di Pierre Rousset
La crisi coreana, dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, da cronica è diventata acuta. Su uno sfondo di instabilità generale, essa si gioca su tre livelli: i rapporti di forza tra le potenze mondiali; le forti tensioni all’opera in tutta l’Asia orientale; la rottura o il mantenimento dello status quo tra le due Coree.
A questo, aggiungiamo anche la situazione negli Stati Uniti dove Trump è tentato di compensare i suoi fallimenti in politica interna con la creazione di un clima di mobilitazione nazionale contro una minaccia esterna – sia essa russa, cinese o nordcoreana.
I “giochi” della crisi coreana sono numerosi, grandi le incertezze e reali i pericoli di “disastro incontrollato”.
Una pace mai siglata
La guerra di Corea (1950-1953) risale a 65 anni fa – ma nessun trattato di pace è stato firmato, bensì solo un armistizio. La penisola vive ancora ufficialmente in stato di guerra – una situazione che non è solo formale. Gli Stati Uniti, in particolare, sperano ancora di conquistare una vittoria che gli è sfuggita nel secolo scorso.
Spesso le Penisole occupano una posizione geostrategica controversa; è proprio il caso della penisola coreana. L’influenza giapponese si afferma alla fine del XIX secolo, a spese della Cina, militarmente sconfitta dal primo imperialismo asiatico. Nel 1910, il paese è puramente e semplicemente annesso a Tokyo. Esso non ritroverà la sua indipendenza prima del 1945, con la capitolazione del Giappone. Mosca e Washington hanno deciso di disarmare essi stessi l’esercito giapponese, creando due zone di occupazione a nord e a sud del 38 ° parallelo.
A sud, un influente comitato nazionalista di sinistra e comunista proclama la creazione di una Repubblica popolare, opponendosi al governo provvisorio di Syngman Rhee che gli Stati Uniti sostenevano. Questa lotta è endogena; non è esportata né da Mosca né da Pechino né da Kim Il Sung.
Washington reagì instaurando un regime militare a Seul. L’armata statunitense soppresse i comitati d’indipendenza nazionale appoggiandosi sulla polizia nipponica, su funzionari giapponesi e sui loro collaboratori coreani. Nel 1948, Syngman Rhee fu eletto presidente della Repubblica di Corea (Corea del Sud). Dei guerriglieri comunisti resistettero all’instaurazione del suo potere dittatoriale. La Corea del Nord è a sua volta proclamata Repubblica popolare – con delle elezioni clandestine organizzate al sud.
E’ in questo contesto di guerra civile a Sud che scoppia il conflitto coreano nel 1950. Esso assume rapidamente una dimensione internazionale. Sotto l’egida dell’Onu, gli Stati Uniti impegnano un potente corpo di spedizione. L’esercito del Nord è sospinto fino ai margini della frontiera cinese. Pechino (che desiderava impegnarsi nella ricostruzione del paese) entra in guerra, respingendo a loro volta le forze americane fino al 38° parallelo. Il fronte si stabilizza e, nel 1953, una zona smilitarizzata di 4 km di larghezza è costruita tra i due Stati – divenendo di fatto una delle più ricche riserve naturali del pianeta.
Quella che Philippe Pons chiama la “nebulosa comunista” coreana comprendeva quattro componenti: la resistenza interna, gli esiliati in Unione Sovietica, il gruppo di Ya’nan vicino al Partito Comunista Cinese e una unità di partigiani operanti in Cina senza aver fatto parte del PCC. Kim Il Sung dirigeva questa ultima unità. Egli è ritornato in Corea del nord solo un mese dopo l’esercito russo. Mosca ha favorito la sua ascesa alla testa del nuovo regime nel momento in cui la sua frazione era molto minoritaria nella direzione del partito comunista coreano. Ciò non ha impedito che divenisse il loro servo. Nel corso degli anni ’50 e ’60, egli ha consolidato a colpi di purghe il mantenimento del suo potere. I primi sacrificati furono i comunisti interni, eliminati mediante processi truccati. I “filosovietici” e i “filocinesi” subirono più tardi una sorte simile. Il regime è divenuto dispotico e poi dinastico.
