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di Matteo Pronzini*

Come tutti sanno nei confronti del responsabile di Argo 1 è in corso un’inchiesta penale per sequestro di persona. Non è inoltre escluso che il responsabile di Argo 1 o delle persone attive per questa società abbiano commesso dei reati su minori. Accanto a queste grane penali, non da poco, la società Argo 1 congiuntamente alla direzione del DSS deve non poche spiegazioni alle cittadine e ai cittadini di questo Cantone.

Per alcuni anni ha incassato mensilmente, dall’ente cantonale, oltre 100’000 franchi (per un totale di circa 3 milioni) non si sa bene come e da chi per la sorveglianza di alcuni centri per richiedenti l’asilo. E qui il cerchio si chiude in quanto è verso alcuni di questi richiedenti l’asilo che il responsabile sarebbe incappato in alcuni reati penali.
Tutto questo è stato oggetto, giustamente, di un ampio dibattito pubblico, che spero permetta di far piena luce. Nel frattempo il Plenum del Gran Consiglio ha discusso di Argo 1 per un intero pomeriggio, vi sono diversi atti parlamentari pendenti e la commissione della gestione ha dato mandato a una sua Sottocommissione di analizzare gli intrallazzi intercorsi tra Argo 1 ed il DSS.

Giustamente gli organi di stampa hanno ripreso e approfondito la tematica. Tra gli altri il portale tio.ch e il giornale cartaceo 20 Minuti.

Apprendo che nel frattempo questi due organi d’informazione sono stati diffidati (minacciati sarebbe il termine più corretto) da parte del legale di Argo 1 ad astenersi dal pubblicare altre notizie sulla società. In caso contrario verrebbero denunciati per concorrenza sleale.

Lo stesso metodo intimidatorio è stato usato, con il sostegno attivo della Procura Pubblica, dal gruppo immobiliare-sanitario Genolier/Sant.Anna verso il domenicale Il Caffè. E’ opportuno ricordare che i giornalisti possono sempre essere denunciati per diffamazione.

Come ricordavo in una mia interpellanza la giurisprudenza del Tribunale federale dà atto che, in tema di punibilità dei media, le norme del diritto penale vanno interpretate alla luce delle diposizioni del diritto superiore, vale a dire della Costituzione federale e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU ). In quest’ambito, va prestato particolare riguardo alla libertà dei media (art. 17 Cost. e art. 10 CEDU) e all’importante ruolo che la stampa riveste nell’ottica della democrazia.

L’esigenza di un’interpretazione delle norme penali conforme ai diritti dell’uomo discende anche dalla giurisprudenza della Corte europea (Corte EDU), la quale valuta le sentenze di condanna dei tribunali penali nazionali con particolare rigore, laddove le stesse limitino la libera attività dei media.

Il testo dell’art. 10 CEDU (libertà d’espressione) recita:
1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce che gli Stati sottopongano a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.
2. L’esercizio di queste libertà, comportando doveri e responsabilità, può essere sottoposto a determinate formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge e costituenti misure necessarie in una società democratica, per la sicurezza nazionale, l’integrità territoriale o l’ordine pubblico, la prevenzione dei reati, la protezione della salute e della morale, la protezione della reputazione o dei diritti altrui, o per impedire la divulgazione di informazioni confidenziali o per garantire l’autorità e la imparzialità del potere giudiziario.
I principi generali che sottendono alla valutazione e all’apprezzamento circa la legittimità (necessità) di una limitazione dell’esercizio della libertà di espressione ex art. 10 CEDU – riaffermati a più riprese dalla Corte EDU a partire dalla sentenza Handyside contro Regno Unito del 7 dicembre 1976 – sono stati di recente riassunti nella sentenza Morice contro Francia del 23 aprile 2015.

Sono i seguenti.

1.La libertà d’espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali della società democratica, una delle condizioni primordiali del suo progresso, nonché dello sviluppo e della realizzazione sul piano personale di ciascun individuo. Nel rispetto dei suoi doveri e delle sue responsabilità, la stampa è tenuta a esternare informazioni e idee su tutte le questioni di interesse pubblico e generale, comprese quelle che fanno riferimento all’amministrazione della giustizia.
Sotto riserva del paragrafo 2 dell’art. 10 CEDU, la libertà d’espressione non vale soltanto per le “informazioni” o le “idee” accolte con favore o considerate come inoffensive o indifferenti, bensì anche per quelle che urtano, shoccano o inquietano: così vogliono il pluralismo, la tolleranza e lo spirito d’apertura, senza i quali non esiste “società democratica”. Così come consacrata all’art. 10, la libertà d’espressione è assortita di eccezioni, le quali vanno tuttavia ammesse con prudenza e rigore. In tal senso, la necessità di una restrizione deve essere dimostrata in maniera convincente.

2. L’aggettivo “necessario” ai sensi dell’art. 10 § 2 CEDU implica un “bisogno sociale imperioso”. Gli Stati contraenti beneficiano di un certo margine di apprezzamento nel giudicare dell’esistenza di un simile bisogno, margine di apprezzamento che è tuttavia soggetto al vaglio europeo, sia relativamente alla legge, sia relativamente alle decisioni che la applicano. Ciò a prescindere dal fatto che le dette decisioni emanino da una giurisdizione indipendente. La Corte europea è dunque competente a statuire in ultima istanza sulla questione se una “restrizione” è conciliabile con la libertà d’espressione garantita e tutelata dall’art. 10. In tema di limitazione della libertà di stampa, il margine di apprezzamento delle autorità nazionali è di conseguenza circoscritto dall’interesse della società democratica tutta di permettere alla stampa di ricoprire il suo ruolo indispensabile di “cane da guardia”.

