di Cinzia Nachira*
Dopo quattro mesi, purtroppo, la previsione si è confermata: dopo Aleppo il regime non poteva che accanirsi ferocemente contro Idlib, la città dove migliaia di abitanti di Aleppo sono stati obbligati ad andare dall’esercito siriano. Ora, il regime “finisce il lavoro”.
Il regime siriano ha bombardato una zona ad alta densità di civili: ora coloro che si sforzano di giustificare la guerra generalizzata di Assad e dei suoi alleati contro il popolo siriano (reo di essersi ribellato alla dittatura baathista) si stanno facendo venire il mal di testa, cercando di farlo venire a tutti, cercando di capire se il gas che ha avvelenato un numero imprecisato di civili, non meno di 70 persone (ma molte fonti parlano di 100) fra cui moltissimi bambini, è piombato su quelle vittime perché sganciato dai caccia del regime oppure, come fosse meno grave, i missili “non chimici” sganciati da quei piloti dell’aviazione di Assad hanno centrato un deposito di armi chimiche in possesso dell’opposizione armata.
Per non perdere tempo, cercheremo di seguire un filo logico: nella guerra siriana gli unici a possedere e a impiegare l’aviazione sono il regime e dal 2015 i russi. Non è la prima volta che il regime viene accusato di fare uso di armi chimiche. Nel settembre 2013, dopo la strage di Ghouta – un sobborgo di Damasco dove furono trucidate 1.400 persone – gli Stati Uniti sembrarono sul punto di bombardare Damasco perché Barack Obama aveva deciso che quella era la “linea rossa” che Assad non avrebbe dovuto oltrepassare. Evidentemente, per la “coscienza” occidentale, un bimbo che muore dilaniato è sopportabile, mentre uno che muore soffocato dai gas non lo è: a pochi viene in mente che resta semplicemente un bambino morto.
La strage del 4 aprile 2017 è fuori di dubbio che sia avvenuta per l’impiego dell’aviazione, quindi, le responsabilità del regime sono chiare, anche fosse vero che i gas si sono sprigionati perché è stato colpito un deposito.
Dovrebbe essere altrettanto chiaro che l’aviazione di Assad sapeva bene cosa colpiva…quei piloti sapevano bene anche cosa avrebbe causato quella loro azione.
In un libro del 1995, Edward Said, dal titolo emblematico Dire la verità- gli intellettuali e il potere, così racconta un episodio casuale:
Verso la metà degli anni sessanta, poco prima che l’opposizione alla guerra del Vietnam alzasse i toni della protesta e si diffondesse a macchia d’olio, uno studente della Columbia University, che dimostrava qualche anno in più dei suoi compagni, venne a chiedermi se potevo ammetterlo a un seminario per il quale era previsto il numero chiuso. Mi tenne un lungo discorso per spiegarmi, tra l’altro, che era veterano di guerra e aveva prestato servizio nell’aeronautica. Chiacchierando con lui, insieme affascinato e turbato, ebbi la percezione di quale fosse la mentalità del professionista – nella fattispecie, un pilota con molte ore di volo –, che parla del proprio lavoro usando un gergo che verrebbe da definire “in codice”. Non posso dimenticare il mio sbigottimento quando, avendogli domandato più volte a quali specifiche mansioni fosse addetto in servizio, mi rispose: “Centrare l’obiettivo”. Mi ci vollero alcuni minuti prima di rendermi conto che pilotava bombardieri, e dunque il suo compito era di sganciare bombe, poiché aveva usato il gergo professionale in funzione di copertura, in certo modo per escludere e depistare l’estraneo e le sue domande troppo dirette. Lo ammisi al seminario, comunque; forse per tenerlo d’occhio, magari anche con il fine di convincerlo ad abbandonare quell’orrendo modo di esprimersi. “Centrare l’obiettivo”, appunto. (1)
Edward Said, da persona seria qual era, aveva ben chiaro che l’uso delle parole riflette il livello di coscienza e di consapevolezza di sé, delle proprie idee e delle proprie azioni. Quell’aviatore ha avuto la fortuna di incontrare sulla sua strada Edward Said ed è lecito sperare che abbia compreso che l’asetticità delle espressioni gergali non giustificano un atto criminale, né tanto meno una guerra criminale. Questo dovremmo comprendere oggi 5 aprile 2017 e fare tesoro di quell’insegnamento ventidue anni dopo.
Alcuni si sforzeranno, forse, di trovare dei legami con l’orribile attentato di Pietroburgo, sempre nel tentativo vano di giustificare l’ingiustificabile. Ma, per un verso, è assai difficile che Putin possa aver chiesto al suo alleato di vendicarsi, potendolo fare direttamente e con poco sforzo. Per un altro verso, è ormai una pratica consolidata quella del regime assadiano di “svuotare” le città che è in procinto di riconquistare. È accaduto in molto altri casi: da Homs a Daraa, poi ad Aleppo ed ora a Idlib.
Assad e il suo popolo sono incompatibili: questo ci insegna la guerra siriana e prima lo capiremo meno “centreremo l’obiettivo sbagliato”!
(1) Edward W. Said, Dire la verità- gli intellettuali e il potere, Edizioni Feltrinelli, Milano 1995, pp. 93-94