Una regione in armi
Malgrado il ravvicinamento cino-americano che inizia con l’entrata della Repubblica Popolare cinese nel consiglio di sicurezza dell’Onu (1971) e il viaggio di Nixon a Pechino (1972), non ci sono mai state le condizioni per mettere definitivamente termine allo stato di guerra nella penisola coreana. Gli Stati Uniti hanno mantenuto il dispositivo militare che avevano rafforzato durante la guerra del Vietnam, particolarmente potente nel Nord-Est asiatico. La Cina non voleva ad alcun prezzo correre il rischio, in caso di riunificazione della Corea, di vedere le forze USA accampate alla sua frontiera. Nessuna soluzione alla tedesca, dunque, soltanto un congelamento prolungato della situazione.
Peraltro, il regime nordcoreano non è affondato, come probabilmente speravano i dirigenti americani; e ciò, malgrado crisi sociali interne (carestia nella seconda metà degli anni ’90, penurie, ecc…), l’implosione dell’URSS, il riallineamento di Pechino al Capitalismo e lo sviluppo dei suoi legami con la Corea del Sud, la morte del “grande leader” (Kim Il Sung), poi dei suoi figli, le sanzioni internazionali, le pressioni esercitate e gli attacchi molto concreti condotti da Washington (guerra elettronica)… Come nota Philippe Pons, “se fosse stato semplicemente uno staliniano, non sarebbe sopravvissuto”, malgrado il suo ricorso al terrore. La mentalità di fortezza assediata gli ha soprattutto permesso di mobilitare un nazionalismo/patriottismo etnico più che politico, forgiato sotto l’occupazione giapponese e di costruire una “recita nazionale” legando il passato recente alla resilienza di uno “Stato-guerrigliero”.
L’interesse a questa questione è che permette di comprendere perché la politica statunitense ha fallito, rinforzando, con la minaccia permanente, i meccanismi ideologici di sopravvivenza del regime. Pyongyang ha peraltro tratto una lezione dall’attualità internazionale: solo il possesso dell’arma nucleare protegge efficacemente un paese “nemico” da un intervento occidentale.
L’ingranaggio seguito all’annuncio del programma nucleare nordcoreano avrebbe forse potuto essere fermato sulla base di accordi negoziati da Washington, a partire dal 1994, sotto la presidenza di Bill Clinton; ma questi accordi sono stati unilateralmente rotti da George Bush che ha, inoltre, piazzato la Corea del Nord nell'”asse del male”. L’amministrazione Obama ha fondamentalmente mantenuto la medesima posizione. Le grandi manovre aereo-navali congiunte USA- Corea del Sud hanno per obiettivo uno sbarco o delle infiltrazioni al nord. Un intero sistema di guerra elettronica è stato messo in campo per sabotare a distanza i programmi nord-coreani.
Uno spazio di possibilità si è richiuso con il lievitare delle tensioni tra Cina e Usa in Asia orientale. Tutta la Regione è ora sul piede di guerra. Nel mar cinese meridionale, Pechino ha preso l’iniziativa. Sette isole artificiali sono state create e su esse delle installazioni militari, piste di aeroporto e basi missilistiche sono state costruite. Il programma di armamento cinese si sviluppa e una seconda portaerei sta per essere varata, di fabbricazione interamente nazionale (lo scafo della prima era stato acquistato dalla Russia).
In queste condizioni, gli Stati Uniti mirano a mantenere il loro controllo sugli stretti marittimi, grazie alla VII flotta, così come alla loro predominanza militare nell’Asia del Nord-Est. Essi beneficiano di una rete formidabile di basi in Corea del Sud, in Giappone, soprattutto ad Okinawa e di eserciti alleati (sud-coreani e giapponesi).
