di Gianni Frizzo
L’intervento di Frizzo alla manifestazione contro la politica della Posta.
Colleghe e colleghi, amiche e amici,
Vi confesso che quando mi è stato chiesto di prendere la parola in questo delicato momento, di doverosa e corale protesta, ho sentito scorrere un brivido lungo la schiena!
Mi sono chiesto se in certe circostanze cariche di emozioni e di sofferenza, non sarebbe bene e doveroso, in segno di profondo rispetto, lasciar unicamente spazio, per esprimere i propri sentimenti, la propria indignazione e, perché no, rabbia, a coloro che sono, in prima persona, travolti da questa brutale strategia di smantellamento propugnata da un’azienda pubblica qual è la Posta!
Dunque, oltre che a portare, con massimo rispetto, il nostro conforto e tutta la nostra profonda solidarietà alle colleghe e ai colleghi degli uffici postali già toccati, o in previsione d’esserlo, da queste sciagurate misure … che altro dire?
Che dire, oltre che a manifestare ed esprimere, senza se e senza ma, tutta la nostra condanna a tutto ciò che si sta consumando di immensamente vergognoso internamente alla Posta?
Cosa dovrei dunque dire, con quali parole, considerando tutto ciò, per non essere banale e senza mancar di riguardo verso coloro che meritano il nostro profondo rispetto, come ne sono certamente degni le salariate e i salariati coinvolti?
E non da ultimo sul come riuscire a superare o eludere il timore di essere stati trascinati a far parte, come troppo spesso mi è capitato in passato, di una frustrante e irrispettosa – nei riguardi delle vittime di turno – commedia, messinscena o farsa, consumata o mandata in onda in tre episodi o atti ben coordinati, sperimentati e consolidati nel tempo; Il 1° atto: presentazione, da parte dei “manager di turno” delle misure di ristrutturazione, riorganizzazione o, come in questo caso per la Posta, di “trasformazione” che equivale allo smantellamento di servizi, di posti di lavoro e di conseguenza tagli sul personale e, per quelli che restano, il peggioramento delle condizioni lavorative e di profonda incertezza sul proprio futuro. 2° atto: Ecco il momento, quando capita, del libero sfogo alle denunce sociali, alle frustrazioni e alla rabbia, tramite qualche manifestazione da tenere bene sotto controllo, sia per consistenza, efficacia che persistenza! 3° e ultimo atto: la materializzazione definitiva di quanto prospettato dal 1° scenario!
Una prospettiva alla quale non vorrei più assistere, tantomeno parteciparvi in prima persona, anche perché, con l’esperienza vissuta nel 2008 con la straordinaria lotta – sia per determinazione che per efficacia e tenuta – condotta dalle maestranze delle Officine di Bellinzona, supportata da un’altrettanta stupefacente ed efficace dimostrazione di solidarietà e coesione popolare, si è potuto dimostrare, che è possibile rompere questi schemi, dati ormai per scontati, e sovvertire di fatto l’andamento, e le conclusioni degli scenari due e tre appena descritti. Basterebbe solo fare in modo che la regia sia ben salda tra le mani delle salariate e dei salariati coinvolti, far sì che le associazioni di categoria, i sindacati, diano tutto il loro incondizionato supporto a tutto ciò, mettendosi umilmente al “servizio” di questi lavoratori. Non vi è poi più alcun dubbio, vista la dinamica delle cose, che la solidarietà popolare, si manifesti poi in tutte le sue forme ed efficacia, come lo si è potuto constatare in più occasioni, la più eclatante nel 2008 ma, guardando la presenza di quest’oggi mi fa pensare che le premesse siano altrettanto buone per dar vita a qualcosa di importante.
Ed è proprio con quest’auspicio che sono qui oggi, fiducioso che si possano, anche in questo caso come allora, sovvertire le cose, far traballare la sicurezza che ostentano questi “manager” o dirigenti d’azienda che sembrano appartenere a un altro mondo. Cosa che non mi sento poi così tanto sicuro d’escludere!
