a cura della redazione
Troppo rapidamente dato per morto, il movimento femminista è riapparso con gran forza negli ultimi mesi nelle piazze e nelle strade di tantissimi paesi del mondo.
Dal “Black Monday” (3 ottobre) delle donne polacche contro l’abolizione del diritto all’aborto, alle importanti manifestazioni delle argentine e delle italiane contro la violenza maschile verso le donne, fino alle enormi marce anti-Trump del 21 gennaio: erano diversi anni che non si assisteva a una così massiccia e diffusa presenza e capacità di mobilitazione del movimento delle donne.
Già da molto tempo tante femministe denunciavano il rischio di un backlash, di un ritorno di frusta nei confronti di una serie di diritti conquistati dalle donne, ed ora finalmente sembra che stia nascendo una profonda coscienza (anche tra le più giovani) che nessun diritto è veramente acquisito se non si continua a lottare. L’illusione che l’uguaglianza sia ormai raggiunta e che il femminismo sia in qualche modo diventato obsoleto (si pensi alla campagna “I don’t need feminism” – ‘non mi serve il femminismo’ – che qualche anno fa aveva spopolato su internet) è stata spazzata via dall’arroganza misogina di Trump e dall’inasprirsi delle diverse forme di violenza – fisica, economica, sociale, simbolica – nei confronti delle donne.
Pubblichiamo qui di seguito un appello lanciato da alcune femministe attive negli Stati Uniti in favore dello sciopero internazionale delle donne proclamato per l’8 marzo dal movimento argentino Ni una menos e ripreso da numerosi collettivi femministi di vari paesi, tra cui l’Italia.
È un appello che esprime una forte critica al cosiddetto femminismo del “farsi avanti” (“lean in”, in inglese), allusione al titolo del best-seller di Sheryl Sandberg, direttrice operativa di Facebook (Lean in: Women, Work and Will to lead, in italiano Facciamoci avanti. Le donne, il lavoro e la voglia di riuscire), che ben simbolizza lo spirito di quel femminismo di tipo liberale che oramai da decenni detta l’agenda politica delle donne e che sostanzialmente “vuole pari opportunità di scalare le gerarchie esistenti, senza mai metterle in discussione”, come ben descritto da Nancy Fraser.(1)
Come ogni movimento spontaneo e di massa, anche questa nuova ondata femminista ha certamente una composizione molto eterogenea, colpisce tuttavia la volontà e la capacità di un’ampia ala del movimento ad articolare le rivendicazioni femministe all’interno di una critica globale delle politiche neoliberali, cogliendo appieno che soltanto adottando uno sguardo intersezionale – capace, cioè, di denunciare i diversi tipi di discriminazione (sessista, razzista, classista, omofoba, etc) che colpiscono le singole donne – si potrà giungere alla reale emancipazione per tutte.
Solo in questo modo si potranno ad esempio combattere tutti quei recenti e sempre più frequenti tentativi di recupero del femminismo (e della causa LGBT) in chiave xenofoba e antislamica e, soprattutto, solo un femminismo veramente intersezionale potrà guidare il movimento delle donne fuori dal vicolo cieco in cui lo ha condotto il femminismo dominante, meanstream e istituzionalizzato, incarnato dalla stessa Hillary Clinton.
Il movimento delle donne è oggi probabilmente giunto a quello che Silvia Federici ha definito come “il punto zero della rivoluzione” (2), ossia il momento in cui ci si rende conto che si deve cambiare sistema, che all’interno del sistema dominante non c’è alcuna possibilità di vera emancipazione per tutte, e che qualsiasi lotta femminista si faccia oggi deve porsi come orizzonte il superamento dei rapporti capitalistici.
1. Nancy Fraser, “Hillary Clinton e il nuovo spirito del femminismo”, intervista a cura di Massimo Cuono e Leonard Mazzone, L’indice, giugno 2016.
2. Cf. Silvia Federici, Il punto zero della rivoluzione. Lavoro domestico, riproduzione e lotta femminista, Verona, Ombre Corte, 2014.
Oltre il “farsi avanti”. Per un femminismo del 99% e uno sciopero internazionale e militante l’8 Marzo
Le immense manifestazioni di donne del 21 Gennaio possono rappresentare l’inizio di una nuova ondata di lotte femministe militanti. Ma quale sarà esattamente il loro obiettivo? Dal nostro punto di vista, non è sufficiente opporsi a Trump e alle sue politiche aggressivamente misogine, omofobiche, transfobiche e razziste; bisogna anche rispondere agli attacchi del neoliberismo progressista allo stato sociale e ai diritti del lavoro. Mentre la misoginia spudorata di Trump ha rappresentato la miccia per la risposta massiccia del 21 Gennaio, l’attacco alle donne (e a tutti i lavoratori) è di gran lunga precedente alla sua amministrazione. Le condizioni di vita delle donne, specialmente quelle delle donne di colore e lavoratrici, disoccupate e migranti, sono state costantemente deteriorate negli ultimi 30 anni, a causa della finanziarizzazione e della globalizzazione capitalista. Il femminismo del “farsi avanti” e le altre varianti del femminismo della donna in carriera hanno abbandonato al loro destino la stragrande maggioranza di noi, che non ha accesso all’autopromozione e all’avanzamento individuale e le cui condizioni di vita possono essere migliorate solo attraverso politiche che difendono la riproduzione sociale, la giustizia riproduttiva e la garanzia dei diritti sul lavoro. La nuova ondata di mobilitazione delle donne deve affrontare tutti questi aspetti in maniera frontale. Deve essere un femminismo del 99%.