L’escalation continua. Washington ha appena installato in Corea del Sud una base di missili antimissile THAAD, allo scopo, ufficialmente, di distruggere gli armamenti nord-coreani. Tuttavia, vista la loro portata, le THAAD possono operare su una gran parte del territorio cinese. Neutralizzano così la forza di dissuasione nucleare della Cina – che prevede in conseguenza, per metterla al riparo, di modernizzare e sviluppare negli oceani i suoi sottomarini strategici.
Il Giappone, benché ufficialmente abbia forze armate esclusivamente di autodifesa, possiede già la sesta flotta militare al mondo, che comprende in particolare quattro portaelicotteri. Il Governo e il complesso militare industriale tentano di far saltare gli ultimi ostacoli politici ad un riarmo completo – compreso il nucleare – del Paese, malgrado una Costituzione esplicitamente pacifista e malgrado la forza del sentimento antimilitarismo della popolazione.
Programma nordcoreano, scudo missilistico USA in Corea del Sud, espansione e modernizzazione della capacità di attacco cinese, progetti della destra militare nipponica… Il ciclo infernale delle provocazioni e contro provocazioni ha rilanciato la corsa agli armamenti in estremo oriente.
Tutti i regimi coinvolti ne sono responsabili e sapere chi ha tirato il primo colpo di guerra in Corea non ha più alcuna importanza di fronte ad un tale disastro.
La volontà di potenza
Il “fattore” Donald Trump aggiunge una incertezza in più a una situazione già molto pericolosa. Egli ha dirottato una portaerei USA e la sua flotta per posizionarli al largo della Corea; soffia sul filo delle sue dichiarazioni il calore militarista e il freddo della diplomazia.
Due dati tuttavia sono particolarmente inquietanti. Nel corso dei primi cento giorni della sua presidenza, Trump ha accumulato alcune battute di arresto sul piano interno, costretto dai giudici, dagli Stati, dal Congresso nonostante la maggioranza Repubblicana. Egli si scontra con una serie di cortei e mobilitazioni di massa in difesa delle donne, degli immigrati e delle immigrate, della Terra, della ricerca scientifica, contro il suo programma fiscale… Egli cerca quindi di riprendere le redini della situazione invocando le minacce esterne, invertendo a suo piacimento la politica russa o siriana, affermando la potenza di fuoco ineguale degli Stati Uniti, ordinando degli attacchi spettacolari in Siria o in Afghanistan per dimostrare che gli USA possono agire senza preavviso e senza consultare i propri alleati.
Trump peraltro ha composto un governo di uomini d’affari e di generali. Ha promesso un programma di armamenti massiccio, ma il suo finanziamento rischia a sua volta di essere rimesso in discussione dal Congresso. Lo stato maggiore e il complesso militare-industriale ne sono preoccupati. Invocare incessantemente il pericolo nord-coreano è un modo di fare pressione sui parlamentari.
Il bombardamento effettuato in Afghanistan non aveva alcun senso su questo scenario di operazioni. Una rete di rifugi sotterranei di Al Qaida è stato distrutto, ma questa organizzazione non è che una componente minore del conflitto. Il vero nemico sono i talebani, che sono stati probabilmente rafforzati politicamente dalla violenza distruttiva dell’attacco. Un “segnale” internazionale, anche verso la Cina e la Corea del Nord, è stato certamente lanciato dalla determinazione USA, ma c’è di più. La “madre delle bombe”, la più potente bomba al mondo, non era mai stata utilizzata. Ogni armamento deve comunque essere testato nelle sue dimensioni reali.
Era proprio per questo che in agosto 1945, Hiroshima e Nagasaky sono state bombardate dal nucleare: bisognava affrettarsi nel comparare gli effetti della bomba A e della bomba H prima che la capitolazione del Giappone fosse annunciata ufficialmente – e tanto peggio per la moltitudine di cavie umane, per una popolazione civile annientata e irradiata nell’olocausto nucleare.
Le armi devono essere prodotte e dunque usate. Questa è la logica di guerra del complesso militare e industriale.
