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a cura della redazione

Diego
Mi chiamo Diego, il mio nome è importante, com’è importante il nome di ogni migrante. È importante perché non siamo braccia per lavorare, né un misero permesso. Il nome è il primo pilastro dell’identità, avere un nome significa riconoscere che quello che abbiamo davanti è una persona come tutti voi, con figli, famiglia e sogni.

Sono un lavoratore migrante disoccupato, ho 24 anni e faccio parte dello esercito di riserva del capitale. Sono emigrato in Svizzera 4 anni fa e fin ora tento di SOPRAVVIVERE in questo cantone, e rimarco sopravvivere. Perché una cosa è tener duro giorno dopo giorno per arrivare alla fine del mese è un altra ben distinta è vivere.
Emigrare è drammatico. Perché è drammatico accettare che la tua casa, la tua vita, la tua gente saranno differenti d’ora in poi. Accettare questo cambiamento e un percorso molto lungo che dura da anni e che io personalmente dopo 4 anni non ho ancora risolto.
Per farvi capire vi dico solo che io sono venuto qua per amore.
Sono arrivato in Svizzera senza permesso (turista). sono rimasto illegalmente finche ho trovato un lavoro estivo di vari mesi che mi ha permesso avere il permesso L (Finito il lavoro, finito il permesso), tornando di nuovo nella stessa situazione d’illegalità. Cosi son passati due lungi anni. Dopo questi anni senza lavoro e permesso sono dovuto tornare in spagna separandomi della mia compagna e sapendo che rimanere in Spagna non aveva senso. Per normalizzare la situazione ho richiesto un permesso B senza attività lucrativa. Per averlo devi farti avvallare con 2000 franchi al mese da un garante e firmare immediatamente numerosi documenti che tra ‘altro mi obbligavano a non chiedere mai un sussidio o aiuto. Per questo non ho mai chiesto quello di malattia, anche se lavoriamo per una miseria e non arriviamo a fine di mese per paura a vedere la revoca del nostro permesso di soggiorno.
Il B senza attività lucrativa ti permette di lavorare solo 12 ore a settimana, questo ti spinge a lavorare in nero, perche il resto delle ore non le puoi dichiarare, o dall’altra parte a non trovare lavoro perché il padrone onesto normalmente ha bisogno di più ore.
Per avere il tanto desiderato e ancora nelle mie mani permesso B normale dovevo trovare qualcuno che volesse assumermi per un anno, né 3 mesi né 6 né 11 e mezzo. Un anno. Io vi chiedo: chi assume una persona straniera a priori con un contratto di un anno? Nessuno. Dimostrando che questo requisito serve solo per impedirci di risiedere e lavorare in svizzera.
Ho avuto fortuna con una persona che mi ha fatto un contrato di un anno e ho lavorato esattamente un anno, ricevendo il permesso ma perdendo il lavoro giacche era a termine. Non era il lavoro che volevo fare era l’unico lavoro che potevo fare
4 anni ci sono voluti per normalizzare la mia situazione in questo paese e per fortuna sono nato in Europa e se venisse da più lontano? 4 anni di grosse sofferenze, alcune non posso raccontarle pubblicamente in questa sala, 4 anni di precarietà, di disperazione di paura a essere espulso, persino un incidente nel quale quasi perdo la mano destra.
Viviamo al limite, con il minimo, senza nessuna prospettiva di futuro, senza sapere cosa sarà di noi settima prossima. Senza sapere se finiremo dall’altra parte della ramina o in un programma occupazionale a lavorare gratis, se finiremo in una fabbrica come quella del signor Siccardi (medacta internacional) per 2000 franchi al mese a turno e sotto terra come mi hanno offerto. Viviamo con la paura di partecipare politicamente, viviamo al margine della società, senza lavoro o con appena risorse economiche non possiamo fare una vita normale. Andare al bar a prendere un caffe diventa un lusso. Vediamo come la società avanza con una marcia molto più forte della che noi possiamo avere, rimanendo sempre indietro e indietro, rinchiusi a casa, rinchiusi nei nostri problemi, senza esistere. Come vogliono che ci integriamo se continuamente siamo messi da parte in qualunque ambito. In piu con l accusa di essere ladri e approfittatori quando in realtà diamo molto di più di quello che riceviamo.