Il tipo di femminismo che vogliamo sta già emergendo a livello internazionale, nelle lotte di tutto il mondo: dallo sciopero delle donne in Polonia contro l’abolizione dell’aborto allo sciopero e alle marce in America Latina contro la violenza maschile; dalla grande manifestazione di donne dello scorso Novembre in Italia alle proteste in difesa dei diritti riproduttivi in Sud Corea e Irlanda. L’aspetto sorprendente di queste mobilitazioni è che molte di esse hanno unito la lotta contro la violenza all’opposizione alla precarizzazione del lavoro e alla disparità salariale, e allo stesso tempo si oppongono anche all’omofobia, alla transfobia e alle politiche xenofobiche sull’immigrazione. Nel loro insieme annunciano un nuovo movimento femminista internazionale con un’agenda inclusiva – allo stesso tempo antirazzista, anti-imperialista, anti-eterosessista, anti-neoliberista.
Vogliamo contribuire allo sviluppo di questo nuovo movimento femminista più inclusivo.
Come primo passo, proponiamo di sostenere la costruzione di uno sciopero internazionale contro la violenza maschile e in difesa dei diritti di riproduzione l’8 Marzo. Per questo, vogliamo unirci ai gruppi femministi che hanno convocato questo sciopero da circa 30 paesi in tutto il mondo. L’idea è di mobilitare donne, donne transgender e tutti coloro che le sostengono in un giorno di lotta internazionale – un giorno di sciopero, di manifestazioni, di blocchi di strade, ponti e piazze, di astensione dal lavoro domestico, di cura e sessuale, di boicottaggio, di proteste contro aziende e politici misogini, di scioperi nelle istituzioni educative. Queste azioni hanno lo scopo di rendere visibili i bisogni e le aspirazioni di coloro che sono state ignorate dal femminismo della donna in carriera: le lavoratrici nel mercato del lavoro formale, le donne che lavorano nella sfera della riproduzione sociale e della cura, le donne disoccupate e le donne precarie.
Nell’abbracciare un femminismo del 99%, prendiamo ispirazione dalla coalizione Argentina Ni Una Menos. La violenza sulle donne, come loro la definiscono, ha molte facce: è violenza domestica ma anche violenza del mercato, del debito, dei rapporti di proprietà capitalistici, e dello stato; la violenza delle politiche discriminatorie contro donne lesbiche, trans e queer, la violenza dello Stato nella criminalizzazione dei movimenti migratori, la violenza delle incarcerazioni di massa e la violenza istituzionale contro i corpi delle donne attraverso la criminalizzazione dell’aborto e l’assenza di accesso a sanità e aborto gratuiti. La loro prospettiva ispira la nostra determinazione a opporci agli attacchi istituzionali, politici, culturali e economici contro le donne musulmane e migranti, contro le donne di colore e le donne lavoratrici e disoccupate, contro le donne lesbiche, trans e queer.
Le marce delle donne del 21 Gennaio hanno mostrato che anche negli Stati Uniti potremmo assistere alla nascita di nuovo movimento femminista. È importante non perdere questo slancio. Uniamoci insieme l’8 Marzo per scioperare, manifestare e protestare. Usiamo l’occasione di questa giornata internazionale per farla finita con il femminismo della donna in carriera e per costruire al suo posto un femminismo del 99%, un femminismo dal basso e anticapitalista – un femminismo in solidarietà con le donne lavoratrici, le loro famiglie e i loro alleati in tutto il mondo.
Cinzia Arruzza, insegna filosofia alla New School for Social Research di New York e ha pubblicato Le relazioni pericolose. Matrimoni e divorzi tra marxismo e femminismo.
Tithi Bhattacharya, insegna storia alla Purdue University. Autrice di The Sentinels of Culture: Class, Education, and the Colonial Intellectual in Bengal.
Angela Davis, attivista femminista e del movimento afroamericano. Autrice di Aboliamo le prigioni? Contro il carcere, la discriminazione, la violenza del capitale.
Nancy Fraser, professoressa di filosofia e politica alla New School for Social Research, autrice di varie opere tra cui Redistribuzione o riconoscimento? e Fortune del femminismo. Dal capitalismo regolato dallo stato alla crisi neoliberista.
Keeanga-Yamahtta Taylor, insegna al Center for African Studies dell’Università di Princeton, autrice di From #BlackLivesMatter to Black Liberation.
Linda Martín Alcoff, professoressa di filosofia presso l’Hunter College e autrice di Visible Identities: Race, Gender, and the Self.
Rasmea Yousef Odeh, direttrice associata dell’Arab American Action Network ed ex-membro del Fronte popolare per la liberazione della Palestina.