Trump ha delle ragioni che la ragione diplomatica ignora. Egli non conosce nulla del mondo (salvo gli affari) e non domanda il parere agli ambasciatori e alla burocrazia dell’amministrazione. La sua azione politica è intermittente; dalla sua elezione, egli ha più volte cambiato brutalmente orientamento sul piano internazionale. E’ un fattore di instabilità, d’imprevedibilità, e gli alleati degli Stati Uniti ne sono coscienti, in Giappone come in Corea del Sud o in Australia.
L’unilateralismo degli USA li inquieta. Sanno che la Casa Bianca può prendere delle decisioni per loro conto, gravide di conseguenze, senza nemmeno consultarli.
La parola ai popoli
Le ragioni di speranza, tuttavia, non mancano. La popolazione sud-coreana ha rovesciato dopo mesi di mobilitazioni giganti una presidenza corrotta e un partito militarista. Essa opta, in maggioranza, per una politica di negoziazione più che di provocazione nei confronti del Nord.
Delle azioni simboliche sono state lanciate, come quelle delle quaranta militanti femministe che hanno varcato insieme la frontiera. Delle manifestazioni si sono svolte nei pressi di Seongiu, la dove gli armamenti antimissile THAAD sono installati e si sono contrapposte alle forze di polizia. Una coalizione di movimenti si oppone anche alla presenza di una base navale nell’isola meridionale di Jeju.
In Giappone, la resistenza civile alla rimilitarizzazione del paese resta molto profonda. Malgrado il lancio di missili nord-coreani che sono precipitati al largo dell’arcipelago e malgrado la stessa propaganda costante della destra radicale, a Okinawa, l’opposizione alle basi militari USA non si indebolisce.
In tutta la regione, avanza l’idea che solo la smilitarizzazione dello spazio marittimo permetterà di evitare la guerra.
Il gioco dei conflitti in Asia orientale ha valenza mondiale. I movimenti contro la guerra dovranno sostenere le resistenze asiatiche – in Europa e, ancor più importante, negli Stati Uniti.
CRONOLOGIA
1894-1895 : Prima guerra cino-giapponese (vittoria del Giappone).
1904-1905 : Guerra russo-giapponese (vittoria del Giappone).
1910 : Annessione della Corea al Giappone.
1931 : Conquista della Manciuria da parte del Giappone.
1937-1945 : Seconda guerra cino-giapponese e Seconda Guerra mondiale.
1945 : Liberazione della Corea. Creazione di due zone di occupazione al nord (Russia) e al Sud (Stati Uniti). Guerra civile al Sud.
1948 : Proclamazione della Repubblica di Corea del Sud (Syngman Rhee) e della Repubblica popolare di Corea del nord (Kim Il Sung).
1950-1953 : Guerra di Corea.
1994 : Morte di Kim Il Sung. Suo figlio Kim Jong Il gli succede.
1994-2001 : Accordi miranti a congelare il programma nucleare nord-coreano sono siglati con l’amministrazione di Bill Clinton negli Stati Uniti
2001 : Elezione di George W. Bush alla presidenza degli Stati Uniti. Rottura unilaterale degli accordi.
2006 : Primo test nucleare sotterraneo in Corea del Nord.
2009-2017 : Sviluppo da parte di Pechino di una rete di basi militari nel mar cinese meridionale. Nel 2017 essa diventa operativa.
2009-2017 : Presidenza di Barak Obama negli Stati Uniti
2009 : Test nucleari nord-coreani.
2011 : Morte di Kim Jong Il. Suo figlio Kim Jong Un gli succede.
2012 : Abe Shinzö, Primo ministro giapponese.
2013 : Crisi dei missili. Test nucleare nord-coreano.
2016 : Elezione di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti (entrata in carica nel gennaio 2017). Destituzione della Presidente Park Geun-hye in Corea del Sud.
2017 : Lancio di missili nord-coreani. Installazione del sistema di missili antimissile THAAD in Corea del Sud dove le elezioni sono previste a maggio. Continua la corsa agli armamenti nella regione. Stato di crisi.