che hanno partecipato al processo di aggregazione.
La nuova Bellinzona sarà come la vecchia e i comuni aggregati. Potrà contare su commissioni di quartiere il cui ruolo si è dimostrato assolutamente nullo (in termini di partecipazione democratica) nelle altre esperienze aggregative di portata simile, come dimostra la triste vicenda delle commissioni di quartiere di Lugano, ormai disconosciute da tutti.
Diremo di più. Leggendo le risposte date dai candidati dei vari partiti alla prima pagina dedicata alle elezioni dal Corriere del Ticino lo scorso 8 febbraio (e dedicato proprio ai quartieri, cioè ai vecchi comuni) sembra proprio che tutti i rappresentanti dei maggiori partiti si accontentino di questo strumento che ha dimostrato la propria inutilità. Tanto più che le commissioni verranno nominate sulla base dei rapporti di forza elettorali.
Non possiamo sapere come si svilupperà il processo aggregativo. Ma, di sicuro, quello che abbiamo oggi sotto gli occhi non è un progetto che possa essere rivendicato come la realizzazione di un solo partito; e tantomeno può essere presentato come un progetto con caratteristiche “progressiste”.
Ecco perché rivendicarne la realizzazione come l’elemento centrale e fondamentale di un bilancio politico positivo ci pare veramente poco e non necessariamente ascrivibile ad una caratterizzazione politica “progressista”.