3. Nell’esercizio della sua attività di controllo, la Corte non ha affatto il compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne competenti, bensì quello di verificare, nell’ottica dell’art. 10 CEDU, le decisioni che queste hanno emanato in virtù del potere di apprezzamento che loro compete. Ciò non significa che la Corte debba limitarsi ad esaminare se lo Stato resistente ha fatto uso del suo potere in buona fede, con riguardo ed in modo ragionevole. La Corte deve invece considerare l’ingerenza litigiosa alla luce dell’insieme delle circostanze del caso concreto per determinare se la stessa era “proporzionata allo scopo legittimo perseguito” e se i motivi invocati dalle autorità nazionali per giustificarla appaiano “pertinenti e sufficienti” (…). Nell’ambito di tale esercizio, la Corte deve convincersi che le autorità nazionali hanno applicato delle regole conformi ai principi consacrati all’art. 10, e ciò basandosi inoltre su un apprezzamento accettabile dei fatti pertinenti (…).

4. Per quanto concerne il grado di tutela, in due ambiti particolari l’art. 10 § 2 CEDU non ammette praticamente restrizioni alla libertà d’espressione: quello del dibattito politico e quello dei temi di interesse generale. Di conseguenza, un livello alto di protezione della libertà di espressione, che va di pari passo con un margine di apprezzamento delle autorità nazionali particolarmente limitato, sarà di regola garantito laddove le esternazioni in esame interessano un tema di interesse generale (come ad esempio il funzionamento del potere giudiziario, persino nel caso di un processo ancora in corso). In simile contesto, è pure ammessa una certa dose di “esagerazione” o di “provocazione”. Persino una certa ostilità o gravità delle esternazioni non basta da sola a privare l’interessato del diritto a una tutela elevata, tenuto conto del fatto che si tratta di un tema di interesse generale.

5. La Corte distingue inoltre tra dichiarazione di fatto e giudizio di valore. La veracità di una dichiarazione di fatto può essere comprovata; per contro, un giudizio di valore non si presta per definizione ad una verifica di esattezza. L’onere della prova al riguardo è dunque impossibile da ossequiare e costituisce una lesione della libertà d’opinione in sé, elemento fondamentale del diritto garantito dall’art. 10 CEDU. Ecco perché, a fronte di un giudizio di valore, la proporzionalità dell’ingerenza nella libertà d’espressione dipende dalla “base fattuale” su cui poggia l’esternazione: solo in assenza di una base fattuale sufficiente il giudizio di valore può essere considerato eccessivo. Per distinguere tra dichiarazione di fatto e giudizio di valore, occorre tener conto delle circostanze del caso concreto e del tono generale delle esternazioni, ritenuto che delle asserzioni su soggetti di interesse generale possono essere considerate in tal senso giudizi di valore piuttosto che dichiarazioni di fatto.

6. Infine, nell’esaminare la proporzionalità dell’ingerenza nella libertà d’espressione vanno prese in considerazione anche la natura e la severità delle sanzioni inflitte. La Corte ha infatti sottolineato che una minaccia alla libertà di espressione rischia di avere un effetto dissuasivo sull’esercizio medesimo di tale libertà. Il carattere relativamente moderato delle multe non è sufficiente a scongiurare tale rischio, che appare comunque inaccettabile. In termini generali, è legittimo che le istituzioni di uno Stato siano protette dalle autorità competenti nella loro veste di garanti dell’ordine pubblico istituzionale. La posizione dominante che queste istituzioni occupano impone però alle autorità di dar prova di riserbo e prudenza nel far ricorso alla via penale.

Per la Corte, il fatto stesso di pronunciare una condanna penale nei confronti di un operatore della stampa che ha riferito su circostanze di interesse generale (pubblico) rappresenta una delle forme più gravi di ingerenza nel diritto alla libertà di espressione. Ciò, considerato che la parte che si pretende lesa dispone comunque di altri strumenti e rimedi altrettanto efficaci, segnatamente quelli che fanno capo al diritto civile.

Alla luce di queste considerazioni chiedo al Consiglio di Stato:

1. L’art. 8 cpv. 2 lett. c) della Costituzione del Cantone Ticino garantisce “la libertà d’opinione, di informazione e di stampa”. Le indicazioni qui sopra richiamate sembrano segnalare che la società Argo 1 cerchi di mettere in discussione questo diritto tramite la minaccia di una denuncia penale ad un organo di stampa. Il Consiglio di Stato, che dovrebbe essere garante dell’applicazione delle leggi (e ancor più della nostra legge fondamentale), non ritiene necessario intervenire per impedire la rimessa in discussione di questo diritto?

2. Non trova preoccupante il fatto che per la seconda volta in pochi mesi (vedi il precedente del Caffè) una società in palese difficoltà nell’opinione pubblica cerchi di mettere a tacere la stampa con metodi intimidatori?

3. Non riterrebbe opportuna una perizia giuridica indipendente che valuti i confini di applicabilità della Legge federale contro la concorrenza sleale ai media?

4. Non riterrebbe opportuno muoversi presso il legislatore federale per chiedere una modifica della Legge federale contro la concorrenza sleale a tutela degli organi di stampa?

5. Non ritiene opportuno, alfine di garantire realmente la libertà di stampa, di assumere le spese giudiziarie dei giornalisti confrontati con metodi intimidatori (concorrenza sleale)?

* Interrogazione del deputato MPS Matteo Pronzini MPS del 19 aprile 2017