Ora mi trovo in un momento critico, da 8 mesi disoccupato dopo aver lavorato a tempo pieno per 2300 franchi e con la compagna che non lavora più al cento ma a meta tempo. Se non troverò lavoro in questi 4 mesi che mi rimangono ancora di diritto probabilmente sarò espulso.
Dovrò andare io ma anche la mia compagna svizzera, ci espelleranno entrambi direttamente o indirettamente. Una storia in più da aggiungere al lungo elenco della vergogna della politica migratoria svizzera e delle leggi che riguardano l’intero nostro collettivo.
Ho due mani, sono giovane, ho formazioni accademiche, esperienza, lingue…che sistema è questo dove non celavoro? Che sistema è questo dove la mia unica speranza è aspettare che il lavoro cada dal cielo qualche giorno? E se trovo il lavoro cosa succede con tutti gli altri? Lavorare è vivere, senza lavoro non c’è vita.
Non vogliamo compassione, vogliamo diritti e rispetto. Quello che ci sta capitando non è per sfortuna o perché dio l’abbia voluto, ha dei responsabili ben definiti nel paese di origine e quello di accoglienza e una popolazione complice.
Al migrante che ha fame lo si da da mangiare ma lo si vieta di lavorare per mangiare, al migrante li si da un aiuto economico ma li si impedisce accedere a una salario giusto. Questo non funziona, perché allora per lavorare, mangiare, vivere, dipenderemo sempre di qualcuno e non volgiamo questo rapporto schiavo. Vogliamo avere diritti come tutti gli alti perche è giusto e perche è l’unico modo per vivere liberi ed emancipati.
Chi pulisce? lavora con anziani?, costruisce case, scava gallerie o spegne incendi? Sono la maggior parte migranti. Persone che sono trattate come di seconda categoria per non dire a volte come animali. Non siamo venuti qua a rubare il lavoro e la casa a nessuno, prima perché il lavoro non è proprietà di nessuno e secondo perché è un diritto fondamentale del quale dovrebbe godere ogni essere umano.
Siamo ¼ della popolazione svizzera, non siamo una minoranza, siamo un pilastro fondamentale, siamo i vostri vicini, amici, i vostri lavoratori, il vostro futuro.
L’integrazione è un tema decisivo se si vuole costruire una società forte ed equilibrata.
Non possiamo pretendere dare una festa nella quale alcune persone sono sedute agli angoli, zitte, sole, senza risorse e con diritto a rimanere nella festa ma non a sedersi a tavola.
L’integrazione io credo sia come un albero. Se la terra non è buona noi, il seme, non cresceremmo o cresceremmo deboli e storti senza dare mai i pregiati frutti tanto aspettati che potremmo godere tutte e tutti. La terra dove crescono i buoni semi bisogna curarla, concimarla, ararla. Che non vi ingannino dicendo che se non ci integriamo è solo colpa nostra quando pretendono che mettiamo le radici nell’asfalto.
L’integrazione è riuscire a vivere tutte insieme essendo diversi, in armonia, in parità di obblighi ma soprattutto di opportunità.
Non possiamo accettare che fra operai e operaie ci incolpiamo delle nostre miserie, della mancanza di opportunità, delle ingiustizie delle proprie vite quotidiane. I veri colpevoli sono sopra, seduti in poltrone di consigli d’amministrazione, di banche, di alcuni partiti politici. Loro come noi non hanno patria, ma la loro patria non sono le persone, la loro patria sono i soldi.

