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di Raúl Zibechi*

Ciò che sta avvenendo in Venezuela non ha alcun rapporto con una “rivoluzione” o con il “socialismo”, né con la “difesa della democrazia”, e nemmeno con la sbandierata “riduzione della povertà”, se si vogliono elencare gli argomenti che ci si rimpalla tra destra e sinistra. Si potrebbe aggiungere anche il “petrolio”, e già ci avvicineremmo un poco alla realtà. Ma in verità i fatti ci dicono ben altro.

Stiamo assistendo a una lotta senza quartiere fra una borghesia conservatrice, che è stata esclusa dal controllo dell’apparato statale, anche se vi conserva ancora qualche aggancio, e una borghesia emergente, che usa lo Stato come strumento di “accumulazione primitiva”.
Non è la prima volta che ciò accade nella nostra breve storia latinoamericana. Un esempio ne furono le guerre d’indipendenza: la lotta fra i decadenti godos (spagnoli monarchici) e l’emergente oligarchia creola, la quale si servì del controllo dell’apparato statale per legalizzare l’usurpazione delle terre dei popoli indigeni. L’oligarchia è stata appoggiata dalle potenze coloniali britannica e francese, in competizione con la decadente Spagna per il controllo sulle colonie resesi indipendenti. La stessa logica che spinge molti progressisti, e anche conservatori del tipo di Macrí, ad appoggiarsi alla Cina, di fronte all’inarrestabile declino statunitense.
La debole borghesia creola si servì della mobilitazione popolare (indiani, negri e settori popolari) per sconfiggere i forti spagnoli. E concesse l’abolizione della schiavitù con gli stessi obiettivi dell’attuale nuova borghesia quando promuove politiche sociali per ridurre la povertà: in entrambi i casi, infatti, quelli “di sotto” continuano a rimanere sotto, come manodopera a buon mercato, senza muoversi di un millimetro da dove sono sempre, strutturalmente, stati.

Nuove élites
Le nuove élites venezuelane, quelle che popolarmente vengono designate come la “boliborghesia”, sono un coacervo di alti funzionari di imprese pubbliche e dell’apparato statale, di militari di grado elevato e di alcuni impresari arricchitisi all’ombra delle istituzioni: gestori annidati nell’apparato statale. Per questo non intendono rinunciare al potere: tutta la ragnatela di rapporti che hanno costruito finirebbe distrutta.
Alcuni di essi sono già riusciti a trasformare le proprie fonti di reddito in proprietà privata. Ma per buona parte di loro questo processo è ancora in corso. Fanno parte di uno “strato egemonico fragile”, definizione che il sociologo brasiliano Ruy Braga ha dato della nuova classe emergente del suo Paese costituita dai gestori sindacali dei fondi di pensione.
Roland Denis sostiene che in Venezuela governano le mafie: «Maduro», dice, «può anche avere le migliori intenzioni, ma quella che predomina all’interno del suo governo è una lobby mafiosa molto potente» («La Razón», 27 dicembre 2016).
Questo filosofo ed ex ministro della Pianificazione e dello sviluppo (2002-2003) dice che molti di questi mafiosi sono banchieri, mentre altri provengono da vecchi gruppi di “chupa-renda petrolera” [succhia-redditi petroliferi] attivi da molti anni. E va giù duro con gli “intellettuali” che “coprono” i ladrocini del potere:
Con un linguaggio di sinistra essi giustificano una politica che ha favorito solo i banchieri, i grandi importatori, le catene monopolistiche e transnazionali. Una politica che, inoltre, mediante l’imposizione dei prezzi e delle corporazioni, ha distrutto i piccoli produttori di zucchero e di caffè, a vantaggio degli importatori. Le confezioni di Café Venezuela distribuiti dai Comitati locali di fornitura e produzione (CLAP) servono solo a ingannare gli ingenui.
L’altra campana, quella chavista-madurista, è suonata da Marta Hernecker:
La storia è dalla nostra parte. Ciò che ci favorisce in questa lotta contro le forze conservatrici è che il tipo di società che proponiamo, e che stiamo cominciando a costruire, risponde oggettivamente agli interessi dell’immensa maggioranza della popolazione, mentre le forze conservatrici beneficiano solo le élite («Rebelión», 4 aprile 2017).

L’ordito è lo stesso
Alla luce di ciò che è avvenuto nella regione latinoamericana nell’ultimo ventennio possiamo arrivare a una ridefinizione del concetto di “sinistra”: è la forza politica che lotta per il potere, appoggiandosi sui settori popolari, per inserire i suoi quadri nelle istituzioni; quadri che, con il passare degli anni e con il controllo dei meccanismi decisionali, si convertono in una nuova élite, che può o sostituire la precedente, o patteggiarvi, o fondervisi. O arrivare a una soluzione che combini le tre possibilità
La sinistra è parte del problema, non è più la soluzione. Perché, a rigore, anche se ora si fanno dei distinguo, i progressismi fanno tutti parte d’uno stesso ordito. Guardiamo al PT di Lula. Vi si nega la corruzione evidente da ormai un decennio, da quando Frei Betto, dopo essersi dimesso dalla carica che ricopriva nel primo governo Lula in seguito allo scandalo del mensalão, scrisse A mosca azul:
La puntura del moscone blu inocula nelle persone dosi concentrate di ambizione di potere. Le persone, infatti, sono più ricettive al veleno della mosca quando si trovano in situazioni nelle quali dispongono, di fatto, di maggiori possibilità di esercitare un potere ancora superiore. Quando cioè le condizioni oggettive sono favorevoli allo svilupparsi degli impulsi stimolati sul piano soggettivo.
Che tipo di persone (militanti, attivisti, dirigenti) potrebbe emergere da un progetto politico che non si proponesse la presa del potere? Questa domanda, più o meno con le stesse parole, se la fecero già tempo fa gli zapatisti. Come definiremmo una forza che si proponga, “soltanto”, di trasformare la società a partire dalla vita quotidiana?
Non sappiamo rispondere, perché l’immaginario costruito nel corso di due secoli punta al potere statale. Come se ciò che si deve trasformare fosse qualcosa di esterno e non riguardasse, innanzi tutto, le persone stesse che si autodefiniscono militanti. Quel che invece sappiamo è che la sinistra realmente esistente è diventata un ostacolo che impedisce alle maggioranze di farsi carico della propria vita. La polarizzazione destra-sinistra è falsa, non spiega quasi niente di quel che succede nel mondo. Il peggio, però, è che la sinistra è ormai simmetrica alla destra su un punto chiave; l’ossessione per il potere.

* Articolo pubblicato sul settimanale uruguaina Brecha, il 7 aprile 2017. La traduzione in italiano è di Cristiano Dan