Nel riuscire finalmente ad avere la capacità e la forza di mettere la parola fine, a questi progetti di smantellamento, razionalizzazione o qualsivoglia trasformazione, propugnate in modo alternato, da ormai oltre un ventennio, dalle ex regie federali, Posta e FFS. Progetti dunque, che partono da lontano, purtroppo finalizzati, non, come tutti noi vorremmo, alla creazione di nuovi servizi e di beni per la collettività, con maggiori opportunità di posti di lavoro, ma sono, hai noi, delle “trasformazioni”, come le definisce oggi la Posta – probabilmente per rendere più digeribile il tutto – che mirano principalmente a trasformare il mondo del lavoro in un campo di battaglia tra salariati, una guerra tra poveri, tra coloro che sono alla ricerca di un lavoro, e coloro che non lo vogliono per nessuna ragione al mondo perdere.
Non si sta, dunque, solo manifestando per difendere, come giusto che sia, il diritto ad un servizio pubblico efficiente, ma anche per tutelare un’altrettanto bene comune inalienabile, qual è il lavoro, quest’ultimo divenuto, come tutte le cose rare o introvabili, sempre più prezioso.
Aziende pubbliche ed ex regie Federali, come Poste e FFS, impegnate in “Trasformazioni” interne per essere più consone alla logica economica, alla massimizzazione dei profitti, insomma, prepararle con tanta pazienza e cura, verso la privatizzazione, e con ciò rendere negletto il senso di responsabilità sociale e superflui gli aspetti umani.
Una metodologia che fa scuola! Se agiscono in questo modo le aziende statali, immaginiamoci, come si può ormai costatare da tempo, cosa ci si può aspettare da quelle private: dalle banche, dalle industrie, dai commerci, dalle imprese, dal pubblico o para pubblico, ecc.
Uno stato di cose chiaro! Almeno così sembra dalle dichiarazioni unanimi, soprattutto, nel riconoscere le conseguenze devastanti di questi assurdi progetti di smantellamento.
Che risulta, per contro, poca chiara, per coloro che sono messi a dura prova da questa situazione, è la risposta che viene data da parte di chi dovrebbe tutelare le salariate e i salariati! Una risposta che, per i più, appare molto timida, non assolutamente in linea e all’altezza rispetto a quanto di grave viene denunciato.
Quanto visto e sperimentato finora, appoggiarsi su possibili ripensamenti o passi indietro da parte della dirigenza della Posta, mi sembrano speculazioni più vicine al miracolo o all’opera misericordiosa che alla realtà delle cose… in quanto, vista l’ostentata alterigia, sarebbe per loro come perdere la faccia, cosa che difficilmente sono disposti a fare!
Confidare poi sulle istituzioni politiche per raggiungere l’obiettivo sperato… non so proprio che dire!
No! Se vogliamo veramente sovvertire le cose, le giuste risposte le dovranno dare la gente comune, pronta a riversarsi in piazza e sulle strade, come oggi, per far sentire la propria indignazione, solamente con l’azione comune, massiccia e determinata, si riuscirà a far scendere a miti consigli chi ha preparato, in piena segretezza e con massima cura, assicurandosi le giuste alleanze, quanto ci troviamo di fronte a dover combattere oggi.
Che sia dunque questa la volta buona?
Amiche e amici, la rassegnazione, i dubbi, i tentennamenti, la passività la scarsa resistenza e l’improvvisazione sono tutti aspetti che fanno buon gioco alla controparte! Dobbiamo perseguire uniti in un progetto di resistenza votato ad un unico obiettivo… cioè quello di far retrocedere la Posta dai suoi progetti di “trasformazione”, che li devono, non sospendere, ma ritirare definitivamente.
Si dovrà riflettere a tutti i livelli, inclusi quelli istituzionali, sul significato di pace sociale. E se ciò non dovrà inevitabilmente anche passare attraverso la “mutazione”, della Posta, delle FFS, delle aziende pubbliche e private, insomma, del mondo del lavoro, in qualcosa di umanamente e socialmente giusto, a misura d’uomo, corrispondente alle attese delle salariate e dei salariati, dei giovani, delle future generazioni, degli anziani, della società intera! Solamente quando, tutte e tutti, le salariate e i salariati e gli esseri umani in generale, avranno ottenuto giustizia e l’indispensabile rispetto si potrà allora celebrare la pace sociale!
Giù le mani dagli uffici postali, dai servizi pubblici, dalle collaboratrici e dai collaboratori, dai loro diritti, dalla loro dignità e dai posti di lavoro!
Non ci resta che: Resistere! Resistere! Resistere!