Claudia
Era il 1978, in piena dittatura nel mio paese di origine, il Cile. Avevo 7 anni quando con la mia famiglia arrivai qui in Ticino, costretti a fuggire lontano da quel regime sanguinario e dittatoriale. Il regime di Pinochet che, come molti di voi sapranno, non risparmiava studenti, intellettuali, sindacalisti, operai, lavoratori e lavoratrici o chiunque contestasse o avesse posizioni diverse dai golpisti che avevano messo in piedi, insieme alla complicità dello “zio sam”, un processo di rovesciamento del governo di Salvador Allende democraticamente eletto dal popolo.
Io allora ero piccola e stavo bene qui nel paese di Heidi e le sue montagne, nel paese che nel frattempo è diventata la mia patria di adozione. Non dimentico però che qualche episodio di bullismo l’ho subito pure io dal solito razzista di turno. Episodi che però venivano ampiamente compensati dalla generosità di tanta buona gente intorno a noi nel comune di Lamone dove sono cresciuta. Tanta buona gente come don Cornelius Koch, ex parroco di Vogorno o il pastore Guido Rivoir, due uomini di grande spessore umano e non perché religiosi, fautori del movimento solidale “Azione posti Liberi”. Quest’ultimo specialmente, Guido Rivoir, indignato dalla decisione delle autorità federali di non concedere asilo politico ai profughi cileni, perché come si diceva “la barca è già piena”, creò i primi tempi una rete di passatori nostrani clandestina che con una busta gialla, come segno di riconoscimento, andavano al vicino aeroporto milanese per far passare illegalmente dal confine al Ticino tanti miei compatrioti. Oppure come dimenticare anche il sostegno della società civile di allora? Medici, avvocati, docenti, parrocchie e tante famiglie ticinesi e di oltre cantone che rispondevano in vari modo agli appelli di solidarietà con noi profughi lanciate da ApL quasi facendo a gara! Uomini e donne anche di varie fedi politiche, mossi da nobili valori comuni, che aprivano addirittura le loro case per dare rifugio e protezione ai perseguitati e alle loro famiglie. Alcuni di loro arrivarono perfino ad auto tassarsi per finanziare questi aiuti. È stato un grande esempio di altruismo, coraggio e disubbidienza civile che mandarono a quel paese le mica tanto blande leggi vigenti sull’immigrazione di quell’epoca e salvarono così da morte certa tanti esuli cileni. Gesta eroiche, che a distanza di anni sono ampiamente riconosciute con tanto di onori a livello internazionale, alla faccia di chi oggi condanna l’illegalità di chi agisce con cuore umano cercando di salvare delle vite. Ma per fortuna c’è ancora, anche oggi, chi si batte contro le leggi ingiuste e disumane!!!
Come dimenticare tutto ciò? Noi esuli cileni non dimenticheremo mai quest’enorme solidarietà collettiva, venuta da tanta gente comune e saremo sempre grati e riconoscenti. Quanto è successo 40 anni fa dovrebbe essere una lezione per tutti noi e mi rivolgo anche agli stranieri o ex stranieri che risiedono qui in Svizzera e che a volte dimenticano troppo facilmente il loro passato migratorio o quello dei loro genitori o nonni, dimostrando chiusura mentale verso chi rischia tutto per cercare di dare a sé e alla proprio famiglia una vita migliore!
Perciò ministro Gobbi e mi rivolgo specialmente a lei, la BARCA NON È PIENA e non lo sarà mai perché NESSUN ESSERE UMANO È ILLEGALE SU QUESTA TERRA CHE È DI TUTTI!
COMBATTIAMO PIUTTOSTO TUTTI INSIEME IL CAPITALISMO CHE CREA SOLO GUERRA, SOFFERENZA, DISUGUAGLIANZE E IL CONSEGUENTE SPOSTAMENTO DI DONNE, UOMINI, ANZIANI E BAMBINI ALLA RICERCA DI UN MONDO MIGLIORE CHE È UN DIRITTO DI OGNI ESSERE UMANO!